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Il dramma delle donne palestinesi a Gaza in tempo di guerra

Rahman Fazzur

Mentre il 2023 volgeva al termine e il mondo si preparava all’arrivo del 2024, l’organizzazione UN Women celebrava, come di consueto, i suoi 16 Giorni di attivismo contro la violenza di genere in tutto il mondo. Si tratta di un evento annuale che vuole tenere viva la memoria collettiva sulle secolari sofferenze e la drammatica condizione delle donne frutto del patriarcato prodotto del pensiero maschilista dominante in ogni ambito pubblico. Nel corso della storia, le donne sono state sottoposte a svariati tipi di violenza e brutalità in tempo di guerra, ma anche gli abusi sui bambini e i neonati non possono essere considerati separatamente dalla loro condizione, dal momento che la cura e l’educazione della prole sono tradizionalmente di prevalente, se non esclusiva, responsabilità femminile in molti contesti culturali.  Le donne non solo sono sempre state oggetto di repressione e sottomissione, ma sono state anche escluse dai processi di prevenzione o dagli sforzi di risoluzione dei conflitti.

Le donne sono particolarmente colpite per la loro condizione di diseguaglianza sociale e di genere, e tra gli effetti più drammatici che subiscono in tempo di guerra ci sono la separazione dai loro compagni e dai figli, la deportazione, la povertà e altre sofferenze a volte non raccontate come lo stupro, che storicamente è  parte integrante di tutte le violenze e i conflitti. Il ricorso allo stupro come arma contro il nemico non è un fenomeno recente; in Asia, per esempio, durante la guerra del 1937 l’esercito giapponese violentò circa 20.000 donne cinesi e, allo stesso modo, circa 250.000 donne dell’allora Pakistan orientale furono stuprate dai soldati del Pakistan occidentale durante la guerra del 1971, che si concluse con la creazione del Bangladesh.

La conflittualità violenta non è una novità nel mondo arabo e la sua correlazione con le guerre, gli spargimenti di sangue, le deportazioni e le faide risale fino all’epoca della liberazione dei territori arabi durante l’ondata di decolonizzazione della metà del XX secolo. Anche in anni recenti abbiamo visto un enorme numero di persone perdere la vita o, a milioni, venire sfollate dalle loro terre d’origine durante le guerre civili seguite a quella che viene comunemente definita la “primavera araba”. Tuttavia, un conflitto che è andato oltre ogni regola e concezione del passato per durata, complessità e intensità è quello israelo-palestinese.

Nel corso degli ultimi settant’anni questo conflitto ha causato sofferenze e determinato una condizione particolare per le donne palestinesi, che di generazione in generazione non hanno affrontato altro che avversità, ansia e paura. Ciò che rende la loro situazione ancor più traumatica sono l’esclusione e il mancato riconoscimento della loro condizione di vittime intrappolate in un ciclo di violenze dirette e indirette. Le donne palestinesi non solo devono subire il dominio oppressivo di Israele, ma nel contempo devono confrontarsi con una società profondamente conservatrice e patriarcale che aggrava le loro sofferenze, e quindi sono doppiamente vittime.

La guerra in corso tra Israele e Gaza e le sofferenze delle donne

Gaza è una fascia ridotta di territorio (141 km2), abitata soprattutto da palestinesi rifugiati o discendenti di rifugiati che si sono trasferiti a Gaza dopo essere stati espulsi o in fuga durante le guerre intorno alla creazione di Israele nel 1948 (la Nakba, o catastrofe, per i palestinesi). Le truppe israeliane vi rimasero fino al 2005, quando l’allora primo ministro Ariel Sharon decise di allontanare oltre 8.000 coloni ebrei dall’area, ma permane il controllo e quella che le Nazioni Unite considerano come l’occupazione israeliana di Gaza.  Si tratta di una zona permanente di conflitto in cui la violenza, le uccisioni, la repressione militare e poliziesca, gli attacchi terroristici, gli sfollamenti, gli insediamenti e i combattimenti nelle strade sono fenomeni normali quanto la pacifica vita quotidiana in un’isola. Il conflitto e la violenza sono diventati così radicati e permanenti nella storia della Palestina che non è facile comprendere la difficile situazione mentale e psicologica delle donne che vivono in quell’area. Quasi settant’anni di conflitto le hanno rese vulnerabili e soggette a ogni sorta di brutalità, più o meno evidente, ma la loro sofferenza è diventata ancor più tremenda dopo l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre e la successiva rappresaglia da parte delle forze di difesa israeliane.

L’attacco da parte di Hamas contro i civili e i militari israeliani e la successiva rappresaglia israeliana hanno riportato alla memoria il disastro del 1948, quando milioni di arabi palestinesi furono costretti ad abbandonare le loro terre e a lasciarsi alle spalle i loro beni materiali, affettivi e culturali.

