Il governo argentino propone di abbassare l’età della responsabilità penale da 16 a 13 anni, scatenando un acceso dibattito. I delitti commessi dagli under 18 sono solo il 2% del totale e le prospettive per i giovani argentini sono preoccupanti: il 69% dei minorenni vive in povertà e solo il 13% completa la scuola nei tempi previsti.
Il governo del presidente Javier Milei ha recentemente presentato un progetto di legge per abbassare l’età minima di imputabilità penale dei minori da 16 a 13 anni. Questa proposta, che ha suscitato un acceso dibattito nel paese, si inserisce in un contesto latinoamericano in cui la sicurezza e la povertà infantile sono spesso trattate come facce della stessa medaglia. Secondo il comunicato ufficiale, l’esecutivo argentino ritiene che anni di politiche “garantiste” abbiano facilitato il reclutamento di minori per crimini, approfittando della loro immunità legale.
L’annuncio ha sollevato forti critiche, anche da parte di figure influenti come Papa Francesco che, durante un’udienza con una delegazione di giudici argentini, ha sostenuto che l’educazione e il reinserimento dovrebbero essere priorità di qualsiasi riforma del sistema penale minorile, piuttosto che l’abbassamento dell’età di imputabilità. Anche la Pastorale Carceraria Argentina ha manifestato la propria opposizione: «Riteniamo che sia necessario un nuovo regime penale giovanile che accompagni e promuova integralmente lo sviluppo dei minori, ma senza abbassare l’età minima di imputabilità», ha dichiarato in un comunicato.
La legge argentina attuale, risalente al 1980, emanata durante l’ultimo regime dittatoriale, fissa l’età minima di imputabilità penale a 16 anni. Al di sotto di questa età, i minori non possono essere processati, e tra i 16 e i 18 anni esiste un regime penale giovanile che limita la detenzione solo ai reati più gravi. Tuttavia, il sistema federale argentino consente alle singole province – equivalente agli Stati federativi – di stabilire i propri regimi penali giovanili, purché rispettino le linee guida nazionali. Alcune province, come quella di Buenos Aires, hanno sviluppato complessi sistemi di reinserimento e supporto per i giovani delle zone più vulnerabili, lavorando spesso in collaborazione con le segreterie municipali per l’infanzia.
«Negli ultimi vent’anni, questa proposta di abbassare l’età di imputabilità è diventata ricorrente, soprattutto da quando la sicurezza è diventata una delle principali preoccupazioni degli argentini», ci spiega Angela Oyhandi, direttrice dell’Osservatorio sulle politiche di sicurezza cittadina dell’Università di La Plata. Proprio in vista della presentazione del progetto di governo, l’Osservatorio ha pubblicato una serie di dati intorno all’analisi dei delitti commessi da minori nella provincia di Buenos Aires, dove vive quasi il 40% della popolazione argentina: solo il 2,2% dei delitti registrati dal potere giudiziario della provincia corrispondono a minorenni. Un numero estremamente esiguo, che inoltre è in netto calo, visto che nel 2009 i casi rappresentavano il 4,3% del totale. «Abbassare l’età di imputabilità dei minori è una misura estremamente demagogica, facile da trasmettere, che genera immediata adesione per un problema che è reale, visto che gli standard di sicurezza in Argentina sono davvero bassi, ma che chiaramente non risolve nulla. E poi permette alle forze di governo di rafforzare la dicotomia tra coloro che, secondo la logica delle forze al potere, vorrebbero proteggere le famiglie dai delinquenti e il progressismo. Si collega così alla frattura politica che propongono per interpretare la situazione attuale nel paese».
Le condizioni socioeconomiche attuali dell’Argentina sono allarmanti. Secondo le ultime stime dell’Osservatorio del Debito Sociale Argentino dell’Università Cattolica, il 54,6% della popolazione si trova oggi sotto la soglia della povertà. Secondo dati Unicef, il 69% dei minorenni argentini (equivalente a circa 8,6 milioni di persone) sono poveri. Proprio l’Unicef ha pubblicato ad agosto un rapporto che ha evidentemente irritato il governo argentino, in cui sostiene che un milione di bambini non ha il necessario per cenare, e che il 90% delle famiglie argentine dove vivono 7 milioni di bambini ha dovuto rinunciare a comprare latte e i suoi derivati durante gli ultimi sei mesi. La situazione dell’infanzia e adolescenza in Argentina è resa poi ancor più difficile dalle preoccupanti condizioni in cui versa il sistema educativo. Tre giovani su 10 non concludono la scuola dell’obbligo (prevista fino a 17 anni), e solo il 13% del totale lo fa secondo i tempi previsti dal sistema educativo. Nel 2023, l’11,4% degli argentini tra i 13 e i 17 anni non frequentavano alcuna istituzione scolastica.
La crisi sociale argentina ha trasformato le scuole pubbliche argentine in istituzioni indispensabili per il sostegno sociale alle famiglie più vulnerabili, garantendo mense e distribuzione di beni di prima necessità, ponendo però l’offerta formativa in un secondo piano. Questo ha promosso col tempo una privatizzazione di fatto del sistema educativo, dove i giovani più poveri frequentano scuole pubbliche spesso in pessime condizioni edilizie e le famiglie in migliori condizioni economiche scelgono invece la scuola privata. Nel 1990 gli studenti delle scuole private rappresentavano il 19% del totale, mentre oggi sono circa il 28% a livello nazionale e nei distretti più ricchi del paese, come la capitale Buenos Aires, superano il 50%. «Non sono sempre d’accordo sull’associazione tra delitto e povertà», sostiene Oyhandi a riguardo, «ma è innegabile che quando si tratta di bambini il delitto è strettamente legato alla mancanza di affetto e cura nel seno della famiglia. Si tratta di giovani che vivono in famiglie ai margini, i cui genitori spesso infrangono la legge per vivere, o consumano droghe. Quello dei minorenni è un settore delittuoso con una componente sociale determinante, e far entrare ragazzini sempre più piccoli nel sistema penale non serve, e ci sono prove più che sufficienti per dimostrarlo».
