Burkina Faso Opinioni

La violenza in Burkina Faso

Bruzzone Domenico

Il Burkina Faso fino a qualche decina di anni fa si chiamava Alto Volta, appellativo che oggi appare estremamente coloniale, e che rimanda al tempo dei cartografi, profili professionali che vennero addirittura esportati nei paesi colonizzati, generando nuove, equivoche vittime del tempo. Oggi questo paese si chiama Terra degli uomini integri, e ancora anni fa era considerato unico, affascinante e per certi versi insuperabile: per la gentilezza, e l’empatia delle sue genti, e per una straordinaria capacità di organizzare il consenso internazionale attorno a un modello organizzativo regionale, che lo vedeva ad un tempo baluardo dell’occidente e porta girevole degli scambi regionali dell’Africa povera; quella dei villaggi, e delle capanne, e della sua capitale, Ouagadougou.

L’aspetto più attuale di Ouagadougou si svela molto meglio la notte o, meglio ancora, in tarda serata, quando la capitale sembra assumere allo stesso tempo l’aspetto di una città africana e siberiana. Nella semi-oscurità convivono una marcata desolazione metropolitana e i dettami ferrei e rigidi di una disciplina verticale di altri tempi. Negozi e bar sono chiusi, silenti, le insegne prepotentemente, e inutilmente, illuminate. Immagini pallide, seminascoste nell’opacità della polvere che di notte assume nuovi colori e formidabili spessori, grazie a qualche luce pubblica che appare e scompare, o che ostinatamente non funziona. Il traffico sulle grandi arterie è diradato, frettoloso e furtivo. In un teatro urbano così dismesso, le strade sono rese vive – perfino operose – da schiere di eroiche donne, molte delle quali anziane, che puliscono il selciato a mano, con lunghe scopette, spostando montagne di polvere, estirpando formidabili erbacce dagli anfratti dell’asfalto, con attrezzature semplici e preziose. Un incredibile corpo urbano denominato Brigade verte, erede della antica operosità di questo popolo, che ogni anno viene premiato dal Sindaco della città e da altre autorità, e che opera così da decenni. Sembra questo l’unico aspetto notturno rimasto intatto della città di prima, quando il Paese non era stretto in un vortice di insicurezza, attentati, nuova e mai conosciuta prima micro-criminalità urbana, e non aveva ancora smarrito le proprie certezze, le proprie abitudini e, forse, anche il proprio amore per la vita, carattere formidabile delle sue classi urbane di un tempo.

Era il tempo in cui studenti, giovani inurbati e classi lavoratrici animavano le vie, popolando interi quartieri di una joie-de-vivre fatta più di nulla che di poco, ma solida e inamovibile nella propria socialità semplice e musicale. Il tempo in cui fuori dai maquis, i bar notturni, fino alle due di notte, schiere di giovani si riunivano attorno a pochi tavolini, in gruppi pieni di curiosità e uniti dal desiderio di condividere una indistinta gioia, con spazi musicali che inondavano – quasi ovunque – la serata di tutti. Questo modo di vivere sembra sparito, anche se cerca di sopravvivere in alcune roccaforti, per lo più in quartieri lontani dal centro, dove si suppone la nuova violenza che ha marcato il Paese non possa, e non debba, arrivare.

Secondo una lettura suggestiva e pragmatica della nuova geografia planetaria, l’economia del mondo potrebbe dividersi in tre grandi aree: la regione di coloro che producono globalizzazione, forse i californiani; la regione di coloro che producono servizi per i creatori di globalizzazione, alcuni europei e asiatici; e poi, l’altro, il resto del pianeta. Ouagadougou è da sempre compresa nel resto del mondo, come tutta la fascia del Sahel; d’altronde, essa stessa è altro rispetto al resto del Paese, come nel caso di molte altre capitali di nazioni non più stabili: una città-stato e città-aeroporto, una realtà intangibile, ove il vero Paese arriva dalle campagne del nord anche solo per trovare riparo: un milione e mezzo di rifugiati interni sono la cifra approssimata del 2020-2021, in fuga dai villaggi assediati o devastati del nord e dell’est.