Nulla rende il fenomeno della violenza di genere più evidente dell’attuale guerra tra Israele e Gaza, nella quale le donne e i bambini costituiscono circa il 70% dei morti, in un clima di totale disperazione. Le donne uccise appartengono a tutte le categorie sociali, sono anche giornaliste, medici, funzionari delle Nazioni Unite e membri della società civile. Da quando è iniziata la guerra tra Gaza e Israele, donne e bambini sono le vere vittime degli attacchi israeliani e circa 8.000 bambini, compresi i nascituri e i neonati, sono stati uccisi. Un rapporto dell’OMS ha stimato che ogni giorno a Gaza vengono uccisi o feriti 420 bambini palestinesi e che muore un bambino ogni 10 minuti. Il numero di bambini uccisi a Gaza finora è superiore a quello dei bambini uccisi in tutto il mondo durante i conflitti e le guerre civili dell’ultimo decennio.

Ad oggi, dopo molte settimane di guerra incessante e devastante nella Striscia di Gaza (nota per essere una delle aree più densamente popolate del mondo e definita dall’ONU “una prigione a cielo aperto”) non solo hanno causato lo sfollamento dell’85% del totale di 2,3 milioni di abitanti, ma i continui bombardamenti hanno raso al suolo il 60% delle case e reso inservibile la maggior parte di ospedali, scuole, campi profughi, centri comunitari e altre strutture civili. Al momento della stesura di questo articolo, i bombardamenti aerei e le operazioni militari di terra delle forze israeliane avevano già ucciso più di 20.000 persone (di cui – ricordiamolo ancora – il 70% costituito da donne e bambini), e il bilancio è purtroppo destinato ad aumentare di giorno in giorno.

Circa il costante aumento delle vittime di sesso femminile, l’ONU ha stimato che ogni ora vengono uccise due madri e ogni due ore ci sono sette vittime donne. Le donne e i loro figli sono costretti a migrare continuamente avanti e indietro tra il nord e il sud di Gaza, mentre la maggior parte dei membri maschi della famiglia vaga in cerca di asilo sicuro o rimane indietro per proteggere le loro case, nonostante i continui bombardamenti nelle aree circostanti. Poco dopo l’inizio dell’operazione militare israeliana, alle donne è stato chiesto di lasciare le loro case nel nord della Striscia, sotto la minaccia di nuovi bombardamenti se non si fossero spostate verso l’estremo sud; oggi, anche i loro rifugi e gli accampamenti nella zona meridionale vengono bombardati. La città meridionale di Khan Yunis (la seconda città più grande dopo Gaza e, secondo quanto riferito, il maggiore centro di reclutamento di Hamas) è costantemente bombardata dalle bombe a grappolo israeliane.

Anche il numero delle vedove nella Striscia di Gaza è aumentato, e attualmente circa 3.000 donne hanno perso il marito e non hanno altra scelta che cercare di propria iniziativa i mezzi per sfamare i propri figli. UN Women ha espresso la preoccupazione che il numero di vedove continuerà ad aumentare se non verrà raggiunto un cessate il fuoco. La stessa agenzia ONU ha osservato che donne e ragazze sono alla continua ricerca di spazio in rifugi sovraffollati che mancano di generi di sussistenza essenziali come cibo e acqua, oltre che di privacy, il che probabilmente aumenterà i rischi per la loro sicurezza. Anche prima dell’attuale crisi, i casi di depressione tra le donne erano numerosi a causa della diffusa disoccupazione e del profondo senso di disperazione causato dall’assedio, dalle chiusure e dalla fragilità delle infrastrutture economiche e sanitarie.

Mentre la maggior parte degli uomini sia a nord che a sud di Gaza hanno abbandonato le loro case temendo di essere arrestati per il sospetto di essere membri o simpatizzanti di Hamas, le donne sono costrette a installare da sole le proprie tende o a dover contrattare con carpentieri che si stanno arricchendo grazie all’attuale crisi. È stato riferito il caso di una donna che ha dovuto pagare 250 dollari a il legname e il nylon per costruire una tenda per una famiglia di dodici persone, rinunciando ai suoi risparmi di sei mesi. La situazione è catastrofica, a volte una famiglia di ottanta membri deve condividere il bagno in una tenda senza acqua, elettricità o fonti di energia solare. Molte donne escono dai rifugi con buste per raccogliere gli avanzi per le strade e cercare di sfamare i figli, ma spesso tornano a mani vuote e vivono nella paura di morire di fame. Per queste donne anche i rifugi non sono sicuri, poiché le forze israeliane bombardano costantemente anche le scuole e i rifugi gestiti dalle Nazioni Unite e altri luoghi, ovunque si sospetti che vi sia gente.

