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Le scuole segrete delle ragazze afghane

Ahadolla Hoseiny

A un anno dalla presa del potere da parte dei talebani, l’Afghanistan ha perso tutto il terreno che in questi anni aveva guadagnato; in particolare, l’oppressione sulle donne sta causando la scomparsa della loro indipendenza e del loro diritto all’istruzione.

Negli ultimi vent’anni, le aspettative nel campo dell’istruzione femminile erano sensibilmente cresciute. Per molte bambine, ragazze e donne andare a scuola rappresentava un sogno: per alcune di loro si è avverato, per molte altre da un giorno all’altro si è interrotto, restando un’illusione. Attualmente, a un’intera generazione di ragazze è proibito frequentare gli studi.

I talebani sono venuti meno alla promessa di lasciare che le ragazze frequentassero le scuole: quelle femminili oltre la primaria non hanno più riaperto e non vi è alcuna certezza che un giorno verranno riaperte. Il Ministero per l’istruzione ha stabilito che le scuole per le ragazze tra i 12 e i 19 anni rimarranno chiuse fino a quando non verrà ripristinato un nuovo modello di scuola, in conformità con “il giusto ambiente islamico”. Del resto, lo stesso ministro Abdul Haqqani ha dichiarato che “le qualifiche accademiche ottenute negli ultimi vent’anni non sono di alcuna utilità”.

La storia si ripete: vent’anni fa, al tempo del primo emirato, alle ragazze fu vietato di frequentare la scuola; gli istituti femminili vennero chiusi, e anche allora i talebani dissero che la chiusura era momentanea. Ma non fu così: le donne furono costrette ad abbandonare definitivamente i banchi scolastici, e anche le bambine a cui era permesso frequentare gli studi cominciarono invece a disertarli. Gli edifici scolastici furono attaccati e dati alle fiamme, e anche i bambini maschi restarono coinvolti; molte famiglie scelsero di non mandare più i figli a scuola per il timore che subissero violenze o fossero uccisi. Per cinque anni andare a scuola fu un’impresa molto faticosa. Insegnanti, attiviste e altre donne coraggiose iniziarono perciò a sfidare il regime avviando l’istruzione segreta delle bambine.

Nel 1995, Sakena Yacobbi fondò l’Afghan Institute of Learning, da cui partirono le tante scuole clandestine. Shukriya Barakzai (riuscita a fuggire a Londra da agosto dell’anno scorso) fondò una tra le prime scuole segrete per sottrarre le ragazze all’ignoranza talebana. Mareya Bashir (da agosto fuggita in Italia), giovane avvocato e prima procuratrice donna dell’Afghanistan operante a Herat, sia all’epoca che oggi, fu cacciata dal lavoro all’arrivo dei talebani, ma continuò a far studiare bambine e ragazze nella sua cantina. Malalai Joya (sfuggita ad oltre sei attentati, attualmente in clandestinità nel Paese) è forse la voce più rappresentativa e conosciuta a livello internazionale della resistenza femminile: una giovinezza da profuga nei campi profughi, prima in Iran e poi in Pakistan (dove poté studiare), rientrata nel Paese appena arrivati i talebani, si è attivata immediatamente e ha avviato l’istruzione segreta delle bambine, formando in breve tempo delle vere e proprie classi clandestine.

Questa rete segreta permise già nel 1999 di scolarizzare oltre 35.000 ragazze, nonostante chiunque organizzasse queste scuole, se scoperto, venisse condannato all’esecuzione capitale, anche davanti alle stesse alunne.

Dall’agosto 2021 le scuole femminili sono tornate in clandestinità. Di fronte alla chiusura, le studentesse non hanno avuto altra scelta. Freshta Karim, già molto attiva in questi anni per la difesa dei diritti dell’infanzia, anticipando i divieti ha da subito cominciato a distribuire di nascosto libri e materiale scolastico alle bambine.

La ripresa delle lezioni clandestine è già una realtà. In tutto il Paese sono nati gruppi, associazioni, formati non soltanto da donne: sono molti anche i maschi – insegnanti, attivisti, artisti – che non si rassegnano e sfidano le restrizioni ed i divieti cercando di organizzare lo studio delle ragazze in qualsiasi modo, nelle case private e ovunque ci si possa nascondere; in tutti c’è la consapevolezza del pericolo e della necessità di non lasciar morire l’istruzione femminile.

Inserita in questo contesto c’è l’iniziativa del mio amico Sharif Negah, poeta ed ex insegnante di letteratura a Kabul, cofondatore di una rete di scuole nascoste che ha dato il via a piccoli progetti clandestini di istruzione e formazione per ragazze, oltre a provvedere alla distribuzione di aiuti alimentari (attualmente il gruppo si è mobilitato per assistere la popolazione terremotata). L’associazione si avvale di diversi volontari – soprattutto ex insegnanti e studentesse universitarie – e si finanzia grazie agli aiuti dei giovani della diaspora afghana in Europa.

Queste e tante altre scuole sono nascoste nei diversi angoli delle città. Porte e finestre chiuse, le alunne sedute per terra, le lezioni vengono tenute a orari diversi, pochi gli strumenti didattici, limitate le ore di studio, si studiano solo alcune materie:  lingua, matematica, informatica, biologia, fisica, chimica. Le lezioni sono molto pericolose, sia per le alunne che per gli insegnanti, e anche per le famiglie che vi aderiscono; tutti rischiano la vita, ma la paura di essere scoperti non li scoraggia, nonostante i talebani facciano rastrellamenti, entrino a sorpresa nelle case e arrestino gli insegnanti; in passato, arrivavano persino a tagliare loro le mani. Accanto all’istruzione scolastica, si cerca di tenere in vita anche la formazione professionale femminile che tante Ong avevano avviato: si stanno attivando corsi di infermieristica, sartoria e lavorazione dei tappeti.

Si studia non soltanto in luoghi nascosti, ma anche in classi virtuali in rete. Già prima del ritorno dei talebani a Kandahar, era stata avviata l’alfabetizzazione digitale di settemila alunne; ora, nonostante la connessione non sia sempre presente, dalle iniziali quattro scuole virtuali si è arrivati a ventitré, e da settembre 2021 anche Radio Begum continua come può a trasmettere in lingua dari (soprattutto su Facebook) programmi di lettura di libri e consulenza scolastica.

Del resto, era abbastanza prevedibile che tutto questo sarebbe accaduto; in questi ultimi due anni, i talebani avevano lanciato segnali allarmanti per chi avesse voluto capire: nella loro riconquista di province e distretti ripresero ad attaccare e bruciare gli edifici scolastici, uccidendo centinaia di giovani. Per la prima volta dal 2002, nel 2019 il numero di bambini e soprattutto bambine che hanno abbandonato la scuola è aumentato, a causa dei problemi di sicurezza e degli sfollamenti, e degli enormi ostacoli – sia familiari che legislativi – che le ragazze dovevano affrontare. Molti degli interventi per l’educazione femminile sono diminuiti, migliaia di strutture scolastiche in questi due ultimi anni sono state distrutte dalla guerra o bruciate dai terroristi dell’Isis korasan o dagli stessi talebani.

Già prima del divieto di riapertura, soltanto il 48% delle ragazze frequentava la scuola ed oltre 3,7 milioni di bambini – di cui 2,6 milioni femmine – non erano scolarizzati.

Nonostante questi dati scoraggianti, in questi anni l’accesso all’istruzione ha rappresentato la sfida più significativa per il Paese. Le agenzie internazionali hanno finanziato la costruzione di scuole, la formazione di docenti, soprattutto donne. I risultati non sono mancati: nel 2003 il corpo insegnante non comprendeva neanche una donna, nel 2021 le donne ne rappresentavano il 25%.

Con la campagna “Ritorno a scuola”, il sistema scolastico aveva avviato cambiamenti significativi; nel 2008 la nuova legge sull’istruzione aveva stabilito il diritto di entrambi i sessi a un’istruzione gratuita fino alla laurea.

Secondo l’Unicef, da 800.000 studenti, per lo più maschi, dei primi anni duemila, si era arrivati a 9 milioni di studenti del 2021, dei quali il 39% ragazze; fino al 2018 il numero delle studentesse nelle scuole superiori raddoppiava ogni 5 anni.

Il sistema scolastico afghano va dal primo al sesto grado per la primaria, frequentata da studenti dai 7 ai 12 anni, poi seguono tre anni di scuola secondaria inferiore, dal settimo al nono grado, e infine tre anni facoltativi di scuola secondaria superiore; al momento questi ultimi due cicli sono proibiti alle ragazze.

Ora è tutto fermo, si è già perso un anno. L’attuale divieto ha creato uno vuoto tra la scuola primaria e lo studio universitario, e un’intera generazione di ragazze ha dovuto interrompere gli studi che avrebbero in seguito permesso loro di continuare con il percorso universitario. Una volta esaurito il numero di studentesse attualmente iscritte ai corsi accademici, non ci saranno più ragazze autorizzate a continuare gli studi; come negli anni novanta, il loro percorso formativo terminerà a dodici anni, e anche all’università, per il momento permessa, le rigide restrizioni hanno costretto molte allieve ad abbandonare. A causa della divisione di genere, dell’obbligo dell’hijab integrale e della riduzione di alcune discipline, l’intero sistema dell’istruzione sta crollando, mentre è in corso la revisione dei contenuti considerati troppo occidentali.

A differenza del passato, ora la popolazione è più consapevole dell’importanza dell’istruzione femminile. Quel milione di ragazze che frequentavano la scuola sta sfidando i talebani per le strade e in rete. Tentano di reagire, continuando a studiare in casa e aiutando le più piccole a continuare ad alfabetizzarsi.

Sulla chiusura delle scuole femminili anche gli stessi talebani sono divisi, ci sono contrasti tra la vecchia e la nuova generazione. La fazione degli Haqqani, vicina ad organizzazioni terroristiche e attualmente dominante, è quella più intransigente, ma allo stesso tempo altri manifestano una maggiore apertura. Del resto, le stesse figlie degli alti funzionari talebani aggirano il divieto frequentando le scuole superiori e le università in Qatar, Pakistan o Iran.

L’istruzione femminile è stata la speranza che ha accompagnato questi vent’anni di occupazione, ma in un anno si è completamente azzerata. La realtà delle scuole clandestine cerca di limitare i danni e attualmente è l’unica possibilità di far studiare le ragazze e di far sognare loro un futuro possibile.

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Marius Arnesen, CC BY-SA 2.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0>, via Wikimedia Commons