Africa Opinioni Punti di vista

La qualità della ricerca medica nel Sud globale. Riflessioni a partire da una recente analisi bibliometrica in Nigeria

Zupi Marco

Prenderei le mosse dall’ultimo libro – pubblicato nel 2023 per i tipi della Palgrave MacMillan – di Joseph Abiodun Balogun. Vicedirettore dell’African Journal of Reproductive Health, laureato in medicina presso la principale università nigeriana di Ibadan e con un dottorato all’Università di Pittsburgh, Joseph Abiodun Balogun è ex preside e oggi professore fuori ruolo presso il College of Health Sciences della Chicago State University, oltre che visiting professor  presso università di Benin e Nigeria.

Il libro costituisce un sequel a precedenti pubblicazioni (sull’educazione medico-sanitaria in Nigeria del 2020 e sulle professioni sanitarie in Nigeria del 2021), e parte da un presupposto. La ricerca medica che indaga le tendenze delle malattie e i fattori di rischio, i risultati del trattamento o gli interventi di sanità pubblica, i modelli di cura, i costi sanitari e l’accessibilità alle cure è molto apprezzata in tutte le società, compresa la Nigeria, il Paese più popoloso dell’Africa. Lo sviluppo del capitale umano e dei sistemi di ricerca sanitaria, in particolare nei Paesi a basso e medio reddito, è diventata una preoccupazione mondiale negli ultimi anni, e viene considerato fondamentale per migliorare le politiche sanitarie e l’equità delle cure mediche.

In Nigeria, nonostante le risorse limitate degli atenei, la Commissione nazionale delle università si aspetta che gli accademici di tutte le discipline, compresa medicina, abbiano un rendimento pari a quello dei loro colleghi nel resto del mondo.

Oggi il settore della valutazione della ricerca è in piena espansione, poiché classificazione, metriche e fattori di impatto sono diventate parole d’ordine dominanti. Gli amministratori governativi e della ricerca utilizzano indicatori quantitativi per valutare le prestazioni dei docenti e, tra gli strumenti utilizzati per misurare l’eccellenza e l’impatto scientifico, la bibliometria è diventata prevalente, e salutata come misura oggettiva della qualità della ricerca.

Su questa base, il saggio di Joseph Abiodun Balogun mira ad analizzare la produttività della ricerca e l’impatto scientifico degli accademici e ricercatori nigeriani che sono in prima linea nelle scienze della salute, in patria e nella diaspora. Senza avventurarsi nell’ambiziosa proposta di criteri di valutazione contestualizzati alle specificità della Nigeria, l’autore esamina produttività della ricerca e impatto scientifico di tre gruppi di accademici: (i) professori ordinari impiegati nelle 44 università che offrono programmi di medicina, (ii) borsisti di medicina e scienze della salute dell’Accademia nigeriana delle scienze e (iii) professori di medicina e scienze della salute nigeriani impiegati in università straniere. L’autore lo fa adottando i criteri prevalenti in uso e, da ultimo, mette anche a confronto le prestazioni bibliometriche degli accademici nigeriani e dei vincitori del premio Nobel per la medicina dal 2018 al 2021.

I risultati di questa analisi evidenziano che i punteggi bibliometrici dei professori delle università nigeriane sono i più bassi dei quattro gruppi analizzati, mentre i punteggi di performance dei professori nigeriani impiegati in università straniere sono più alti di quelli dei professori delle università nigeriane e dei borsisti. È anche degno di nota il fatto che, tra il 2018 e il 2021, la bibliometria di un accademico nigeriano che lavora all’estero (Olufunmilayo Olapade) sia superiore a quella di due premi Nobel per la medicina 2021 (Ardem Patapoutian e David Julius). L’analisi, dunque, confermerebbe l’ipotesi ampiamente diffusa che i principali scienziati nigeriani in medicina si trovino fra i rappresentanti della diaspora.

C’è, però dell’altro, che forse meriterebbe una riflessione che qui si introduce soltanto e che ha a che vedere sia con la necessità di rafforzare i sistemi accademici e di ricerca in Paesi del sud globale come la Nigeria – che, per inciso, è tra i più ‘attrezzati’ in Africa – sia con un ragionamento sui criteri di valutazione adottati.

La bibliometria, termine coniato nel 1969 da Alan Pritchard, che la definì come l’applicazione della matematica e dei metodi statistici ai libri e ad altri strumenti di comunicazione, è lo studio dell’editoria accademica che utilizza la statistica per descrivere le tendenze editoriali e per evidenziare le relazioni tra le opere pubblicate. La bibliometria può sicuramente aiutare a rispondere a domande su un determinato campo in base ai dati sulle pubblicazioni, come autori, argomenti, finanziamenti, citazioni (qui e qui  per maggiori approfondimenti).

