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Mi chiamo Abd Elaziz

Abd Elaziz

Mi chiamo Abd Elaziz, vengo da Balkim che si trova nel centro del delta del Nilo. Quando ero in Egitto i miei genitori non mi hanno fatto mancare NULLA, avevo tutto, nessuno dei miei amici o nella scuola aveva i vestiti che indossavo io, neanche avevano i soldi che avevo io in tasca e che mi dava mio padre, nonostante i miei genitori non avevano nulla oltre i terreni, non avevano un’altra entrata di soldi o un altro lavoro. Tutti i miei amici avevano i genitori professori, medici, con negozi di alimentari o che lavorano in qualche parte o qualche posto nello stato. Nonostante questo, mio padre è da solo, senza nessuno che lo aiuti. Aveva tanti fratelli, ma loro non lo rispettavano, rubavano sempre i suoi diritti, ma a lui non fregava niente, così faceva finta sempre per allontanare i problemi lontano da noi. Lui è una macchina da guerra in campagna, le cose che coltiva crescono il doppio o il triplo dei nostri vicini, nonostante lui è da solo e i vicini sono dai 5 in su.

Ho pensato di venire In Italia mentre frequentavo la prima media. Come ho detto, avevamo poche fonti di soldi e mi dispiacevo per loro, ma a loro non importava niente di quello che pensavo io. Quando ho detto dell’Italia la loro risposta è stata di no. Io ero il genio della classe e della famiglia e tutti sapevano che sarei diventato una grande cosa in futuro; non studiavo mai, ma capivo tutto al volo dai prof mentre spiegavano. Una volta il prof del corso di matematica l’ha presa male, ero in prima media e ho capito l’argomento dall’esempio, prima ancora che lui iniziasse l’argomento. Mi ha guardato male, pensava che lo prendessi in giro, mi ha chiesto di spiegare il problema che aveva appena svolto e io l’ho fatto. Mi ha fermato dopo che tutti se ne sono andati per parlare. Lui non ci credeva perché aveva minimo 25 anni di carriera e nessuno era come me, ha detto che sono un genio.

Le cose continuavano ad andare così finché è nata mia sorella, lei era il mio grande sogno, prima che nascesse lei ero molto geloso dei miei amici e dei miei cugini. Io avevo tutto tranne una sorella, invece loro ce l’avevano. Quando lei è nata io avevo 13 anni e, finito l’anno scolastico, è iniziata l’estate. I ragazzi cominciavano a venire in Italia è si cominciato a sentire che quando arrivi in Italia ti danno subito i documenti, un lavoro e ti danno 1.500 euro al mese. Appena ho sentito questo mi sono fatto un semplice calcolo: io devo ancora fare la seconda media, quindi mi mancano 2 anni di medie e 3 anni di superiori e 7o 8 anni di medicina, ne mancano ancora minimo 12 anni di studio. Ho calcolato 12 per 3.000 €, che sono i soldi che ne vanno su scuola, vestiti, corso, mangiare, tutto… poi non è detto che quando mi laureerò troverò lavoro. I miei zii sono laureati, potrebbero lavorare come professori, ma due di loro lavorano in campagna e il terzo come pizzaiolo in un ristorante. Ci ho pensato, se io faccio la fine di loro o, se anche divento un dottore, mi daranno massimo 300€ al mese e all’inizio dovrò lavorare nel sud dell’Egitto.

Le cose andavano male, mia nonna si è ammalata all’occhio e mio padre doveva andare a portarla, una volta al mese, da un dottore ad Alessandria, pagando 300 euro.  Ho pensato a me chi me lo fa fare di restare; invece, se vado in Italia devo pagare tra i 2.000 e .3000 euro che mi guadagno dopo due mesi. Ho deciso di partire, la risposta di mio padre era di no. In 10 mesi ho fatto di tutto per partire, di tutto e di più quello che si può pensare e quello sempre a dirmi di no.

Finalmente ho convinto mio padre, poi con l’aiuto di mio padre ho convinto anche mia madre. Così, sono partito. Ho trascorso due giorni chiuso in due stanze in mezzo ai terreni, per poi correre per non so quanto tempo per arrivare ad una barchetta e iniziare un viaggio di 15 giorni di mare.

Nei giorni prima di partire ci hanno chiusi, ci hanno detto di spegnere i telefoni, eravamo quasi 80 e ci facevano chiamare le nostre famiglie solo la sera tardi, uno alla volta. Le forze dell’ordine non trovavano niente di strano, poi ci hanno detto che non c’è niente di cui preoccuparci, saliamo su una nave grande e nel giro tra 3 e 5 giorni saremo in Italia, non c’è nessun rischio. Poi la notte del 31 marzo ci dicono che dobbiamo andare. Partiamo subito, ci caricano dentro un camion e ci fanno scendere nel deserto. Ci hanno fatto fare una corsa che è durata circa un’ora circa per arrivare alla riva e ci hanno diviso in due gruppi.

