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Afflussi di Investimenti diretti esteri (IDE) in percentuale del PIL- per regione – 2010-22

Redazione

Afflussi di Investimenti diretti esteri (IDE) in percentuale del PIL, per regione, 2010-22

(Fonte: The World Bank, 2023)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I dati della Banca Mondiale per ogni regione corrispondono a medie ponderate. Gli investimenti diretti esteri (IDE) sono un buon indicatore economico complementare agli investimenti lordi perché riflettono la capacità di un Paese di attrarre capitali stranieri e di integrarsi nelle catene globali del valore. Gli IDE mostrano anche il livello di innovazione, competenza e competitività delle imprese locali, che possono beneficiare della collaborazione con i partner esteri. Inoltre, gli IDE possono avere effetti positivi sulla crescita economica, sull’occupazione, sulla produttività e sulla qualità dei prodotti e dei servizi.

Un rapporto tra IDE e PIL elevato indica che un Paese è in grado di attrarre e mantenere gli investitori esteri, offrendo loro vantaggi competitivi e condizioni favorevoli. Un rapporto basso, invece, può segnalare una scarsa apertura e attrattività del Paese, o una forte dipendenza da fonti di finanziamento interne.

Al contempo, tuttavia, gli IDE possono comportare anche dei rischi per il Paese ospitante. Tra i principali rischi ci sono:

  • Il rischio di fuga di capitali: gli investitori esteri potrebbero ritirare i loro investimenti in caso di crisi economica, politica o sociale, oppure per biechi calcoli d’interesse a ragioni speculative, causando una riduzione della liquidità e della stabilità finanziaria del Paese.
  • Il rischio di trasferimento di profitti: gli investitori esteri potrebbero trasferire i loro profitti e dividendi all’estero, riducendo le entrate fiscali e la ricchezza nazionale del Paese; talvolta, proprio per attrarre investitori esteri, i governi dei Paesi del Sud globale assicurano la possibilità di rimpatriare i profitti esentasse.
  • Il rischio di dipendenza: il Paese ospitante potrebbe diventare eccessivamente dipendente dagli investitori esteri, perdendo il controllo sulla propria politica economica e sulla propria sovranità.
  • Il rischio di distorsione: gli investimenti esteri potrebbero distorcere la struttura produttiva e il commercio del Paese, favorendo alcuni settori a scapito di altri, e creando squilibri e disuguaglianze sociali.
  • Il rischio di spoliazione: gli investitori esteri potrebbero sfruttare le risorse naturali e umane del Paese, causando danni ambientali e sociali, e compromettendo lo sviluppo sostenibile.

Per mitigare questi rischi, il Paese ospitante dovrebbe adottare delle politiche appropriate, come il monitoraggio e la regolamentazione degli IDE, la promozione di investimenti responsabili e sostenibili, la diversificazione delle fonti di finanziamento, possibilità non sempre praticabili per governi di Paesi in via di sviluppo.

I dati mostrano che, sebbene i livelli di investimento siano bassi in America Latina e Caraibi, la regione ha però attratto livelli relativamente alti di IDE rispetto ad altre economie emergenti. Nel 2022 è stata la regione che ha ricevuto i maggiori flussi di IDE a livello mondiale in rapporto al PIL, posizione che ha mantenuto anche tra il 2018 e il 2020. Per mettere in prospettiva questi afflussi di IDE in prospettiva, le risorse finanziarie messe a disposizione dal Piano Marshall per promuovere la ripresa dell’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale furono 13 miliardi di dollari nel 1948, equivalenti a 160 miliardi di dollari nel 2022. Analogamente, mentre il Piano Marshall ammontava a circa il 2% dei redditi nazionali combinati dei Paesi beneficiari tra il 1948 e il 1951, gli IDE nell’America Latina e nei Caraibi hanno superato il 3% del PIL nei periodi 2017-19 e 2020-22, raggiungendo il 4% del PIL nel 2022 (raggiungendo quasi 225 miliardi di dollari).

Rispetto ai flussi di investimenti interni, gli IDE risultano molto più volatili, cioè con forti oscillazioni di anno in anno – come dimostra, per esempio, il caso dell’Africa sub-sahariana -, il che rende l’afflusso poco programmabile e, quindi, più aleatorio per le strategie di sviluppo di lungo periodo.