Giordania Opinioni

Lezioni dalle donne rurali giordane sui cambiamenti climatici

Almalkawi Amal Thabet

Il tempo fuori è secco e caldo durante la mia passeggiata serale. È tardi, e cammino di ritorno verso casa, che svetta in cima alla collina, all’estremo nord della Giordania, a Malka, in uno dei villaggi di Irbid. Intorno, montagne che sembrano “abbracciare” l’orizzonte. È l’ultimo giorno di primavera e la pioggia è ormai solo un ricordo.

Alzo lo sguardo: il cielo notturno è scuro, pieno di stelle luminose. Sento lo scricchiolio dei miei passi sulla terra e sull’erba secca. Quest’anno, la primavera non ha lasciato quel manto verde che di solito copre il suolo: le piogge sono state insolitamente scarse.

Accelero il passo e continuo lungo la strada di campagna, passando davanti a piccole case appartenenti ai miei parenti. All’improvviso, una voce calda mi chiama per nome:
«Amal, entra».

È la moglie di mio zio, ha più di ottant’anni. Mi sorride e mi invita a bere un tè con lei.
«Ciao, zia. È un piacere», rispondo.

Mi accomodo su una sedia nel cortile davanti alla casa, rivolto a sud-ovest e circondato da una piccola recinzione. Accanto alla casa crescono grandi melograni e meli, e più in là, ulivi. La casa stessa è costruita in argilla e pietra, con muri spessi più di mezzo metro. La porta principale è al centro della facciata: a destra due finestre strette e lunghe, a sinistra un balcone chiuso da vetrate. In alto, piccole feritoie completano l’insieme, tutto disposto con una piacevole armonia asimmetrica.

Bevo una tazza di tè alla menta piperita e parlo con la moglie di mio zio. Nel frattempo lei si alza, coglie alcune mele dall’albero, va verso un grande orcio di terracotta pieno d’acqua, usato per mantenere fresca l’acqua da bere, nell’angolo del cortile, riempie un bicchiere d’acqua dall’orcio, si china e lava le mele verso l’angolo dove c’è un tubo di scarico che convoglia l’acqua attraverso un canale fino a un punto preciso sotto il limone. Vorrei farlo io al posto suo, ma lei insiste per farlo di persona, come gesto di ospitalità. «Per favore, Adam, portami una bottiglia di foglie di vite», chiede a suo nipote mentre sto per andare. «Dove… dov’è, nonna?» Dopo un po’ lui le risponde. «Be’, le ho messe accanto alle bottiglie delle olive sotto aceto.» … «Le bottiglie della cola, Adam, nella parte bassa della dispensa della cucina», cerca di descrivergli le bottiglie. Prendo la bottiglia come regalo e me ne vado, dopo che lei si è fatta promettere da me che andrò a trovarla molte altre volte in futuro.

Proseguo la mia camminata verso casa; si sentono solo il rumore dei miei passi sulla terra e il mio respiro che rompe la quiete di questa notte silenziosa.

Nel frattempo, mi torna in mente la mia prima partecipazione a una conferenza del mio percorso accademico ad Amman, in Giordania: la Global Conference on Renewables and Energy Efficiency for Desert Regions (GCREEDER), che riunisce ricercatori da tutto il mondo per discutere di cambiamenti climatici ed energie rinnovabili. A dire il vero, all’epoca non ero nemmeno del tutto sicura di cosa significasse davvero “cambiamenti climatici”.

In quei giorni sentivo studiosi e professionisti dell’industria parlare di consumi energetici, emissioni di carbonio e delle ultime tecnologie per le energie rinnovabili. Io, giovane studentessa di architettura, ero un misto di entusiasmo e curiosità, completamente sommersa da informazioni nuove. Ogni giornata di conferenza aggiungeva un tassello alla mia comprensione di cosa volesse dire davvero cambiamenti climatici.

Ricordo in particolare una conversazione con un esperto: mi spiegò l’importanza dei materiali dell’involucro edilizio e il loro impatto sia sull’efficienza energetica che sul riscaldamento globale.

Alla fine della conferenza, iniziai a capire che i cambiamenti climatici non sono solo un tema scientifico riservato a professionisti ed esperti: hanno a che fare anche con i piccoli dettagli della vita quotidiana che ci circondano.

Col tempo, quei semi di curiosità hanno iniziato a crescere. Ho continuato il mio percorso accademico: leggere, fare ricerca, esplorare la crisi climatica. Ho imparato che anche i gesti più semplici, se fatti con consapevolezza, possono diventare parte di una soluzione concreta. E non mi vedo più soltanto come una ricercatrice, ma come parte di una generazione che ha la responsabilità di proteggere questo pianeta per chi verrà dopo di noi.

Questo cammino mi ha portata a ottenere una borsa di ricerca dal Knowledge and Scientific Network (KSN). Sto lavorando a un progetto di localizzazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS/SDG) con il Comune di Greater Irbid, per orientare le politiche legate all’energia pulita e accessibile negli edifici residenziali della città.

Per me non è solo ricerca teorica: è una vera occasione per contribuire ad aiutare la mia città natale a immaginare e costruire il proprio futuro di fronte al cambiamento climatico.

Tornando a mia zia (la moglie di mio zio), non ha certo il nostro bagaglio di conoscenze da ricercatori. Non sa cosa siano i cambiamenti climatici. A scuola non ha mai avuto una materia che ne parlasse. Eppure, costruisce la sua casa con materiali e metodi vernacolari passivi, pensando al sole, al vento e alla luce.

Ha piantato meli e melograni vicino alla casa per schermare l’eccessiva radiazione solare in estate e creare ombra, lasciando invece che in inverno la luce riscaldi gli ambienti: un perfetto esempio di azione solare passiva tradizionale. Riutilizza le acque grigie per irrigare gli alberi. Ricicla le bottiglie in cucina per risparmiare risorse e ridurre consumi energetici ed emissioni di CO₂.

In mille piccoli modi incarna l’essenza stessa della sostenibilità e dell’uso efficiente delle risorse. E lo fa come tante altre donne qui in Giordania: non per consapevolezza dei cambiamenti climatici, ma per senso di responsabilità e amore verso la famiglia, i nipoti e la Terra.

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