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La COP dell’attuazione: tra il realismo amazzonico e la diplomazia del possibile

Litre Gabriela

In un contesto geopolitico turbolento e in una corsa globale per ridefinire il patto climatico, il Brasile si prepara a ospitare, a Belém, la COP 30 – una conferenza che il Ministero degli Esteri brasiliano ha già definito come la COP dell’attuazione. L’obiettivo è ambizioso: aumentare il finanziamento climatico globale da 300 miliardi di dollari all’anno a 1,3 trilioni entro il 2035.

Tutto è iniziato nel novembre del 2022, quando Luiz Inácio Lula da Silva, appena eletto presidente, è sbarcato a Sharm El-Sheikh, in Egitto, per partecipare alla COP27. È stato il suo primo viaggio internazionale dopo aver sconfitto Jair Bolsonaro. In un gesto dal forte valore simbolico, Lula ha lanciato una proposta: portare la prossima conferenza sul clima nel cuore dell’Amazzonia.
L’idea ha avuto un duplice obiettivo: sul piano interno, segnare la rottura con il negazionismo ambientale del governo precedente; su quello internazionale, riposizionare il Brasile come guida morale e politica nell’agenda globale della sostenibilità.

Il gesto è stato più che diplomatico: è stato strategico. Nel maggio del 2023 è arrivata la conferma ufficiale. Belém ospiterà la COP30, dal 10 al 21 novembre 2025. L’annuncio è stato accolto come un recupero di protagonismo e come una rara occasione per il mondo di conoscere da vicino la realtà amazzonica.

La COP della verità

Durante una visita alla città, lo scorso ottobre, lo stesso Lula ha riconosciuto i limiti dell’infrastruttura locale. “Conosco i problemi di Belém: quelli di drenaggio, di povertà. Perché abbiamo accettato la sfida di organizzare lì la COP? Bisogna mostrare al mondo cos’è davvero l’Amazzonia. Non sarà la COP del lusso, sarà la COP della verità”, ha dichiarato. Con il suo consueto umorismo, ha aggiunto: “Faremo la migliore COP della storia, con tutti i problemi che abbiamo, perfino con qualche carapanã (una grossa zanzara amazzonica) che punge un gringo.”

Nell’Amazzonia, il carapanã è più di un semplice insetto: è una presenza inevitabile. Questa grossa e rumorosa zanzara, dalla puntura infallibile, fa parte della vita quotidiana delle città amazzoniche. Nelle parole di Lula, il carapanã è diventato una metafora del realismo amazzonico, un promemoria che questa sarà una COP della vita reale, vissuta nel caldo, nell’umidità e tra le sfide concrete della foresta.

La frase era scherzosa, ma la sfida è reale. La crisi degli alloggi è diventata il fulcro dei problemi logistici. La scarsità di camere e l’aumento vertiginoso dei prezzi hanno spinto oltre venti Paesi – tra cui Canada, Paesi Bassi, Svezia, Svizzera, Belgio e Austria – a chiedere ufficialmente il cambio di sede. Anche le delegazioni del Sud globale hanno protestato, sostenendo di non poter affrontare costi fino a 600 dollari a notte.

Per attenuare l’impasse, il governo ha noleggiato due navi da crociera, che aggiungeranno 3.800 posti letto agli circa 8.000 già disponibili nella rete alberghiera, e ha lanciato una piattaforma ufficiale per l’alloggio. Nonostante ciò, il segretario esecutivo della Convenzione sul clima, Simon Stiell, ha raccomandato ai Paesi e alle agenzie delle Nazioni Unite di ridurre le dimensioni delle proprie delegazioni. Il Brasile ha seguito la stessa linea e, in un gesto simbolico, ha annullato il concerto dei Coldplay, previsto nel programma culturale della COP.

La scarsità di alloggi minaccia un problema ancora più grande: il quorum minimo di 130 Paesi necessario per convalidare le decisioni multilaterali. Al 14 ottobre, l’organizzazione dell’evento ha comunicato che 162 Paesi risultavano accreditati, ma solo 87 hanno confermato di avere una sistemazione a Belém.

Mai prima d’ora si era temuta una COP con sedie vuote. A Parigi, durante la COP21 del 2015, l’Accordo di Parigi fu firmato da 195 Paesi – praticamente l’intero pianeta. L’assenza annunciata degli Stati Uniti alla COP30 aggiunge un ulteriore peso politico. In un momento in cui i governi mettono in discussione i costi della transizione energetica, la piena rappresentatività diventa essenziale per evitare passi indietro.

Dal discorso alla pratica: la COP dell’attuazione

Per il Brasile, questa sarà la COP della svolta: dal negoziato all’attuazione. Il presidente della conferenza, André Corrêa do Lago, e la direttrice esecutiva, Ana Toni, hanno ribadito che senza un forte aumento dei fondi per il clima non potrà esserci alcuna transizione. L’obiettivo: mobilitare 1,3 trilioni di dollari l’anno entro il 2035.

