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In libreria – Islam and Capitalism in the Making of Modern Bahrain

Un volume di Rajeswary Ampalavanar Brown*

Redazione

In questo suo nuovo libro – un corposo volume di 500 pagine pubblicato dalla Oxford University Press – l’autrice compie un attento esame della trasformazione economica, sociale e politica del Bahrein negli ultimi decenni, concentrandosi su come il Bahrein abbia abilmente adattato i moderni strumenti finanziari alle esigenze della Shari’ah.

Nell’analizzare la situazione attuale, il libro esplora i contesti e gli impatti della trasformazione economica in Bahrein, e in particolare il passaggio dalla pesca delle perle all’estrazione del petrolio e poi alla finanza islamica. Esamina inoltre il connesso ruolo dello Stato e della legislazione in questa trasformazione economica.

La pesca delle perle fu il pilastro economico del Bahrein fin dal XVII secolo, e tuttavia, nei primi anni Trenta del Novecento, diminuì drasticamente d’importanza in conseguenza di tre fattori concomitanti:

  1. La grande depressione seguita alla Prima Guerra Mondiale;
  2. l’introduzione di perle coltivate d’acqua dolce provenienti dal Giappone, che causò il crollo del mercato delle perle in Bahrain;
  3. La scoperta del petrolio nel 1932, che spostò l’attenzione economica e attrasse molti lavoratori dell’industria perlifera verso il nascente settore petrolifero.

Alla fine del 1930, in Bahrain si contavano circa 30.000 pescatori di perle. Dopo il crollo dell’industria perlifera, la maggior parte di loro passò lavorare nel settore del petrolio. Il crollo dell’economia perlifera e la quasi contemporanea scoperta di risorse petrolifere e di gas nel Bahrein fecero anche diminuire il ruolo chiave della città di Muharraq che nel 1932 cessò di essere la capitale, trasferita a Manama.

L’autrice sottolinea più volte l’importanza centrale del petrolio e delle ingenti entrate che ha prodotto nella modernizzazione del Bahrein, e colloca lo sviluppo del Bahrein moderno nel contesto dei cambiamenti avvenuti anche altrove nel Medio Oriente.

Storicamente, dal punto di vista politico-istituzionale l’evoluzione dello Stato in Bahrein iniziò con insediamenti costieri nel Golfo Persico, popolati da immigrati e mercanti che vivevano e commerciavano sotto il dominio di governanti tribali locali. Nel XV secolo, le isole del Bahrain erano governate dalla famiglia Al-Jabr di Najd, che aveva forti legami con Hormuz, all’epoca sotto il dominio portoghese. Nel XVIII secolo, la famiglia Al-Madkhur dell’Oman governava il Bahrain come dipendenza dell’Iran. Nel 1783, le tribù Utub della penisola arabica occuparono queste isole, ponendo fine al potere iraniano, ma non alla coesistenza pacifica tra i mercanti cittadini e le tribù del deserto. Successivamente, all’interno della confederazione delle tribù Utub, la famiglia Al-Khalifah (insediatasi in Bahrein nel 1783 per poi dar vita, con l’uso della forza, all’ultracentenaria monarchia che governa il Paese) si impose alleandosi agli inglesi, la cui presenza si fece sempre più importante fino ad essere sancita dal “Trattato di pace ed amicizia perpetua”, firmato nel 1861. Ben presto in Bahrein si sviluppò uno Stato moderno sotto l’influenza del protettorato coloniale britannico, decisivo per l’affermarsi di una forma di Stato stabile.