Quadro dei fattori di destabilizzazione e violenza in Burkina Faso

L’intera aerea saheliana vive da diversi anni – in particolare a seguito del conflitto libico e della destabilizzazione del Mali – una situazione di insicurezza, condizionata da fenomeni di matrice terroristica. Questi richiamano un mosaico di fattori che comprende fenomeni di brigantaggio in aree rurali, microcriminalità e criminalità organizzata dedita a traffici di armi, droga, merci, tratta di esseri umani; tensioni interetniche violente e conflitti sulle risorse del territorio e sulle risorse ambientali; gruppi insorgenti di matrice islamica con affiliazioni regionali o internazionali diverse, in particolare raggruppate con i due schieramenti maggiori dell’ISIS e Al-Quaeda. La situazione coinvolge in particolare il Burkina Faso, oggi fortemente destabilizzato, per prossimità geografica, e a seguito dei cambiamenti politico-istituzionali che hanno caratterizzato l’indebolimento del Paese fin dal 2014. Lo scenario politico-istituzionale risulta oggi molto instabile e il Burkina Faso rappresenta il Paese forse maggiormente esposto e a rischio della fascia saheliana, e con il minore controllo del territorio nazionale, che, nelle aree settentrionali e centro-orientali, deve oggi considerarsi spesso fuori della portata governativa. Sono infatti fortemente sconsigliati viaggi a qualsiasi titolo anche dal Ministero degli Affari esteri e dalla Cooperazione internazionale.

Dal gennaio 2016 il Paese ha subito numerosissimi attacchi armati, importanti per entità ed effetti, e con gravi perdite umane, soprattutto nella zona settentrionale confinante con il Mali, fino all’interno della capitale Ouagadougou. Il 2 marzo 2018 un attacco terroristico contro l’Ambasciata di Francia e lo Stato Maggiore delle Forze Armate del Burkina Faso provocò numerose vittime nel cuore della capitale (fra queste, anche alcuni cittadini italiani); già nell’agosto 2017 Ouagadougou era stata teatro di un attentato nel quale avevano perso la vita molte persone, inclusi cittadini stranieri. Nel gennaio 2016, nella stessa zona della città un ristorante italiano era stato assaltato da un gruppo armato, e tra le vittime si contarono anche un bambino italiano e sua madre.

In ragione del progressivo deterioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese, il 31 dicembre 2018 le Autorità del Burkina Faso hanno decretato lo stato di emergenza in diverse province situate nelle Regioni di seguito indicate: Hauts Bassins, Boucle du Mouhoun, Centre-Est, Est, Nord, Sahel. Il 13 luglio 2019 lo stato di emergenza è stato prorogato fino al 12 gennaio 2020. Il governo ha poi incrementato ulteriormente una tendenza già in essere, volta a contenere la circolazione delle informazioni, in un’atmosfera resa maggiormente impegnativa dalla crisi alimentare in corso, e dalle prossime elezioni presidenziali.

Nel marzo e maggio 2019 le forze di sicurezza (FDS) burkinabé hanno avviato operazioni militari nell’est e nel nord del Paese, con l’appoggio di una forza militare internazionale coordinata dalla Francia, mediante le quali hanno in parte mitigato il ripetersi di attacchi terroristici in quelle aree; tuttavia, ripetuti attacchi si registrano incessantemente dal centro (Kaya) alla regione settentrionale e orientale, e pure in aree prossime alla capitale.

Oggi, l’epicentro della violenza nel Sahel si trova al confine tra Burkina Faso, Mali e Niger, nella regione del Liptako-Gourma. È un’area in cui le popolazioni nomadi attraversano sempre più spesso i confini permeabili con mandrie, merci e beni, e in cui gli individui circolano e vivono in maniera  relativamente incontrollata e integrata. Si tratta di etnie amalgamate da secoli in relazioni di scambi   e traffici, che parlano le stesse lingue e quasi sempre condividono la stessa religione, l’Islam. I bambini e i giovani frequentano scuole coraniche, spesso in ciascuno dei tre Paesi, fortificando e   consolidando stretti legami di identità e di interesse. Quest’area, oltre ad essere zona di contrabbando e traffico di droga, sigarette e altre merci, armi ed esseri umani, è anche quella in cui vengono perpetrati i più numerosi e violenti attacchi da parte dei gruppi armati non statali di ispirazione         salafita-jihadista. Tra questi, lo Stato Islamico del Gran Sahara (EIGS), creato nel 2015, Ansaroul Islam, creato nel 2016 e Jama’ at Nusrat al Islam wal Muslimeen (JNIM), legato ad Al-Qaida, creato nel marzo del 2017, che comprende Ansar Dine, il Fronte di Liberazione del Macina (FLM), Katiba Serma, AQIM Sahara e Al Mourabitoun. Questi gruppi terroristici hanno complessivamente causato in Burkina Faso, Mali e Niger 2185 decessi nel 2019, cifra pressoché doppia rispetto alle 1112 vittime del 2018 e addirittura pari a un aumento del 3210% rispetto ai 66 decessi del 2010. La Tabella 1, che riporta in dettaglio le cifre relative al periodo 2010-2019, mostra chiaramente la netta tendenza all’incremento.

