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In libreria – Myanmar’s Changing Political Landscape. Old and New Struggles

Un volume a cura di Makiko Takeda* e Chosein Yamahata**

Redazione

Il Myanmar ha vissuto decenni di dittatura militare, di conflitti etnici, violazioni dei diritti umani e di mancato sviluppo economico.

Per non lasciare nell’ombra la realtà del Myanmar, ad aprile 2023 la casa editrice Springer ha pubblicato una collettanea intitolata “Myanmar’s Changing Political Landscape. Old and New Struggles”. Il libro adotta un approccio versatile e sfaccettato per cercare di comprendere il dirottamento della transizione politica in Myanmar e il suo impatto drammatico, fornendo un’analisi approfondita degli attori istituzionali e non e delle loro relazioni, evidenziando in particolare il ruolo dei fattori di cambiamento e dei movimenti nella resistenza al regime golpista. I curatori del volume sono Makiko Takeda e Chosein Yamahata, e hanno raccolto i contributi di diversi studiosi, anche dal Myanmar.

Nel 2011 il Myanmar avviò una transizione politica dal regime militare a uno quasi civile, seguita poi nel 2015 dalle prime elezioni democratiche che portarono al potere la Lega Nazionale per la Democrazia guidata da Aung San Suu Kyi, attivista dei diritti umani tanto nota da meritare i premi Rafto e Sakharov, prima di essere insignita del Premio Nobel per la pace nel 1991.

Tuttavia, la transizione politica si è rivelata incompleta e fragile, poiché i militari hanno mantenuto un’influenza e un controllo significativi su istituzioni chiave come la costituzione, il parlamento e il settore della sicurezza.

Nel 2021 il panorama politico del Myanmar è cambiato radicalmente quando, nel febbraio di quell’anno, i militari hanno organizzato un colpo di Stato, rovesciando il governo della Lega Nazionale per la Democrazia e dichiarando lo stato di emergenza. Il colpo di Stato ha scatenato in tutto il paese proteste diffuse e movimenti di disobbedienza civile che chiede il ripristino della democrazia e il rilascio dei prigionieri politici. Ha provocato inoltre la condanna e le sanzioni da parte di diversi paesi stranieri e organizzazioni internazionali, nonché varie crisi umanitarie e di sicurezza nella regione.

Aung San Suu Kyi, che era rimasta molto popolare nel Myanmar – seppur criticata a livello internazionale per la sua politica di governo incapace di fermare la dura repressione dell’esercito nei confronti di alcune minoranze, in particolare quella Rohingya – è stata destituita dalla funzione di consigliera di Stato insieme al presidente Win Myint, e arrestata per poi subire una condanna a 30 anni di carcere da parte del nuovo regime militare.

Il cambiamento della situazione politica nel Myanmar pone diverse questioni interconnesse. Anzitutto, la legittimità e il riconoscimento del governo di unità nazionale – formato dalla Lega Nazionale per la Democrazia e da altre forze pro-democrazia – come governo parallelo contrapposto alla giunta militare. Inoltre, restano ancora in sospeso il ruolo e la responsabilità della comunità internazionale nel sostenere il governo di unità nazionale e nel fare pressione sulla giunta militare affinché receda dal colpo di Stato e rispetti i diritti umani. Allo stesso tempo, tuttavia, non possono essere ignorate le prospettive e le sfide del processo di pace a livello interno, che mira a porre fine a decenni di conflitti armati tra i vari gruppi etnici e a raggiungere una riconciliazione nazionale.

Il colpo di Stato militare del 2021 ha rappresentato una seria minaccia per l’esistenza e il funzionamento della società civile, poiché la giunta ha attuato un giro di vite contro gli attivisti e le organizzazioni della società attraverso arresti, incursioni, censura, chiusura di internet e uso della violenza. Il movimento di disobbedienza civile ha offerto alla società civile l’opportunità di dimostrare la propria resilienza e solidarietà con le forze pro-democrazia contro il regime golpista attraverso varie forme di resistenza e di sfida, mentre da parte sua il governo di unità nazionale ha riconosciuto il ruolo della società civile nella lotta per la democrazia e ha invitato i rappresentanti della società civile a far parte del suo consiglio consultivo. La comunità internazionale ha espresso il proprio sostegno alla società civile del Myanmar e ne ha chiesto la protezione, oltre al ripristino della democrazia, ma si è trattato di una petizione di principio con – finora – scarsa capacità di enforcement.

In questo quadro, la situazione della minoranza Rohingya in Myanmar è peggiorata notevolmente dopo il colpo di Stato militare, che ha portato a un’ulteriore repressione di quella che è una delle minoranze più perseguitate al mondo. I militari hanno imposto nuove restrizioni alla libertà di movimento dei Rohingya, rendendo ancora più difficile per loro lasciare lo Stato di Rakhine, dove sono concentrati. L’esercito ha anche intensificato la campagna di intimidazione e vessazione contro i Rohingya, e vi sono segnalazioni di irruzioni in campi profughi, di arresti arbitrari, a cominciare da coloro che cercavano di lasciare lo Stato di Rakhine, di torture e uccisioni. Il colpo di Stato ha anche reso più difficile l’accesso dei Rohingya agli aiuti umanitari: i militari, infatti, hanno limitato il flusso di aiuti nello Stato di Rakhine e molti Rohingya sono stati costretti a fare affidamento solo su cibo e medicine forniti da organizzazioni umanitarie. Il colpo di Stato ha reso ancora più difficile per i Rohingya fuggire dalle persecuzioni che subiscono in Myanmar, e quindi la comunità internazionale dovrebbe esercitare maggiori pressioni sulle autorità militari affinché pongano fine alla repressione dei Rohingya e permettano loro di tornare a casa in sicurezza.