Dal punto di vista della sicurezza poi, l’Argentina non si trova di certo tra i paesi più violenti del continente. Anzi, con un tasso di 4,4 omicidi per ogni 100.000 abitanti, il paese può considerarsi come uno dei più sicuri dell’intero continente. «L’alto tasso di criminalità ha come principali vittime gli abitanti dei quartieri poveri, i cui casi molto spesso non vengono nemmeno registrati nelle statistiche ufficiali. Ma la ricorrenza di proposte punitive e demagogiche è un luogo comune dalla fine degli anni Novanta a oggi. Sono già state aumentate le pene per quasi tutti i delitti; sono già state inasprite le condizioni processuali per gli accusati; una delle poche misure ad effetto che rimane è l’abbassamento dell’età d’imputazione. Che alla lunga potrebbe addirittura trasformarsi in un problema per la destra al governo: se passa la riforma cosa gli resterà da proporre quando il crimine e la violenza non si ridurranno?», si chiede Oyhandi, che segnala comunque un’incongruenza: generalmente, si osserva un aumento del delitto quando le condizioni socioeconomiche si inaspriscono, mentre in Argentina sta succedendo l’inverso. Mentre la povertà aumenta il tasso di omicidi ogni 100.000 abitanti e la partecipazione dei minorenni nei delitti in generale diminuisce. «Personalmente sto lavorando sull’idea che la riduzione degli omicidi sia legata in qualche modo alla riduzione della quantità di giovani maschi nella popolazione attuale. È una pista battuta già nel secolo scorso che spiegò perché il crimine aumentava in Europa nonostante il miglioramento delle condizioni sociali negli anni Cinquanta, e molti cercarono la soluzione nel baby-boom: ad una certa età, i giovani maschi spesso tendono a portare avanti qualche piccolo delitto, ma poi non seguono una carriera criminale. Qui si ha una relazione inversa: si riduce la popolazione giovane e si riducono anche i delitti gravi, specialmente quelli commessi da minorenni».
In Argentina, la maggior parte dei crimini commessi dai minori riguarda furti e reati contro la proprietà, che sono più comuni rispetto alla media latinoamericana. «La società argentina è caratterizzata da un maggior contatto tra settori sociali diversi, il che potrebbe spiegare il tasso più elevato di reati contro la proprietà,» osserva Oyhandi. «È anche possibile che in Argentina si denunci di più.»
Argentina e Cuba sono gli unici due paesi latinoamericani che mantengono la soglia per l’imputabilità dei minori a 16 anni. Il panorama regionale è invece molto più complesso. I regimi penali più punitivi si trovano sicuramente ai Caraibi, dove la maggior parte dei paesi hanno sostenuto una tradizione giuridica di tipo anglosassone, derivata dall’epoca della colonizzazione. A Granada e a Trinidad e Tobago ad esempio, un minorenne può essere imputato penalmente a partire dai 7 anni. A Saint Vincent e Grenadine e a Antigua e Barbuda, la soglia è agli 8 anni (come in Scozia). Anguila, Saint Kitts e Nevis, Suriname e Guyana invece hanno imposto la soglia dei 10 anni, come succede oggi in Inghilterra. In Sudamerica invece la soglia si mantiene più simile agli standard europei, tra 12 e 14 anni. Un discorso a parte invece per gli Stati Uniti: 34 Stati Usa infatti non hanno un’età minima, e in 24 di essi i minorenni vengono spesso giudicati al pari degli adulti, contraddicendo di fatto le principali convenzioni internazionali.
Il progetto di legge vuole dunque adeguare la norma argentina al resto del continente, ma introduce un fattore punitivista inedito: le condanne previste dalla proposta del governo Milei arrivano a 20 anni di reclusione per i delitti più gravi, e sarebbe la più alta della regione. «Io credo che il sistema penale già di per sé non offre soluzioni che permettano di ridurre i delitti. E ancor meno quelli legati ai minorenni, che sono i delitti maggiormente associati alle condizioni sociali, economiche, materiali, alla mancanza di cure famigliari», conclude Oyhandi. «Nella provincia di Buenos Aires ci sono minorenni di 14 o 15 anni colpevoli di delitti gravi che sono sotto custodia. Non c’è bisogno di cambiare la legge. Per di più sono pochissimi: nei primi mesi del 2024 ancora non c’è stato nemmeno un caso. In tutto il 2023 ce n’è stato uno solo. Stiamo parlando di una problematica ridottissima, su cui si sta montando una campagna molto grande e che si alimenta anche dell’esperienza di molta gente, che sa che nel proprio quartiere ci sono ragazzini che rubano un cellulare, e lo stato chiaramente deve intervenire. È chiaro che bisogna cambiare la dinamica attuale, in cui un minorenne commette un furto, la polizia lo arresta, e poche ore dopo lo rilascia per strada. Lo Stato deve affrontare situazioni di questo tipo, ma per farlo servono investimenti e idee innovative. Esistono sistemi di prevenzione e protezione di minorenni che permettono di analizzare perché un ragazzino di 13 o 14 anni si trovi in quella situazione. Il problema è che i servizi dedicati a questo tipo di azioni non hanno né i fondi né il personale adeguati per agire. Ci sono casi molto positivi ma oggi quel che manca è budget, volontà e visibilità delle esperienze positive”.