Mondo Editoriali

La guerra contro i popoli, la fine delle regole in guerra

Khosravi Alireza

Per gran parte della storia moderna, le guerre sono state combattute tra eserciti, e le principali infrastrutture militari, le basi e gli arsenali erano i bersagli principali. L’assunto di base era chiaro: la guerra, pur nella sua brutalità, aveva delle regole soprattutto quando si trattava di proteggere i civili. Ma nei conflitti attuali, questo principio sta rapidamente scomparendo. È avvenuto un cambiamento inquietante: l’attenzione della guerra si è spostata dai campi di battaglia alle città, dai soldati ai civili. Intere popolazioni, quartieri urbani, servizi pubblici e fondamenta culturali sono oggi deliberatamente presi di mira come strumento di guerra (UNESCO, 2024).

Questo cambiamento riflette molto più di una semplice evoluzione tattica: mostra una trasformazione profonda del modo in cui la guerra viene combattuta e giustificata. Non stiamo più assistendo solo a scontri tra eserciti. Stiamo osservando la demolizione sistematica di intere società.

Tecnologia avanzata al servizio della distruzione dei civili

I progressi tecnologici degli ultimi decenni non hanno portato alla pace: hanno perfezionato la distruzione. Missili di precisione colpiscono ora le fondamenta dei palazzi residenziali. I droni armati sono in grado di distruggere impianti idrici, centrali elettriche o inseguire una singola persona in mezzo a una strada affollata. Queste armi non vengono usate in deserti remoti o in basi isolate: vengono impiegate in case, scuole, mercati e ospedali (CICR, 2022).

Ciò che un tempo era considerato “danno collaterale” è ora parte integrante della strategia. In molti conflitti recenti, l’obiettivo non è semplicemente sconfiggere un gruppo armato: è logorare e paralizzare la popolazione civile che lo circonda o lo sostiene. Distruggendo le infrastrutture e il morale della popolazione, la guerra diventa uno strumento di punizione collettiva.

Giustificare l’ingiustificabile: il linguaggio della guerra

Insieme a queste pratiche, è emersa una nuova forma di propaganda. Le guerre moderne si raccontano anche con un linguaggio studiato per giustificare l’inaccettabile. I civili uccisi nei bombardamenti non vengono più considerati vittime innocenti – vengono etichettati come “filo-regime” o “simpatizzanti”. Scuole e ospedali vengono bombardati con l’accusa di essere strutture “a duplice uso”. Sistemi idrici, reti elettriche e magazzini alimentari vengono distrutti e poi descritti come “risorse strategiche del nemico”.

Questa manipolazione del linguaggio non è accidentale – è parte integrante della strategia di guerra. Trasformando ogni bersaglio civile in un presunto obiettivo militare, le leggi della guerra vengono piegate fino a rompersi. Una recente nota dell’UNESCO sottolinea come questo cambiamento nel linguaggio abbia normalizzato la sofferenza dei civili e offuscato i confini etici dei conflitti (UNESCO, 2024). Ancora più allarmante è il modo in cui questa narrazione giustifica fame e migrazioni forzate. La fame viene presentata come il risultato della corruzione. Le migrazioni di massa sono interpretate come il fallimento gestionale dello Stato colpito. Ma in realtà, questi sono effetti voluti della guerra, pensati per far crollare la volontà di intere società.

Distruggere le nazioni colpendo le loro fondamenta

Stiamo assistendo a un’evoluzione inquietante: la nazione stessa, le sue persone, la sua identità culturale, il suo diritto a sopravvivere viene percepita come una minaccia. E dunque diventa il bersaglio. La logica è crudele ma chiara: se una nazione resiste, la sua popolazione deve essere portata alla sofferenza fino alla resa.

In questo schema, la guerra diventa più che uno scontro armato: diventa una cancellazione sociale. La distruzione delle infrastrutture, la manipolazione degli aiuti umanitari, l’uccisione di civili non sono più effetti collaterali. Sono la strategia. L’obiettivo non è solo la vittoria, ma la cancellazione dell’identità collettiva e della capacità di resistenza (GEM Report, UNESCO, 2011).

Dai valori della guerra alla svalutazione delle violazioni nelle guerre moderne

Dopo la Seconda guerra mondiale, il mondo ha fatto una promessa collettiva: mai più i civili sarebbero stati trattati come bersagli. Le Convenzioni di Ginevra, la nascita delle Nazioni Unite e dell’UNESCO hanno sancito un ordine internazionale basato sulla protezione della vita, della cultura e della pace, anche in tempo di guerra. Nel tempo, il diritto umanitario si è evoluto per riflettere questi principi condivisi. Ma oggi, questi principi sono sotto attacco. Le linee rosse che un tempo contenevano la violenza più brutale vengono attraversate ogni giorno. I conflitti attuali in Siria, Yemen, Ucraina, Sudan e Gaza sono segnati da violazioni flagranti dei principi umanitari, con conseguenze devastanti per le popolazioni civili (CICR, 2022; UNESCO, 2024). L’UNESCO ha avvertito che “la cultura è diventata la prima linea della guerra”, e che colpire il patrimonio e la vita civile è una strategia deliberata di dominio e divisione (UNESCO, 2024). Quando tali violazioni non trovano risposta, il messaggio che passa è chiaro: non esistono più limiti.

Se restiamo in silenzio, altre nazioni cadranno

Se non alziamo la voce adesso, il corso della storia prenderà una piega sempre più oscura. Altre nazioni verranno distrutte non perché i loro eserciti abbiano fallito, ma perché le loro società saranno annientate. Altri civili moriranno non per errore, ma per scelta. Altri bambini cresceranno tra le macerie, altre comunità verranno cancellate, altre culture andranno perdute. Non si tratta solo di una crisi umanitaria. È una crisi morale. Il mondo deve riaffermare il suo impegno per il diritto internazionale, per la protezione dei civili e per l’idea che la pace meriti ancora di essere difesa. Se falliamo in questo, le guerre del futuro non solo continueranno, ma saranno sempre più violente, distruttive e spietate.

Foto Credits: Peter Thoeny, Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic. Attraverso Flickr