Più in generale, gli impatti e le implicazioni del colpo di Stato sullo sviluppo socio-economico, sulla salute pubblica, sulla situazione umanitaria e sulla sostenibilità ambientale del Myanmar rischiano di essere molto gravi, e la capacità di agire e di resistere del popolo del Myanmar – in particolare dei giovani, delle donne, della società civile e delle minoranze etniche che sono stati in prima linea nel resistere al colpo di Stato e nel chiedere la democrazia – non è illimitata.

Il cambiamento del panorama politico del Myanmar è, dunque, una questione complessa e dinamica che richiede un approccio multidisciplinare e multi-stakeholder per essere compresa e affrontata e che non merita di essere trascurata, nel panorama dell’informazione internazionale. L’evoluzione politica del Myanmar può essere una prova della volontà e della determinazione del popolo del Myanmar – ma anche della comunità internazionale – a superare le avversità e a realizzare le legittime aspirazioni di libertà, giustizia e dignità dei popoli.

Quel che i curatori sottolineano nel volume è che l’esercito del Myanmar, noto anche come Tatmadaw, aveva preparato e avviato una transizione democratica attraverso la cosiddetta “roadmap per la democrazia”, che aveva comunque permesso ai militari di mantenere un potere considerevole anche sotto la guida di civili. La sconfitta elettorale del partito politico dell’esercito, il Partito Unione Solidarietà e Sviluppo, fu un colpo inaspettato per l’istituzione e portò al colpo di Stato del febbraio 2021.

Nonostante i problemi vecchi e nuovi creati dai militari, tra cui le interferenze, i disordini, le intimidazioni e le pressioni che avevano preceduto le elezioni, oltre al problema della pandemia da COVID-19, la Lega Nazionale per la Democrazia ottenne, infatti, la seconda vittoria consecutiva della fase politica post-2010 nelle elezioni nazionali del novembre 2020, e questo fu considerato intollerabile dai vertici militari. La Lega Nazionale per la Democrazia o qualsiasi forza democratica che sfidasse l’istituzione militare, specialmente attraverso l’occupazione di cariche governative, rappresentava un attacco all’egemonia politica e al monopolio economico del Tatmadaw, detenuti per tutta la durata della dittatura militare diretta. Una transizione politica verso il consolidamento democratico dopo le elezioni del 2020 avrebbe distrutto l’impunità garantita, il controllo di un’economia di rendita e la pratica incessante di strutturare l’esercito come uno “Stato all’interno di uno Stato” che coinvolge parenti, consociati e alleanze. Per questo motivo, qualsiasi autentico processo di transizione democratica, di lotta alla corruzione e di liberalizzazione economica, avviato verso una società basata su regole, aperta e plurale, con uno sviluppo sostenibile e una transizione verso la pace con mezzi democratici stabiliti per scegliere un governo civile legittimo, non era nell’interesse del Tatmadaw.

L’ultimo colpo di stato da parte del Tatmadaw, guidato dal generale Min Aung Hlaing (attuale Primo ministro di Myanmar e da 12 anni comandante in capo delle forze armate) sotto la nuova etichetta di governo ad interim, mostra chiaramente i ripetuti cambiamenti di atteggiamento dei militari nel periodo successivo all’indipendenza, tutti sempre mirati a controllare la nazione come cosa di loro proprietà. Il Tatmadaw si è incamminato quindi sulla strada della dittatura per detenere il controllo del Myanmar in modo permanente. I curatori del volume affermano risolutamente che il futuro democratico e di sviluppo del paese è stato ripetutamente ostacolato proprio dal persistente dominio dei militari e dalle loro per posizioni volte ottenere un sempre maggiore controllo. L’indicazione per il futuro è chiara: per iniziare ad affrontare la miriade di crisi politiche e socioeconomiche, profondamente radicate, create e accumulate dal governo militare, qualsiasi futuro governo civile dovrà avere il pieno controllo dei processi di transizione democratica, riconciliazione nazionale, giustizia di transizione, governance delle risorse ed equa condivisione del potere tra il centro e le periferie.

Quattordici capitoli scritti da 15 studiosi, con gli ultimi 5 capitoli tutti focalizzati sulle sfide e le opportunità del prossimo futuro, restituiscono in 250 pagine riflessioni e informazioni preziose per chi sia interessato a conoscere meglio alcune delle principali lotte durante il governo militare e le nuove lotte nel periodo di transizione, in particolare analizzate in relazione a quattro dimensioni – uguaglianza, legittimità, relazioni e possibilità. Gli studiosi che hanno contribuito al volume mostrano di avere una comune convinzione: che il rispetto della diversità e la solidità dei legami tra le persone siano le condizioni preliminari per evitare il ritorno alla palude della violenza e del disordine mentre, all’opposto, sulle prospettive future del paese pesa il macigno di ostacoli e sfide che sono stati deliberatamente creati dai militari, parte fondamentale del problema strutturale – confermato negli ultimi anni – che il Myanmar si trova ad affrontare da lungo tempo.