Tuttavia, la bibliometria presenta anche alcuni limiti e problemi che andrebbero considerati con molta attenzione, in particolare pensando alla ricerca svolta nei Paesi del Sud globale, al netto delle difficoltà oggettive che si trovano in quei Paesi. Alcuni di questi sono:

  1. La bibliometria si basa sulla disponibilità e sulla qualità delle fonti di dati, come database, indici e archivi, che possono variare in termini di copertura, accuratezza e accessibilità, soprattutto con riferimento ai Paesi del Sud globale. Fonti di dati diverse possono produrre risultati e classifiche diverse, a seconda dei criteri e dei metodi (si veda, per esempio).
  2. La bibliometria potrebbe non catturare l’intero spettro dei risultati e degli impatti della ricerca, in particolare quelli che non sono facilmente quantificabili, come gli impatti sociali, culturali o educativi. La bibliometria può anche trascurare la diversità e la complessità delle pratiche e dei contesti di ricerca, come la ricerca interdisciplinare, collaborativa o applicata, fondamentale in medicina come negli altri campi del sapere.
  3. La bibliometria può creare incentivi e pressioni per i ricercatori e le istituzioni per ottimizzare le loro prestazioni in base a determinati indicatori, come il conteggio delle citazioni, i fattori di impatto delle riviste o l’indice H (o indice di Hirsch, un criterio per quantificare la prolificità e l’impatto scientifico di un autore, basandosi sia sul numero delle pubblicazioni sia sul numero di citazioni ricevute). Ciò può portare a comportamenti strategici, come l’autocitazione, i gruppi di ricercatori autoreferenziali che si citano tra di loro, la suddivisione delle singole pubblicazioni in tranche, che possono distorcere la qualità e l’integrità della ricerca.
  4. La bibliometria può rafforzare i pregiudizi e le disuguaglianze esistenti nel sistema accademico e nel mondo della ricerca, come il predominio di alcune lingue, istituzioni, discipline e regioni, penalizzando anzitutto i Paesi del Sud globale. La bibliometria può anche emarginare o escludere alcuni gruppi di ricercatori, come le donne, le minoranze o i ricercatori all’inizio della carriera, che possono incontrare barriere strutturali o svantaggi nelle pratiche di pubblicazione e citazione.

Pertanto, la bibliometria dovrebbe essere utilizzata con cautela, trasparenza e senso critico, come uno dei tanti strumenti in grado di fornire approfondimenti e informazioni per la valutazione e il processo decisionale, in combinazione con altri metodi qualitativi e contestuali, come la peer-review (non dominata da studiosi mainstream in senso territoriale oltre che di approccio) o il giudizio di esperti.

Da quanto detto discende il rischio che i Paesi con una bassa produttività della ricerca e un basso livello di impatto scientifico siano in genere discriminati, semplicemente perché, purtroppo, i dati bibliometrici sugli scienziati nei Paesi in via di sviluppo – dove risiede la maggior parte della popolazione mondiale, compresa quella studentesca – sono limitati (considerando anche l’esistenza di riviste di dipartimento in lingue che non entrano nel circuito internazionale).

A riprova di ciò, in tempi in cui su ogni argomento è possibile – grazie alla crescita esponenziale dei contenuti disponibili su Internet e rintracciabili coi motori di ricerca – trovare moltissima letteratura scientifica, è invalsa nel mondo della ricerca la pratica della cosiddetta rassegna bibliografica ragionata che si avvale anche di metodi quantitativi, come nel caso della systematic review, quale fase preliminare di un approfondimento per avviare un lavoro, per esempio di dottorato. Con systematic review si intende un protocollo di rassegna sistematica, basato su alcuni criteri al fine di contribuire a garantire la trasparenza, la completezza e l’accuratezza del processo di rassegna bibliografica.

Una delle potenziali fonti di distorsione nelle rassegne sistematiche della letteratura scientifica è proprio la distorsione linguistica, che si riferisce alla tendenza a escludere gli studi pubblicati in lingue diverse dall’inglese o dalla lingua madre di chi realizza la systematic review, cioè – principalmente – lingue utilizzate nel Sud globale. La distorsione linguistica può portare a una sottostima della conoscenza scientifica, escludendo certi studi e i correlati luoghi di ricerca (ancora una volta soprattutto nel Sud globale) meno facilmente accessibili o non indicizzati dai principali motori di ricerca bibliografica; ovvero luoghi in cui i ricercatori possono incontrare maggiori barriere a pubblicare il loro lavoro su riviste internazionali.

A livello mondiale, i giovani studiosi sono un’opportunità fondamentale per il cambiamento e lo sviluppo sostenibile, perché guidano l’innovazione e la creazione di conoscenza. Pertanto, la loro crescita intellettuale e la loro traiettoria di carriera professionale sono essenziali per il futuro. Attualmente, gli studenti post-laurea con aspirazioni di carriera accademica e gli studiosi nei Paesi a basso e medio reddito sono la maggioranza, ma in molti casi non hanno un parametro di riferimento rispetto al quale valutare la produttività della propria ricerca e l’impatto scientifico.