Appena insediatosi, Corrêa do Lago ha istituito il Consiglio ad hoc per Economia, Finanza e Clima, riunendo menti di primo piano come i premi Nobel Lars Hansen, Esther Duflo e Joseph Stiglitz, oltre a Nick Stern, Mariana Mazzucato e Vera Songwe. Il gruppo lavora alla definizione di meccanismi finanziari in grado di rendere economicamente vantaggioso proteggere le foreste, ripristinare gli ecosistemi e sostenere i popoli indigeni e le comunità tradizionali.

Da questa visione nasce il Tropical Forest Forever Facility (TFFF) – il Fondo per le Foreste Tropicali per Sempre – che sarà lanciato a Belém. L’obiettivo è raccogliere un capitale iniziale di 25 miliardi di dollari, che fungerà da garanzia per l’emissione di altri 100 miliardi in titoli verdi sul mercato internazionale. Il rendimento annuo per gli investitori dovrebbe essere analogo a quello dei titoli del Tesoro statunitense, circa il 4,5%.

Nel settembre scorso, durante una riunione alle Nazioni Unite, il Brasile ha annunciato un contributo iniziale di 1 miliardo di dollari al fondo. Colombia, Ghana, Repubblica Democratica del Congo, Indonesia e Malesia hanno aderito all’iniziativa, insieme a Paesi investitori come Germania, Francia, Norvegia, Regno Unito ed Emirati Arabi Uniti.

La particolarità del TFFF è la sua autonomia rispetto alle convenzioni delle Nazioni Unite, un fattore che ne accelera l’operatività. Più di settanta Paesi tropicali potranno aderire, a condizione che adottino regole di trasparenza e destinino il 20% delle risorse ai popoli indigeni e alle comunità locali.

Accanto al mercato integrato del carbonio, il TFFF rappresenta un tentativo di superare il vecchio modello di cooperazione basato sulle donazioni, per creare invece un flusso permanente di finanziamenti legato all’economia reale. Si tratta, in ultima analisi, di un nuovo paradigma di cooperazione Sud-Sud, che mira a coniugare responsabilità ambientale e sviluppo economico. Il Brasile punta sulla propria credibilità diplomatica e sul suo patrimonio forestale per guidare questa transizione.

Ma il percorso non è lineare. Nonostante i progressi – la deforestazione in Amazzonia è diminuita del 30,6% tra agosto 2023 e luglio 2024, raggiungendo il livello più basso dal 2015 – il Paese deve ancora affrontare dilemmi strutturali. Il più emblematico è il progetto di esplorazione petrolifera nella cosiddetta Margine Equatoriale, lungo la costa settentrionale.

Il governo sostiene che le entrate derivanti dal petrolio saranno utilizzate per finanziare la stessa transizione energetica. Tuttavia, i critici vi vedono un paradosso strategico che rischia di compromettere la coerenza della politica climatica brasiliana nel medio e lungo periodo.

Discussioni preliminari

La Pré-COP30, incontro preparatorio che si è tenuto il 13 e 14 ottobre a Brasília, con la partecipazione di oltre settanta delegazioni, ha offerto un’anteprima del difficile percorso che le ambizioni della diplomazia brasiliana dovranno affrontare per tradursi in realtà.

Nonostante la ministra dell’Ambiente, Marina Silva, abbia proposto che i negoziatori elaborino una roadmap per ridurre la dipendenza globale dai combustibili fossili, non è stato raggiunto un consenso, principalmente a causa della resistenza dei rappresentanti dell’Arabia Saudita e del disaccordo di India, Cina e altri Paesi arabi.

Non si è raggiunto un accordo nemmeno sull’aumento del contributo finanziario delle nazioni sviluppate per le misure di adattamento ai cambiamenti climatici, né sull’annuncio di obiettivi più ambiziosi per la riduzione delle emissioni di gas serra.

D’altro canto, la Pré-COP30 si è conclusa con un ampio sostegno all’iniziativa lanciata dal Brasile per quadruplicare a livello globale l’uso dei combustibili sostenibili – i cosiddetti combustibili verdi – e con un consenso diffuso sulla necessità di riformare il sistema di finanziamento climatico.

Tra poco più di un mese sapremo se la diplomazia brasiliana riuscirà a raggiungere i propri obiettivi, trasformando la COP nel palcoscenico in cui parole e azioni finalmente si incontrano, generando accordi capaci di guidare il mondo verso una conciliazione tra sviluppo e tutela ambientale – oppure se prevarranno le divergenze, ostacolando la tanto attesa “attuazione”.

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Foto Credits: Palácio do Planalto, Attribution 2.0 Generic, attraverso Flickr