Negli anni di transizione della struttura economica di base, compresi tra il 1926 e il 1957, il consigliere britannico Charles Belgrave fu coinvolto nello sviluppo del sistema giuridico del Bahrein e agì come magistrato, con funzioni di “amministratore capo” o “consigliere” sotto lo sceicco Hamad ibn Isa Al Khalifa (dal 1932 al 1942) e poi sotto suo figlio Salman, sceicco del Bahrein dal 1942 al 1961. Il Bahrein si accordò con i Trucial States, un protettorato britannico informale nella regione del Golfo Persico, dotato di un Consiglio – istituito nel 1952 per incoraggiare la cooperazione tra i governanti, fino alla revoca dei trattati nel dicembre 1971 – per introdurre tribunali misti, che impiegavano giudici inglesi e locali per indagare su casi che coinvolgevano sia i locali che gli stranieri (a Manama c’era un’alta percentuale di indiani, iraniani e immigrati dalla penisola arabica). Nel periodo 1955-57, con l’introduzione di leggi speciali per i tribunali inglesi nelle regioni del Bahrein, il governo britannico continuò a promuovere la modernizzazione del sistema giuridico della regione, per garantire il coinvolgimento commerciale di Londra anche dopo il ritiro della Gran Bretagna. Il Bahrein avviò così la traduzione di alcuni codici inglesi in arabo, per mantenere l’eredità giuridica britannica.

Con l’indipendenza dal Regno Unito del 1971 si instaurò una monarchia costituzionale, con un’assemblea nazionale eletta a partire dal 1973, ma il potere e la ricchezza rimasero sempre saldamente concentrati nelle mani della famiglia regnante degli Al-Khalifah, che continuava a controllare la maggior parte delle terre del Bahrein. L’emiro Isa bin Salman, figlio dello sceicco Salman, governò il Bahrein per quasi 40 anni (dal 1961 al 1999), completando la sua trasformazione in uno Stato autoritario ma moderno, che seppe fronteggiare la disponibilità relativamente  modesta di riserve petrolifere investendo sia nell’industria per raffinare il petrolio proveniente dall’Arabia Saudita, sia nello sviluppo di un centro finanziario off-shore di grande importanza nel Golfo Persico, per investire a livello mondiale i petroldollari.

Un elemento che avrebbe favorito questa concentrazione di potere è stato rappresentato– secondo l’autrice e vari studiosi – dal ruolo cruciale rivestito dalle città nel garantire strutture politiche stabili, in particolare nei confronti dei gruppi tribali che cercavano di dominare le tribù concorrenti, degli immigrati e dei diversi gruppi religiosi. In questo specifico caso, infatti, sarebbe risultata fondamentale la debolezza della coesione tribale nei contesti urbani e la perdita della solidarietà tribale (Al ‘asabiyyah) nel contesto urbano, durante il Novecento. In questo contesto, Manama raggiunse importanza economica e politica grazie ai suoi mercanti sciiti, mentre Muharraq era dominata dai sunniti e dalla famiglia Al-Khalifah, legata alla presenza britannica nella regione e, dopo l’indipendenza, stretta alleata degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita.

Un elemento ricorrente nella storia del Bahrein sono state le proteste popolari avvenute a partire dal 1900, caratterizzate dalla solidarietà tra i lavoratori sia dell’industria delle perle che, più tardi, dell’industria petrolifera, e che hanno concorso alla formazione di potenti organizzazioni politiche interconfessionali. Ciò è importante in un contesto in cui le disuguaglianze di classe spesso corrispondevano a linee di divisione religiosa. Gli sciiti rappresentavano il 70% della popolazione, mentre la casa regnante e i suoi alleati erano sunniti; gli sciiti si sentivano discriminati sui posti di lavoro e nella distribuzione delle risorse governative e si consideravano vittime di discriminazione (in particolare durante il dominio sunnita delle tribù Utub) e protetti, solo in una certa misura, dalle strutture locali e dalle reti mercantili. In questo senso, è possibile cogliere un parallelo tra il Bahrain e la storia europea della resistenza dei lavoratori alle dure condizioni economiche e sociali in periodi di grandi cambiamenti. L’esperienza del Bahrein, nella fase del declino dell’industria delle perle e dell’espansione dell’industria petrolifera ad alta intensità di capitale, può essere cioè letta attraverso la prospettiva del famoso storico socialista inglese Edward Palmer Thompson, noto per i suoi studi sui movimenti radicali britannici a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento, che interpretava le rivolte come forma complessa di azione popolare diretta. L’ideale occidentale di “contratto sociale” sarebbe evidente nell’azione diretta perseguita dagli sciiti in Bahrein, che costituivano un’alta percentuale dei lavoratori agricoli svantaggiati e che furono i protagonisti delle rivolte che scoppiarono con la fine del boom delle perle negli anni ’20 e poi con l’aumento delle disuguaglianze economiche con l’affermarsi dell’industria petrolifera, che impose anche la confisca dei terreni agli sciiti delle zone rurali per creare le infrastrutture per l’industria petrolifera. L’espropriazione e la conseguente povertà furono alla base di gran parte delle proteste che seguirono alla trasformazione del Bahrein in economia del petrolio, che ha rappresentato una seria minaccia per l’autonomia territoriale e per il mantenimento di condizioni dignitose di vita per gli sciiti, intrappolati in condizioni di povertà in un contesto rurale.