Tabella: Burkina Faso: incremento delle uccisioni in atti di terrorismo (2010-2019)

Fonte : Burkina Faso, Risque d’un nouveau Rwanda ? Observatoire pour la démocratie et les droits de l’Homme, Ouagadougou 2020

Risulta evidente il progressivo e oggi marcato deterioramento della situazione di sicurezza del Paese, in particolare a partire dall’anno 2013, e poi soprattutto nel biennio 2019 -2020 fino ai primi mesi del 2021.

Verso un nuovo modello di aiuti e assistenza tecnica?

Come indicato dai dati numerici desunti da multiple fonti, si constata in Burkina Faso – ma in generale in quasi tutta l’area saheliana, con epicentri in Burkina Faso, Niger, Mali settentrionale -, un formidabile e drammatico aumento della  violenza nel paese, nel quinquennio compreso fra il 2015 e il 2020, con una marcata tendenza all’incremento nel corso degli ultimi tre anni, durante i quali il governo centrale ha perso il controllo di vaste porzioni del territorio, in particolare nella regione saheliana e nell’est del paese, ma recentemente anche nelle aree frontaliere meridionali confinanti con la Costa d’Avorio.

L’anno 2020 è iniziato con un totale di 467 morti in soli tre mesi (386 civili e 81 elementi delle forze   di sicurezza), in un quadro in cui le organizzazioni umanitarie segnalano frequenti e gravissime violazioni dei diritti umani, i cui autori restano impuniti. Si è osservato un numero crescente di sfollati interni in fuga a causa del peggioramento delle condizioni di sicurezza del paese. Le agenzie tecniche delle Nazioni Unite concordano infatti nell’affermare che dal gennaio 2020 il paese è teatro di un esodo di massa, per il quale vengono stimati sul finire del 2020 oltre 920.000 sfollati (a fronte degli 1,3 milioni che riguardano anche Mali e Niger) su una popolazione di circa 19 milioni di abitanti, il che rappresenta un incremento del 1200% da gennaio 2019. Secondo dati del governo, il numero di sfollati interni aveva raggiunto le 560.000 unità già nel gennaio 2020, e si stima che nel gennaio 2021 quelli che gravitavano in parte sul polo della capitale avessero raggiunto il milione e mezzo. Il numero di persone definite “in bisogno di assistenza umanitaria” è passato dagli 1,5 milioni del dicembre   2019 ai 2,2 milioni del gennaio 2020, quota pari a oltre il 10 % della popolazione del Burkina Faso.

In questo quadro, alcuni criteri a definizione della presenza – oramai più che cinquantennale – degli aiuti italiani sull’asse di concentrazione Burkina Faso-Niger vanno evidentemente adeguati a un contesto mutato, e comunque in trasformazione. Elementi strutturanti di tale processo di ridefinizione potranno essere un progressivo spostamento verso l’assistenza umanitaria, un dialogo rafforzato con le agenzie del sistema multilaterale, come pure la ridefinizione di ruoli e statuti dei cooperanti, con adeguate formule di concentrazione strategica su temi e settori specifici.

Tra la fase di finalizzazione e correzione di questo testo, tre espatriati – due giornalisti spagnoli e un cooperante irlandese – che realizzavano un servizio sul bracconaggio nelle aree protette del paese, sono stati fermati e poi trucidati nella brousse dell’est del Burkina Faso il 27 aprile scorso. Questo richiama, in parte, le modalità di uccisione di sei cooperanti francesi (oltre all’autista e a una guida locale), della Ong ACTED avvenuto nell’agosto del 2020 nella riserva delle giraffe di Koure, presso la capitale Niamey, in Niger.

 

Foto Credits: Thigre, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons