Yemen Opinioni

Lo Yemen sull’orlo della disgregazione

Carboni Andrea

Lo scorso 1° agosto 40 persone hanno perso la vita e altrettante sono rimaste ferite a seguito di un attacco missilistico che ha colpito una parata militare nel campo di Jala’a a ovest di Aden, nel sud dello Yemen. L’azione, compiuta dagli Houthi con il pretesto di impedire un’imminente offensiva militare, ha causato la morte del brigadiere generale Munir Mahmoud Ahmad al-Mashali, conosciuto anche come Abu Yamamah al-Yafi, alto ufficiale della cosiddetta “Cintura di Sicurezza” (al-Hizam al-Amni), un corpo paramilitare costituito nel 2016 sotto l’egida degli Emirati Arabi Uniti. Questo attacco, che pur nella sua gravità non è stato certo l’unico in una guerra che si protrae da ormai cinque anni, ha accelerato la disgregazione dello Yemen e della coalizione che sostiene il governo internazionalmente riconosciuto.

Pochi giorni dopo, infatti, le milizie secessioniste che fanno capo al Consiglio di Transizione del Sud (STC), un’autorità creata nel 2017 con lo scopo di ottenere l’indipendenza per il sud dello Yemen, hanno lanciato un’offensiva militare con lo scopo di espellere le forze governative da Aden. Sotto la guida di Hani Bin Burayk, vicepresidente del STC e esponente della corrente salafita in seno all’autoproclamatosi governo secessionista, il STC ha annunciato il 10 agosto la presa di Aden, apprestandosi a muovere le proprie truppe verso le province di Abyan e Shabwah. Qui però il STC ha trovato l’opposizione delle forze fedeli al governo del presidente Abd Rabbu Mansur Hadi, che in entrambe le province può contare su un’estesa rete di alleanze che include ras locali, dirigenti politici e alti ufficiali militari. Ad oggi, Aden rimane sotto il controllo del STC mentre Abyan e Shabwah sono ancora contese tra il STC e il governo, che ha nel frattempo designato Ataq, il centro principale della provincia di Shabwah, come nuova capitale temporanea.

Al di là di questa rapida successione di eventi, le vicende di agosto hanno avuto una duplice conseguenza. Da una parte, hanno contribuito a esacerbare le tensioni esistenti nel sud dello Yemen, attraversato da profonde lacerazioni tra le forze governative fedeli al presidente Hadi e l’autorità secessionista del STC, che si dichiara il principale rappresentante delle istanze dei popoli del sud dello Yemen. Dall’altra parte, hanno messo in luce le divisioni tra i principali azionisti della coalizione che sostiene nominalmente il governo internazionalmente riconosciuto, l’Arabia Saudita – che sostiene Hadi e il suo governo – e gli Emirati Arabi Uniti – che si sono invece schierati a fianco del STC durante gli scontri di Aden.

A partire dalla sua creazione nel 2017, il STC è riuscito a diventare la principale forza di opposizione al governo di Hadi nel sud del paese, anche grazie a un’articolata struttura militare. Nonostante dipenda formalmente dal Ministero dell’Interno, la “Cintura di Sicurezza” è uno dei pilastri del STC, attiva nelle province di Aden, Lahij, Abyan e, più recentemente, di Dhale. Oltre che sulla “Cintura di Sicurezza”, il STC presiede de facto anche sulle forze di élite attive a Shabwah e Hadramaut e su quelle create nella provincia orientale di Al Mahrah e sull’isola di Socotra. Quest’architettura militare è stata promossa dagli Emirati, che hanno finanziato e addestrato decine di migliaia di soldati principalmente con funzioni di antiterrorismo. Tale impegno ha effettivamente contribuito a indebolire le capacità operative delle milizie legate a AQAP (Al Qaeda in the Arabian Peninsula) e allo Stato Islamico in Yemen, oggi ridotte a poche centinaia di unità sparse tra le province di Al Bayda, Shabwah e Abyan.

Le forze leali al STC hanno tuttavia continuato a perseguire un’agenda secessionista, scontrandosi in più occasioni con le truppe governative fedeli al governo di Abd Rabbu Mansur Hadi, di cui gli Emirati stessi sono virtualmente alleati. Questa rivalità è culminata nel gennaio del 2018 quando la Guardia Presidenziale guidata dal figlio del presidente, Nasir Hadi, ha tentato di impedire una manifestazione secessionista ad Aden, dando luogo a violenti combattimenti con le forze della “Cintura di Sicurezza” e le milizie del STC, che hanno causato almeno 40 morti. A seguito di questi scontri, terminati anche grazie alla mediazione della coalizione a guida saudita, il STC ha esteso il proprio controllo nelle zone a est e a nord di Aden. Nei mesi successivi i contrasti tra il governo centrale e il STC non sono cessati: alti ufficiali secessionisti, tra cui il leader Aidarus al-Zubaidi e lo stesso Abu Yamamah, hanno promesso di espellere le forze governative dal sud, mentre nuovi scontri armati hanno avuto luogo a Aden, Shabwah, Dhale e persino nella remota isola di Socotra.

Il STC e le milizie secessioniste avrebbero usato anche altri mezzi per perseguire la propria agenda. Secondo alcuni documenti filtrati dalla procura generale di Aden lo scorso luglio, nel gennaio del 2016 il vicepresidente del STC Hani Bin Burayk avrebbe ordinato l’omicidio di Samhan Al Rawi, un imam originario di Aden. Tra il 2015 e il 2018, oltre trenta tra membri di Islah e religiosi moderati o contrari alla secessione sono stati assassinati nelle province di Aden, Lahij e Dhale. Sebbene i responsabili non siano mai stati trovati – con l’unica eccezione del tentato omicidio nel dicembre del 2015 del segretario di Islah a Aden Ansaf Ali Mayu, che ha visto implicati mercenari americani ingaggiati dagli Emirati Arabi Uniti – Islah sostiene che le milizie del STC, forti del sostegno emiratino, abbiano orchestrato una campagna di omicidi per reprimere le voci di dissenso nelle province meridionali. A ciò si aggiungerebbero gli arresti extragiudiziali e la detenzione di oppositori politici in prigioni gestite dagli Emirati Arabi Uniti e dai loro alleati secessionisti dove è praticata la tortura, come testimoniato da un panel di esperti delle Nazioni Unite e da varie organizzazioni non-governative.

Sebbene il STC sia riuscito nel corso degli anni a garantirsi un ampio consenso presso le élite locali e ampi strati della popolazione nel sud – come testimoniato da alcune recenti manifestazioni molto partecipate – ciò non è bastato a espellere definitivamente Hadi e il suo governo dalle province meridionali. Il fallito tentativo egemonico del STC ha varie ragioni e ciascuna di esse rappresenta i piani su cui si gioca lo scontro per il controllo sul sud dello Yemen. A livello locale, il STC non è stato capace di unificare il fronte che sostiene una maggiore autonomia o l’indipendenza per le province del sud. A seguito dell’offensiva di agosto, il STC ha dovuto fare i conti con una diffusa opposizione alla via militare all’indipendenza e al progetto secessionista che esso porta avanti in Shabwah, Hadramaut e Al Mahrah, dove alcune élite locali hanno negato il proprio supporto al STC o reiterato l’appoggio al governo di Hadi. Il STC è peraltro spesso percepito come un’organizzazione assai poco inclusiva, che sfrutta dispute locali ai fini del reclutamento di combattenti e i cui vertici provengono prevalentemente da Yafa, una regione tribale a nord di Aden.

A livello nazionale, invece, Hadi è riuscito a mantenere il determinante appoggio di influenti gruppi di potere nelle province di Abyan e Shabwah, dove il STC è stato costretto a interrompere la propria offensiva. Hadi, originario di Abyan come molti suoi ufficiali militari e alleati politici, ha incoraggiato la storica rivalità tra le province di Abyan e Shabwah da una parte, tradizionalmente più favorevoli all’unità, e quelle di Lahij e Dhale dall’altra, bastioni secessionisti e oggi roccaforti del STC. Sebbene il conflitto di oggi non ricalchi esattamente le origini di questa spaccatura, che risalgono agli anni Ottanta, Hadi ha utilizzato criteri regionali e familistici nella distribuzione delle cariche militari e politiche allo scopo di consolidare le proprie alleanze, alimentando accuse di clientelismo e corruzione. Nella provincia di Shabwah, inoltre, il sostegno del governatore Bin Adiyu e dell’influente tribù degli Awlaqi, unito all’intervento diretto di truppe di supporto provenienti da Marib, hanno contribuito a isolare il STC e a determinarne la sconfitta.

Infine, mentre le precedenti frizioni tra il governo e il STC erano state risolte grazie alla mediazione della coalizione a guida saudita, gli scontri dello scorso agosto hanno provocato una rottura senza precedenti tra l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, che della coalizione sono i principali azionisti. Le azioni degli Emirati – che hanno sostenuto attivamente il loro alleato locale nell’offensiva militare contro il governo internazionalmente riconosciuto – si sono scontrate con gli interessi dei sauditi in Yemen. Questi ultimi, pur non essendo aprioristicamente contrari all’indipendenza del sud dello Yemen, sono interessati a garantire la stabilità sul proprio confine meridionale, dove una maggiore frammentazione potrebbe favorire Al Qaeda, lo Stato Islamico e gli Houthi, alleati del loro arcirivale iraniano. Al contrario, gli Emirati godono di una maggiore libertà di azione e possono permettersi di sostenere la causa indipendentista senza preoccupazioni per la sicurezza ai propri confini. Guidato da queste considerazioni, l’intervento saudita a sostegno del governo è risultato certamente decisivo ai fini del fallito tentativo secessionista del STC.

A cinque anni dalla presa di Sana’a da parte degli Houthi, la risoluzione della guerra in Yemen appare sempre più distante. Nonostante la proiezione di tensioni regionali e internazionali sul fronte yemenita, le radici del conflitto continuano ad essere prevalentemente domestiche, e riflettono lotte di potere che si disputano a livello locale e nazionale. La disgregazione dello Stato yemenita è la conseguenza di queste lotte da cui sono emerse forze, come il STC e gli stessi Houthi, che contestano la legittimità del governo internazionalmente riconosciuto del presidente Hadi. Sebbene il conflitto sia spesso descritto in termini binari – gli Houthi contro il governo, gli Houthi contro l’Arabia Saudita, l’Arabia Saudita contro l’Iran, e così via – in Yemen i piani si mischiano, rendendo difficile separare le dimensioni locale, nazionale e internazionale. Riconoscere questa complessità è fondamentale per comprenderne le traiettorie future e identificare le possibili soluzioni.

 

Foto Credits: Felton Davis Attribution-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-ND 2.0) attraverso www.flickr.com