Io ero nel secondo, ci hanno fatto salire su un peschereccio e quello che lo guidava ci ha fatto scendere giù. Ci hanno dato secchi per vomitare e non ci facevano nemmeno affacciare, così la marina egiziana non ci vedeva.

Dopo ore ci hanno trasferito in un peschereccio più grande, ci hanno messo in cella, poi c’era uno di loro che ha visto che ero molto piccolo e ci ha fatto salire un po’ sopra, mi ha dato del mangiare e mi ha fatto bere. Poi mi ha fatto scendere di nuovo giù, prima che il capo s’incazzasse. Quando sono sceso c’erano gli altri, mi hanno chiesto un po’ del mangiare che avevo, io l’ho dato tutto. Erano in 8 se non mi ricordo male, poi ci hanno portato sul barcone, lì ci siamo trovati tutti insieme, c’erano anche i due della provincia che erano cugini. Uno mi ha portato giù a dormire, poi il giorno dopo siamo saliti sulla nave e mi hanno chiesto di togliere i vestiti bagnati. Ha trovato i 100€ che mi aveva dato mio padre, mi ha detto che li teneva lui così nessuno me li rubava, ma è venuto da me il giorno dopo e mi ha detto che avevano rubato i nostri soldi. Poi il terzo giorno sono arrivati gli altri sul barcone, c’erano donne, bambini e anche donne incinta. Abbiamo lasciato la cabina per loro e siamo saliti su all’aria aperta. La mattina faceva molto caldo e la sera faceva molto freddo. Siamo andati così fino alla quinta notte. È arrivata una grandissima tempesta, io non ho mai avuto né avrò paura come quella notte! Ho pianto e ho pregato moltissimo, poi è passata la notte. Non ho mai più avuto paura da quel giorno.

Il giorno dopo abbiamo visto che il barcone perdeva acqua, hanno provato a richiudere il buco con la saldatrice, ma continuava a prendere acqua. La notte le onde si cominciavano ad alzare, perciò ci hanno diviso in due gruppi – dalle 6 di mattina fino alle 6 di sera il gruppo egiziano, dalle 6 di sera fino alle 6 di mattina gli altri – a togliere l’acqua che entrava nella barca e a buttarla fuori. Dopo 2 giorni, è successa una grossa rissa, gli scafisti hanno detto che i ragazzi egiziani hanno fatto le foto agli scafisti. I ragazzi si sono accorti che gli scafisti ci prendono in giro su tutto, siamo stati su una barca distrutta e davano più acqua e cibo a quelli giù è a noi no. Era così grossa la rissa che il barcone si stava accappottando. Si è calmata l’aria solo quando gli scafisti hanno visto arrivare un peschereccio con il mangiare e dell’acqua. Il peschereccio è rimasto con noi per gli altri giorni, ma i ragazzi hanno mollato, siamo stati 8 giorni in mare mangiando un pezzo di pane ammuffito con 10 ml. di acqua, era questo il pasto 2 volte al giorno. I ragazzi cominciano a mollare fino che io ho dato il mio mangiare a loro. Ho chiesto di scendere anche io giù ad aiutarli a scaricare l’acqua, e sono sceso. Poi dopo qualche giorno hanno chiesto aiuto agli italiani. La sera chiamano aiuto e parlano 2 ragazzi del Sud Africa. Viene l’elicottero a controllare, eravamo fuori dalle acque italiane, ma vicino a noi c’era una nave, di quelle grosse che portano il petrolio, che per un giorno intero prova ad avvicinarsi piano piano a noi. Ci riesce verso le 2 di notte e ci porta per un giorno intero, poi ci lascia alla Marina italiana che ci porta ancora in mare per 7 ore.

Sono sbarcato a Messina dopo 15 giorni di mare e finalmente ho potuto dormire in un letto caldo.

Da allora vivo in Italia, sempre sul mare, sono stato accolto dalla comunità di Policoro. Ho trovato un lavoro e sogno di portare in Italia mia sorella.

Alessandra ed Antonio sono diventati mia sorella e mio fratello italiani.

Alessandra è stata la mia compagna di banco per cinque anni, mi è sempre stata accanto, soprattutto quando sentivo la mancanza della mia famiglia e di mia madre. Mi ha indirizzato verso le strade giuste, non mi ha mai lasciato solo, anche quando tutti si allontanavano, e mi ripete sempre che sono il fratello che lei non ha avuto, anche con tutta la malinconia e la nostalgia che porto negli occhi.

Antonio benedice il giorno in cui ci siamo incontrati, nel lido in cui lavoro in estate. Dice che gli astri mi hanno portato dall’altra parte del mare a lui e che io trasmetto a tutti la mia energia vitale.