Se il Bahrein ha una storia di discriminazione politica e religiosa nei confronti della popolazione a maggioranza sciita da parte della famiglia sunnita Al Khalifa al potere, le proteste popolari hanno accompagnato anche la storia recente del Bahrein, mettendo in discussione vari aspetti della società bahreinita, come la religione, l’economia e i sistemi clientelari, a causa di elevati livelli di disuguaglianza economica, disoccupazione, corruzione diffusa, problemi di rappresentanza politica e tensioni religiose.

Il Bahrein è stato testimone della resistenza e dell’azione popolare sotto forma di proteste di massa, disobbedienza civile e scontri di strada. Gli esempi anche recenti non mancano:

  • gli scioperi dei lavoratori e le proteste degli anni Cinquanta e Sessanta, alimentate da lamentele economiche e richieste di riforme politiche;
  • il periodo, tra il 1994 e il 1999, di rivolte e disordini noto anche come “Intifada”, scatenato dalla richiesta di riforme politiche, maggiori libertà civili e la fine della discriminazione percepita nei confronti della maggioranza sciita attraverso una maggiore rappresentanza politica;
  • la rivolta del Bahrein del 2011, ispirata alla Primavera araba e alle proteste in Tunisia ed Egitto, con manifestanti principalmente appartenenti alla maggioranza sciita, che chiedevano riforme politiche, maggiore rappresentanza e la fine delle discriminazioni.
  • I disordini post-2011, comprese alcune sporadiche manifestazioni in occasione del decimo anniversario della rivolta ispirata alla Primavera araba, nel 2021, con episodi di disordini civili e resistenza popolare scatenati da rimostranze politiche, economiche e sociali, oltre che da tensioni a sfondo religioso tra la maggioranza sciita e l’élite sunnita al potere.

Le autorità del Bahrein hanno risposto alla rivolta con un violento giro di vite e con la repressione dei diritti umani e l’incarcerazione di attivisti, leader dell’opposizione e giornalisti. In conseguenza di ciò, il Bahrein ha affrontato critiche e pressioni internazionali per le sue violazioni dei diritti umani, ma ha anche ricevuto il sostegno di alleati regionali come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti.

Il governo del Bahrein ha compiuto alcuni passi per affrontare le questioni di fondo, come l’attuazione di riforme politiche e l’avvio di un dialogo con i gruppi di opposizione. Tuttavia, nel Paese continuano a persistere tensioni e sporadici episodi di disordini.

Una storia, perciò, che comprende profonde trasformazioni economiche, modernizzazione dello Stato, autoritarismo della famiglia Al-Khalifah, proteste di massa e, infine, la grande importanza acquisita come principale piazza finanziaria della regione.

Il settore finanziario del Bahrein è diventato un hub della finanza islamica grazie al flusso di ricchezza petrolifera proveniente dall’Arabia Saudita, che ha permesso al paese di crescere come centro finanziario internazionale: negli anni Settanta e Ottanta, gli istituti bancari offshore del Bahrein avevano il 60-70% delle loro attività in valuta saudita (riyal).