Sebbene l’applicazione della bibliometria in medicina sia in uno stato relativamente iniziale rispetto ad altre materie, gli studi finora disponibili hanno documentato ampiamente il profilo bibliometrico degli accademici e ricercatori collegati alla medicina e alle scienze della salute nei Paesi a medio e alto reddito. Quel che emerge è che, per restare al caso della Nigeria, gli studi bibliometrici sono limitati al numero di pubblicazioni e al numero di citazioni; invece, altri parametri bibliometrici critici a livello internazionale, come il numero di co-autorialità, l’indice H e i punteggi dell’indice m-quotient (una metrica bibliometrica che misura l’impatto di un autore sulla base del rapporto tra il suo indice H e il numero di anni trascorsi dalla pubblicazione del suo primo articolo) sono considerati importanti per accertare la capacità di collaborazione e l’impatto scientifico dei ricercatori, ma non sono disponibili. Per questa ragione, tra altre, è meritevole lo sforzo condotto nel suo ultimo saggio da Joseph Abiodun Balogun.

Inoltre, la constatazione che molti scienziati di spicco nel campo della medicina provenienti dai Paesi in via di sviluppo facciano parte della diaspora dovrebbe sollevare importanti interrogativi su due fronti: sui sistemi di ricerca nei Paesi del Sud globale, ma anche sui processi internazionali di valutazione accademica e della ricerca scientifica. Per affrontare questo problema e migliorare le prestazioni degli accademici nei Paesi in via di sviluppo, occorrerebbe procedere a cambiamenti e adattamenti a vari livelli.

Da un lato, occorrerebbero cambiamenti nei processi di valutazione:

  • Diversificare i criteri di valutazione: le metriche tradizionali, come il numero di pubblicazioni e l’impatto citazionale, dovrebbero essere integrate con metriche alternative che valorizzino l’impatto locale, l’impegno nella comunità e le applicazioni pratiche della ricerca.
  • Riconoscere le riviste locali e regionali: molti ricercatori dei Paesi in via di sviluppo pubblicano su riviste locali o regionali che potrebbero non essere indicizzate nei principali database. Queste pubblicazioni dovrebbero essere riconosciute e valorizzate nelle valutazioni accademiche.
  • Incoraggiare la collaborazione locale: sebbene la collaborazione internazionale sia importante, anche le collaborazioni locali e regionali (sud-sud) dovrebbero essere incoraggiate e valorizzate, poiché sono fondamentali per affrontare le problematiche locali (a cominciare da quelle sanitarie), mentre di fatto sono scoraggiate a beneficio di collaborazioni sud-nord, per il maggiore impatto atteso.
  • Bilanciare insegnamento e ricerca: in molti Paesi in via di sviluppo, gli accademici sono fortemente gravati da responsabilità didattiche. Un approccio più equilibrato, che consenta di dedicare maggior tempo alla ricerca, può migliorare la produzione.

Per altro verso, occorrerebbe adattare i sistemi di ricerca:

  • Finanziamenti e risorse: aumentare i finanziamenti per la ricerca, concentrandosi sulle aree di rilevanza locale. Ciò include la fornitura di borse di studio, strutture di laboratorio e accesso a riviste e conferenze internazionali.
  • Sviluppo delle capacità: investire in programmi di formazione per migliorare le capacità di ricerca, la scrittura di progetti da proporre per finanziamenti e le strategie di pubblicazione. Ciò può includere workshop, programmi di tutoraggio e progetti di collaborazione con partner internazionali.
  • Sostegno alle politiche e alle infrastrutture: i governi e le istituzioni dovrebbero creare politiche a sostegno delle attività di ricerca, compresi i diritti di proprietà intellettuale, le linee guida etiche e i quadri di collaborazione per la ricerca.

Infine, occorrerebbe pensare a come ‘adattare’ l’analisi bibliometrica:

  • Inclusività linguistica: le analisi bibliometriche dovrebbero includere pubblicazioni in più lingue, non solo in inglese, per evitare pregiudizi linguistici.
  • Metriche contestuali: sviluppare nuove metriche che tengano conto delle sfide e dei contesti specifici dei ricercatori nei Paesi in via di sviluppo, come le limitazioni delle risorse, la rilevanza locale degli argomenti di ricerca e l’impatto sociale.
  • Modelli di collaborazione: riconoscere e valorizzare i diversi modelli di collaborazione più diffusi nei Paesi in via di sviluppo, come le collaborazioni intersettoriali e interdisciplinari.
  • Indicizzazione delle riviste locali: è necessario impegnarsi per includere un maggior numero di riviste locali e regionali nei database internazionali per aumentare la visibilità della ricerca nei Paesi in via di sviluppo.

L’obiettivo dovrebbe essere quello di creare un sistema di valutazione accademica e di ricerca che sia equo, inclusivo e che rifletta i diversi contesti in cui si svolge la ricerca. Ciò richiederebbe il passaggio da un approccio univoco a una comprensione più articolata delle problematiche e della specificità dei contributi dei ricercatori nei Paesi in via di sviluppo. Adattando i criteri di valutazione, i sistemi di ricerca e le analisi bibliometriche, si potrebbe riconoscere e sostenere meglio il prezioso lavoro di giovani accademici e ricercatori del Sud globale, portando infine a un panorama di ricerca globale (a cominciare da quella sulla salute) più equo ed efficace.

 

Foto Credits:
-Favouridowu, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons
-https://www.rawpixel.com/image/2282498/free-photo-image-science-laboratory-hospital NO license CC0