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Società, economia o ambiente – Quale dimensione conta di più nello sviluppo sostenibile della Cina?

Steuer Benjamin

Per lo sviluppo futuro della Cina, il concetto di sviluppo sostenibile (SD) delle Nazioni Unite e i suoi rispettivi obiettivi (SDGs) svolgono un ruolo cruciale. Le ragioni sono legate alla rapida modernizzazione economica del paese, che dall’inizio degli anni Ottanta sta mettendo a dura prova le sue risorse naturali e l’ambiente. Una valutazione dello stato attuale dello sviluppo sostenibile in Cina rivela condizioni ambientali alquanto drammatiche: consumando il 50% del carbone globale, la Cina è diventata la maggiore fonte di inquinanti atmosferici al mondo: in ben 254 delle 293 città a livello di prefettura l’inquinamento atmosferico supera gli standard locali di PM2.5, già relativamente bassi. I bacini idrici e i fiumi principali sono gravemente inquinati: già nel 2013 il 60% delle acque sotterranee cinesi era al di sotto dei parametri considerati idonei per il consumo umano. Inoltre, il paese soffre di una carenza di risorse energetiche e minerarie. In termini di media relativa pro-capite, soltanto la Cina sfrutta il 43% delle disponibilità globali di riserve minerarie. Questo a sua volta spiega la necessità di importare enormi volumi di materiali, come cemento, carbone, alluminio e rame, che nel 2013 ammontavano rispettivamente al 61%, 53%, 49% e 44% del consumo globale.

Per far fronte a queste sfide, il governo centrale ha gradualmente adattato il suo modello di sviluppo in conformità e in parte ispirandosi ai princìpi internazionali, innovando i concetti di governance ambientale nazionale. Così, mentre la Cina si è impegnata attivamente dal 1992 nel programma di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, la leadership del paese ha formulato i propri modelli di governance della sostenibilità: quello di Società armoniosa (hexie shehui和谐社会), che sottolinea il ruolo della policy per gestire il conflitto emergente tra società e ambiente; quello di Civiltà ecologica (shengtai wenming生态文明), che si propone di indirizzare lo sviluppo della società verso il risparmio delle risorse e il rispetto dell’ambiente; e quello di Trasformazione verde (lüsehua 绿色化), che cerca di reindirizzare la crescita economica verso un percorso sostenibile. Tra i programmi di policy esistenti con impatto diretto sullo sviluppo sostenibile cinese, l’economia circolare (CE) è il progetto che fino ad oggi ha avuto maggior risalto. L’economia circolare, concettualizzata in Occidente, mira alla “realizzazione di un flusso materiale a circuito chiuso per l’intero sistema economico”. Pertanto i prodotti, i componenti e i materiali vanno mantenuti in uso il più a lungo possibile per estenderne il valore, mentre i rifiuti e l’uso delle risorse debbono essere ridotti al minimo. Per quanto convincente possa sembrare, questo concetto è oggetto di critiche sostanziali circa la sua completa realizzabilità e la sua sostenibilità ambientale e sociale. In ultima analisi, l’economia circolare porta avanti l’idea che la crescita economica sia il fattore chiave a sostegno dello sviluppo dei sistemi nazionali. Tuttavia, o forse proprio a causa di questa logica, l’economia circolare e i suoi principi fondamentali – reduce, reuse, recycle (riduci, riutilizza, ricicla) – si sono fatti strada nel quadro normativo cinese. Già nel 1992 il concetto è stato utilizzato per avviare una revisione delle operazioni industriali, in particolare per aumentare l’efficienza delle risorse nell’economia. Il marcato orientamento economico del concetto è stato recepito dalla stessa legislazione cinese sull’economia circolare, che ne sottolinea la natura principalmente economica, e solo in seconda istanza riconosce quella ambientale. Questo non solo differenzia l’economia circolare cinese dall’approccio occidentale, ma evidenzia anche un determinato ordine gerarchico tra le dimensioni dello sviluppo sostenibile in Cina: la sostenibilità ambientale e sociale è chiaramente subordinata quella economica.

Risultati e carenze dello sviluppo sostenibile in Cina

Per valutare i risultati dello sviluppo sostenibile in Cina, possiamo utilizzare due prospettive fondamentali.

In primo luogo, dal punto di vista normativo, il numero di leggi, direttive e regolamenti pubblicati è indicativo di quanto la nazione ambisca a una trasformazione sistemica. A questo proposito, gli sviluppi giuridici a livello nazionale hanno inviato forti segnali in materia di protezione ambientale. Dall’inizio degli anni Novanta, il numero di regolamenti promulgati è cresciuto in modo significativo, con oltre 600 disposizioni legali emanate solo nel 2014 . Inoltre, questa cifra non include altre 50 norme emanate nello stesso anno su questioni relative alla conservazione delle risorse, alla gestione dei rifiuti e all’economia circolare. Nonostante queste cifre possano sorprendere, vanno tenute presenti due avvertenze: (i) fino alla fine degli anni Ottanta non è stato fatto alcuno sforzo giuridicamente codificato di proteggere l’ambiente, per cui la recente istituzionalizzazione si traduce in un processo per rimettersi al passo; (ii) la corretta applicazione delle normative è fondamentale, ma troppo spesso nel campo della protezione ambientale prevalgono interessi locali orientati al Prodotto interno lordo.

Il secondo punto di vista da cui valutare lo sviluppo sostenibile cinese si basa sull’esame di cifre e dati ufficiali. Tuttavia, questo approccio risente dei problemi di affidabilità e delle imprecisioni inerenti alle statistiche ufficiali sull’economia e sul settore ambientale.