L’emergere del Paese come centro dominante della finanza islamica nel Golfo ha diverse ragioni specifiche concomitanti:

  • la lunga storia del Bahrein come potenza commerciale della regione;
  • la posizione strategica, che rende il Bahrein una porta naturale tra Oriente e Occidente;
  • un quadro normativo locale perfettamente adeguato per la finanza islamica, che comprende il Consiglio di vigilanza sulla Shari’a della Banca centrale del Bahrein, l’Organizzazione per la contabilità e la revisione delle istituzioni finanziarie islamiche e l’Agenzia internazionale di rating islamico favorevole alla crescita della finanza islamica. La Banca Centrale del Bahrein che ha svolto un ruolo chiave nello sviluppo e nella promozione dei prodotti finanziari islamici, e ha reso possibile al paese diventare un pioniere della finanza islamica, fondando la prima banca islamica della regione nel 1978 e stabilendo un punto di riferimento per la regolamentazione bancaria della Shari’a. Il paese, peraltro, ha la più alta concentrazione di istituzioni finanziarie islamiche della regione, con 11 banche islamiche e 22 compagnie assicurative islamiche che coprono ogni area, dalla concessione di prestiti conformi alla Shari’a alla gestione degli asset, all’emissione di Sukuk, una sorta di titoli di Stato e obbligazioni su misura per gli investitori islamici, che rispettano il principio del profit and loss sharing (con investitori che percepiscono un utile che dipende dall’andamento del bene sottostante e nessun tipo di interesse garantito), fino al Takaful (le assicurazioni islamiche) e al Retakaful (l’equivalente islamico delle operazioni di riassicurazione convenzionali);
  • la specifica rilevanza politico-diplomatica del paese, che ha ospitato una serie di istituzioni finanziarie islamiche di primo piano, tra cui Al Baraka Banking Group e Bahrain Islamic Bank, che hanno contribuito ad affermare il Paese come centro di eccellenza per la finanza islamica.

Esistono, evidentemente, dei rischi associati al ruolo predominante della finanza nell’economia del Bahrein. Uno dei rischi principali è la forte dipendenza dell’economia del paese dal settore finanziario, che lo rende vulnerabile agli shock esterni e alle fluttuazioni dei mercati finanziari globali, come è stato evidente durante la crisi finanziaria globale del 2008, che ha avuto un impatto significativo sull’economia. Un altro rischio è che la crescita del settore finanziario possa avvenire a scapito di altri settori dell’economia, come quello manifatturiero e agricolo, il che potrebbe portare a uno squilibrio nello sviluppo economico. Inoltre, c’è il rischio che la rapida crescita della finanza islamica possa portare a una mancanza di standardizzazione e regolamentazione che potrebbe minare la fiducia degli investitori e portare all’instabilità dei mercati finanziari. Infine, c’è anche il rischio che la corruzione e la mancanza di trasparenza possano minare la reputazione del Bahrein come centro della finanza internazionale.

In definitiva, sono numerosi gli aspetti su cui si sofferma questo libro: economico-finanziari, di storia dell’economia, politico-istituzionali e sociali. Tutti temi d’interesse per chi volesse comprendere meglio e più concretamente l’interazione tra Islam e capitalismo finanziario, esplorando il rapporto tra i principi islamici e il capitalismo in Bahrein, come anche per chi volesse ripercorrere la storia dello sviluppo di una piccola nazione insulare con un’economia basata prima sulla pesca, poi principalmente sul petrolio e infine hub regionale della finanza islamica, oppure per chi volesse approfondire l’interazione tra l’Islam, il capitalismo e lo sviluppo normativo e istituzionale moderno del Bahrein, compreso il ruolo del governo, l’autoritarismo, le dinamiche tra i diversi gruppi religiosi ed etnici e le tensioni sociali. Una lettura utile per migliorare la propria conoscenza della regione del Medio Oriente e del Golfo.