Una signora di novant’anni racconta di aver assistito alla prima migrazione forzata nel 1948, quando era arrivata a Gaza dalla Cisgiordania, e di essere stata costretta, settantacinque anni dopo, ad abbandonare la sua casa nel nord di Gaza per fuggire a sud in cerca di sicurezza. Viene riferito che molte nonne prendono con sé i loro nipoti di età tra i cinque e i dieci anni per portarli in luoghi più sicuri, poiché i loro genitori sono stati uccisi o sono scomparsi.

Secondo il rapporto pubblicato all’inizio del mese di dicembre da UN Women, l’attuale guerra ha provocato la morte di 11.997 donne e bambini, mentre quasi un milione (951.490) di donne sono state sfollate dalle loro case. L’impatto psicologico del conflitto sulle donne e sulle ragazze è profondo. Sono stati riscontrati alti livelli di ansia, depressione e traumi senza precedenti tra le donne, a causa della perdita di membri della famiglia, degli sfollamenti e della paura della morte e delle distruzioni.

Come riportato da varie organizzazioni che si occupano dei diritti delle donne, ci sono circa 55.000 donne incinte a Gaza che stanno affrontando sofferenze inaudite, ulteriormente aggravate dal fatto che la maggior parte degli ospedali sono stati devastati o sono sotto il completo controllo delle forze israeliane che non permettono ai pazienti di ricoverarsi.

Le donne devono affrontare indicibili difficoltà per partorire in casa in assenza di ospedali funzionanti o dell’assistenza sanitaria essenziale. È stato spesso riferito che chi le assiste cerca teli di plastica e comuni forbici per tagliare il cordone ombelicale dei neonati alla luce fioca dei telefoni cellulari.

I funzionari del Ministero della Salute di Gaza riferiscono che ogni giorno 180 donne partoriscono senza acqua, antidolorifici e anestetici per il taglio cesareo e che non c’è elettricità per far funzionare le incubatrici. Poiché l’approvvigionamento idrico è stato tagliato dall’inizio della guerra, ai neonati viene data acqua contaminata e il latte artificiale per i bambini malati e deboli viene preparato utilizzando l’acqua delle fognature. Una donna ha riferito di aver perso il suo bambino appena nato, dopo averlo atteso ben otto anni, a causa dell’infezione che il figlio aveva contratto a causa del latte artificiale preparato con acqua di scarico.

Tale è l’orrore di alcune scene nelle sale travaglio degli ospedali che è stato riferito di una ginecologa che con i suoi assistenti ha espresso rammarico per aver scelto quella professione, che li costringe ad assistere a tali continue scene di sofferenza. Prima della guerra le gestanti a Gaza potevano sottoporsi regolarmente a visite mediche, ma oggi migliaia di esse si trovano abbandonate nei rifugi, con scarsità di cibo, di strutture mediche e di nutrimento adeguato sia per le madri che per i nascituri. Migliaia di donne non vedono il loro ginecologo dall’inizio della guerra benché il loro parto sia imminente. Una donna su quattro a Gaza è in età fertile e avrebbe bisogno di accedere ai consultori ginecologici. Dopo l’escalation post-tregua, la stima del numero di donne e ragazze che hanno un disperato bisogno di assistenza umanitaria a Gaza è salita da 650.000 a 800.000.

Molte donne sono state costrette a lasciare i loro neonati negli ospedali per salvarsi, dopo che le forze israeliane avevano intensificato i bombardamenti di importanti cliniche ostetriche nel nord di Gaza, e non sanno ancora cosa ne è stato di loro. Molti neonati sono stati subito trasferiti in un’incubatrice per salvarli e alle madri è stato chiesto di fuggire immediatamente, inseguite dai raid delle forze israeliane. Per le gestanti è un problema trovare un luogo sicuro per partorire, in aggiunta ai già gravi problemi di sicurezza e di igiene che devono affrontare. Non rimangono loro che due opzioni: abortire oppure optare per un parto prematuro.  Molte sono state costrette a partorire prematuramente e per questo hanno perso la vita, e i loro figli sono rimasti orfani ancor prima di aprire gli occhi. Una donna si è lamentata con un’agenzia sanitaria per l’assenza di privacy, che non consente di evitare la presenza degli uomini durante le varie fasi del parto.

Saleha (nome di fantasia), che vive in un rifugio nel sud di Gaza, deve ancora partorire ma ha paura per l’assenza di condizioni igieniche minime che potrebbe rivelarsi disastrosa per lei e il suo bambino. Nonostante la presenza di cliniche municipali locali per la maternità, le gestanti a volte evitano il ricovero temendo che in loro assenza la loro casa possa essere occupata dalle forze israeliane o bombardata. Le donne partoriscono spesso in assenza dei loro mariti che hanno trovato rifugio nelle zone sicure, mentre le mogli non hanno potuto spostarsi a causa dell’avanzata gravidanza. Molte donne incinte dormono sul pavimento contraendo spesso malattie respiratorie, oltre al rischio per la salute dei nascituri.