Pur considerando i fattori appena esposti, il paese ha compiuto progressi significativi in vari settori. L’energia rinnovabile ne è un notevole esempio, visto che nel 2018 in Cina la quota di consumo interno totale di energia primaria è stata del 12,7%, percentuale che si colloca solo leggermente al di sotto del 14,1% dell’Unione europea. Sulla più ampia scala degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, le rilevazioni dei rispettivi punteggi degli indicatori nazionali aggregati, effettuate tra il 2000 e il 2015, mostrano un miglioramento di circa il 21,9%. Mentre la maggior parte degli indicatori relativi agli SDGs è migliorata, in particolare quello dell’SDG 9 (industria, innovazione e infrastrutture  – aumento dell’indice di 25 punti), dell’SDG 10 (riduzione delle disuguaglianze – aumento dell’indice di 25 punti) e dell’SDG 17 (energia accessibile e pulita – aumento dell’indice dl 22 punti), altri sono addirittura diminuiti, come nel caso dell’SDG 14 (vita sott’acqua – diminuzione dell’indice di 15 punti), dell’SDG 12 (consumo e produzione responsabili – diminuzione dell’indice di 7 punti), dell’SDG 5 (raggiungimento della parità di genere – diminuzione dell’indice di 3 punti) e dell’SDG 13 (azione per il clima – diminuzione dell’indice di 1 punto). Molti dei casi in cui lo sviluppo sostenibile è stato compromesso o bloccato possono essere ricondotti a una scarsa efficienza delle risorse, ad attività economiche non sostenibili e al grave inquinamento. Risultati simili sono riportati a livello delle città, dove non si è riusciti a disaccoppiare la crescita economica e le emissioni inquinanti, nonostante i significativi investimenti al di sopra dei tassi di crescita del PIL.

Per quanto riguarda l’economia circolare, inizialmente i dati a livello macro indicano risultati degni di nota. Ad esempio, il numero di Parchi eco-industriali (EIP), zone industriali in cui le aziende scambiano simbioticamente acque reflue e rifiuti per sostituire le risorse primarie come materia prima, è cresciuto rispettivamente da zero a circa 160 unità tra il 2000 e il 2019. Questo approccio trasformativo, teso a frenare il consumo energetico e l’emissione di gas serra nei parchi tradizionali, ha comportato notevoli benefici sotto forma di un minor consumo di risorse e di una riduzione della quantità di rifiuti industriali per azienda. Tuttavia, la tendenza generale mostra ancora livelli crescenti di consumo di risorse nei Parchi eco-industriali.In questo contesto, in Cina preoccupa la scarsa produttività delle risorse (il rendimento monetario per unità o per risorsa consumata). Mentre il PIL e il consumo di materie prime sono andati crescendo di pari passo, l’efficienza nell’uso dei materiali, cioè la produttività delle risorse materiali, dal 2007 è migliorata appena. Quindi, per raggiungere un certo livello di circolarità in queste condizioni, la Cina dovrebbe fornirsi di un solido sistema di recupero delle risorse. Anche in questo caso i dati ufficiali documentano solo deboli miglioramenti: dal 1995 al 2015, la quota di materiali recuperati, trasformati e reimmessi nel processo produttivo è cresciuta soltanto dal 2,7% al 5,8%. A peggiorare la situazione ci sono le carenze di politiche ufficiali sulle preesistenti reti di recupero. In Cina, il sistema informale di riciclaggio, che prevede un’efficace divisione del lavoro e fornisce un approvvigionamento costante di materiali secondari post-consumo, è stato per lo più oggetto di divieti ufficiali piuttosto che di uno sforzo di integrazione. Ciò è in netto contrasto con l’approccio adottato in India, Africa e America latina, dove i governi locali hanno scelto una strada alternativa, più orientata all’integrazione.

Un verdetto sul futuro politico per lo sviluppo sostenibile in Cina

Facendo il punto sulle iniziative prese dalla Cina per promuovere lo sviluppo sostenibile, è chiaro che la leadership politica accelererà ulteriormente questo programma nel prossimo futuro. Allo stesso tempo, tuttavia, non è plausibile attendersi un approccio equilibrato, che promuova allo stesso modo tutte e tre le dimensioni della sostenibilità. Piuttosto, il Partito comunista cinese (PCC) continuerà inizialmente a promuovere la crescita economica e a spostare gradualmente l’attenzione sul miglioramento della sostenibilità ambientale. Mentre approcci simili sono stati adottati dai governi occidentali, in particolare quelli dell’Unione europea che sostengono l’economia circolare, nel caso del PCC la priorità accordata alla crescita equivale a salvaguardare la sua legittimità politica e la sua sopravvivenza sistemica. Tradizionalmente, sin dalle riforme economiche del 1977/79, la legittimità politica è dipesa essenzialmente  dalla capacità del Partito di promuovere la crescita economica, migliorando così il sostentamento delle persone e, in ultima analisi, la stabilità sociale. Tuttavia, in Cina la crescita estremamente rapida e allo stesso tempo ad alta intensità di risorse e inquinamento ha causato un deterioramento del suo ecosistema, a tal punto che le prospettive di stabilità socioeconomica continuativa sono sostanzialmente compromesse. Soppesando le esigenze politiche e l’aumento dei limiti che impone l’ambiente, è molto probabile che il PCC sposterà lentamente, ma costantemente, il focus dello sviluppo sostenibile nazionale sull’ambiente, in modo da preservare le basi della stabilità economica, politica e sociale cinese.

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Foto Credits: Life between worlds – FA Yuen Street Market, HK.  Radu Micu, Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0) attraverso Flickr
Chinese Sunset. Andrew Hitchcock, Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0) attraverso Flickr