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I futuri sostenibili iniziano dalla memoria: il potenziale architettonico nascosto di Sousse e Kerkennah

Smadah Sana

Sousse è una storica città costiera della Tunisia orientale, nota per l’antica medina e per un patrimonio urbano stratificato. Al largo, le isole Kerkennah formano un tranquillo arcipelago di villaggi di pescatori, dove l’architettura tradizionale riflette secoli di adattamento al clima e alla vita locale.

Oggi, a Sousse, l’ex iconico cinema ABC – un punto di riferimento culturale per generazioni – è a rischio di demolizione. Per inciso, questo cinema è solo un esempio tra i molti edifici del XX secolo che mostrano un ricco mix di stili architettonici: Art Déco, Art Nouveau (in Italia noto come “stile Liberty”), revival arabo-islamico, e altri ancora. Questi edifici, che un tempo incarnavano modernità e identità, oggi sono trascurati, privi di tutela e in molti casi in degrado o a rischio di crollo.

Anche a Kerkennah le modeste case a corte, costruite con materiali locali e secondo saperi ancestrali, stanno progressivamente scomparendo, non per necessità, ma per abbandono e indifferenza.

Non si tratta di episodi isolati, ma dei sintomi di una crisi più ampia e silenziosa: la progressiva scomparsa del nostro patrimonio edilizio ordinario, accompagnata da diffusa trascuratezza e da una scarsa consapevolezza collettiva.

Non stiamo perdendo soltanto edifici: stiamo perdendo una lingua, una memoria e un’identità condivisa.

La perdita invisibile: ciò che non comprendiamo, non lo proteggiamo

Gran parte del patrimonio architettonico tunisino non è ufficialmente classificato o tutelato. Non parliamo di grandi palazzi o di rovine inserite nella lista UNESCO, ma di case quotidiane, edifici del Novecento, abitazioni di pescatori, vecchie scuole, cinema di quartiere e spazi pubblici modesti. A prima vista possono sembrare comuni, eppure custodiscono un profondo valore storico: riflettono trasformazioni sociali, transizioni architettoniche e modi di vita locali. Riflettono trasformazioni sociali, transizioni architettoniche e modi di vita locali. Sono il tessuto della nostra memoria collettiva – i luoghi che abitiamo, che attraversiamo, in cui siamo cresciuti – e che raccontano silenziosamente chi siamo e a cosa apparteniamo.

Eppure, questo patrimonio “ordinario” è troppo spesso percepito come superato, irrilevante o semplicemente invisibile.

A Kerkennah, l’architettura tradizionale – fatta di muri spessi, patii aperti e sistemi di ventilazione naturale – incarna uno stile di vita sostenibile e perfettamente adattato al clima. Eppure, in assenza di consapevolezza, viene progressivamente cancellata dalla speculazione e da uno sviluppo non regolamentato.

A Sousse, il cinema ABC è ormai ridotto a una semplice “area disponibile”, e non più riconosciuto come memoria da preservare. Quando smettiamo di considerare qualcosa come patrimonio, essa smette di esistere, ben prima che arrivino le ruspe.

Preservare il nostro patrimonio per creare futuri urbani migliori (sostenibili)

Quando parliamo degli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite – gli SDG – ci riferiamo a un insieme di impegni che mirano a rendere il mondo più equo, più verde e più vivibile entro il 2030. Tra questi, l’SDG 11 riguarda le città e invita a renderle più sicure, inclusive e resilienti. Al suo interno, il traguardo 11.4 incoraggia i Paesi a valorizzare e proteggere il patrimonio culturale e naturale.

Ma come possiamo tradurre questi grandi obiettivi globali in cambiamenti concreti nei luoghi in cui viviamo?

Si parte dal livello locale: nei nostri quartieri, nelle nostre strade e persino negli edifici che attraversiamo ogni giorno. In concreto, significa includere il patrimonio – anche quello “ordinario” – nella pianificazione e nella gestione delle città. Non solo attraverso le leggi, ma anche tramite le piccole decisioni quotidiane: che cosa scegliamo di ristrutturare? Che cosa decidiamo di demolire? Che cosa vogliamo trasmettere alla prossima generazione?

A Sousse, questo potrebbe significare proteggere un cinema ricco di memorie invece di trasformarlo in un parcheggio. A Kerkennah, potrebbe voler dire riparare una casa tradizionale con tecniche locali, invece di sostituirla con un blocco di cemento che non rispetta né lo spirito né il clima dell’isola.

Perché questi cambiamenti diventino realtà, devono entrare in gioco molti attori: autorità locali, architetti, urbanisti, insegnanti, attivisti e ricercatori. Ma il ruolo più importante spetta a ciascuno di noi, in quanto cittadini.

Siamo gli utenti della storia. Le strade che percorriamo, i muri che sfioriamo e gli spazi che ricordiamo custodiscono significato, identità e potenziale. Imparando la storia della nostra città, condividendo racconti e difendendo un edificio locale, contribuiamo già a rendere concreti gli obiettivi globali.

Valorizzare e preservare l’ambiente costruito non è un gesto di nostalgia, ma un atto di sviluppo sostenibile. Riusare gli edifici esistenti significa meno demolizioni, meno rifiuti e più circolarità. Significa sostenere le economie locali, il turismo e i saperi tradizionali, rafforzando al contempo la coesione sociale e l’identità: elementi fondamentali per comunità resilienti.

Per questo motivo, dare nuova vita a quartieri ed edifici storici è essenziale. Non si tratta solo di rinnovare le mura, ma di ripensare l’uso delle nostre città oggi, senza cancellarne la memoria. Molte esperienze dimostrano che la preservazione del patrimonio edilizio può migliorare la vita quotidiana e rafforzare il legame tra persone e luoghi.

Non lontano da noi, a Essaouira, in Marocco, la medina storica è rinata grazie a interventi di restauro accurati che hanno migliorato abitazioni e spazi pubblici, sostenendo al tempo stesso artigianato e servizi locali. L’obiettivo non era solo il turismo, ma mantenere la città viva e vivibile per i suoi residenti.

A Lione, in Francia, aree industriali e storiche sono state trasformate attraverso progetti che hanno preservato l’identità architettonica dei quartieri, adattandola alle esigenze contemporanee. Quegli spazi sono diventati quartieri polifunzionali e vitali, che non cancellano il passato ma lo integrano nel presente.

Più lontano, a Quito, in Ecuador, il centro storico – un tempo in declino – è tornato a vivere grazie a un ampio impegno cittadino, incentrato sul restauro degli edifici antichi e sul sostegno alla vita locale. Sono ricomparse abitazioni, spazi culturali e piccole imprese, generando lavoro e rafforzando il tessuto sociale.

Questi esempi ci ricordano che il patrimonio non appartiene soltanto al passato: è la base su cui costruire città migliori e più sostenibili oggi.

Il patrimonio come progetto per il futuro!

Preservare il patrimonio costruito non significa congelare il passato, ma dare profondità al presente e costruire un futuro più ricco e radicato. Vuol dire riconoscere che una casa a Kerkennah o un cinema a Sousse possono insegnarci resilienza, creatività e senso di appartenenza.

Non possiamo costruire un futuro sostenibile cancellando tutto ciò che ci ha plasmati.

Riconnettiamoci ai nostri luoghi. Impariamone le storie. Trattiamo il nostro patrimonio, per quanto modesto, non come un ostacolo, ma come uno strumento prezioso per immaginare città sostenibili, inclusive e vitali.

 

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