Inoltre gli ospedali sono sopraffatti dalla quantità di persone ferite e i medici non accettano casi di maternità a causa della carenza di personale o dell’assistenza a pazienti più gravi. Secondo il Ministero della Salute palestinese, i bombardamenti e le operazioni dell’esercito israeliano hanno compromesso molto seriamente il funzionamento di 52 strutture mediche e sono state colpite ben 56 ambulanze nella Striscia di Gaza, uccidendo almeno 283 operatori sanitari, notizie peraltro riprese anche da fonti delle Nazioni Unite. Le infrastrutture sanitarie di Gaza sono state gravemente colpite: il 64% dei centri di assistenza sanitaria di base sono chiusi e oltre un terzo dei 35 più importanti ospedali di Gaza sono stati costretti a chiudere, il che ha avuto un impatto devastante su ragazze, donne e gestanti.

La condizione femminile durante la guerra in corso è senza dubbio differente da quella degli uomini, il che evidenzia ulteriormente l’impatto di genere di qualsiasi conflitto. La situazione attuale a Gaza non solo ha reso miserevole la vita per le donne in gravidanza, ma anche per tutte le altre donne, sottoposte a sofferenze molto diverse da quelle degli uomini, nella abituale indifferenza dei media arabi conservatori o tradizionali.

I campi e i rifugi eretti in varie località nel centro e nel sud di Gaza si stanno dimostrando insufficientemente attrezzati per le donne, che durante il periodo mestruale devono affrontare particolari difficoltà per la carenza di privacy e di acqua per l’igiene personale. Secondo il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA), più di 690.000 donne e ragazze durante il ciclo hanno un accesso limitato ai prodotti per l’igiene mestruale. Secondo il Women’s Legal Research and Consultation Center, migliaia di donne hanno subito aborti spontanei durante la guerra in corso nella Striscia di Gaza a causa dello stress e della paura. Nella maggior parte dei rifugi eretti per le famiglie in fuga c’è mediamente un wc ogni 245 persone e un bagno e ogni 350, per cui si possono facilmente immaginare le difficoltà delle donne durante il periodo mestruale. Ugualmente critica per le donne incinte è l’estenuante attesa in lunghe code per andare in bagno, con la paura di essere esposte al contagio di malattie infettive dannose per il loro bambino, dal momento che migliaia di persone usano lo stesso servizio igienico.

La rete idrica a Gaza è completamente collassata e la gente riceve un litro d’acqua al giorno per bere, lavarsi e cucinare. La dissenteria, che è la seconda causa di morte nel mondo per i bambini di età inferiore ai cinque anni, si sta diffondendo molto rapidamente tra i bambini di Gaza. Le gestanti e le donne che allattano hanno bisogno di più acqua e viene segnalato che l’allattamento al seno sta diventando impossibile, a causa della minore assunzione di acqua da parte delle giovani mamme.

Le difficoltà non si limitano alle sole gestanti, poiché le donne devono affrontare molte altre difficoltà. Devono prendersi cura degli anziani e dei bambini, molto spesso in assenza di compagni e mariti. Hanno costantemente paura di perdere i loro figli, poiché i bambini sono fra le vittime più frequenti dei raid delle forze israeliane. Si può capire la loro angoscia di madri ed è stato riportato che molte di loro scrivono il nome dei figli sui palmi delle loro mani, sulle braccia, sulla fronte e sulla schiena, temendo che verranno uccisi e immaginando che questa precauzione le aiuterà a riconoscere i cadaveri dei loro cari. Le madri di Gaza non sanno per quanto tempo potranno vedere ancora i loro figli vivi o quando i loro figli o le loro figlie saranno massacrati dai carri armati e dalle bombe israeliane.

Conclusione

Non si sa quanto durerà questa guerra, ma la devastazione emotiva che essa sta causando tra le donne palestinesi richiederà anni, se non decenni, per essere superata. Prima o poi la guerra finirà, ma il suo impatto socioeconomico, culturale, politico, e quello emotivo specifico per le donne, sarà di lunga durata, poiché migliaia di esse vivranno senza marito e senza figli, che dalle donne arabe sono orgogliosamente considerati il loro patrimonio. Molte donne hanno perso tutto e non c’è nessuno vicino a loro che ascolti le loro storie, quindi cadono in uno stato di alienazione. Naturalmente anche gli uomini sono vittime della carneficina in corso, ma la sofferenza quotidiana e le difficoltà affrontate dalle donne in una zona dilaniata dalla guerra non hanno eguali. L’orribile situazione che si sta sviluppando a Gaza ha scosso la coscienza dell’umanità in tutto il mondo e possiamo solo immaginare cosa provano le vittime dirette di questo massacro.

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