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Il matrimonio delle giovani minorenni in Marocco: una violenza istituzionalizzata

Dialmy Abdessamad

Secondo la Convenzione sui diritti dell’infanzia, il matrimonio di minori è una violazione dei diritti del bambino, visto che le varie agenzie del sistema delle Nazioni Unite considerano bambino chiunque abbia meno di diciotto anni. In Marocco, i matrimoni minorili costituiscono circa il 25% dei matrimoni celebrati ogni anno. Secondo i dati ufficiali del Ministero della giustizia, nel 2018 sono stati registrati 25.514 matrimoni di minori, 13.000 nel 2020 e 19.000 nel 2021. Il fenomeno è quasi esclusivamente femminile, poiché il 94,8% di questi matrimoni riguarda le ragazze. Questi dati riguardano solo i matrimoni legalmente contratti in tribunale. Tuttavia, tra il 2009 e il 2018, il 13% delle unioni coniugali con coinvolgimento di una minorenne sono state effettuate seguendo un rito consuetudinario che prevede una semplice lettura collettiva della Fatiha, la prima sura del Corano. Questi matrimoni tradizionali “illegali” traggono la loro legittimità dalla Shari’a, e come tali sono considerati legali dalla religione islamica. Per la Shari’a (attraverso il fiqh, la fonte di diritto musulmano che ne rappresenta l’interpretazione ufficiale), un matrimonio è considerato valido se c’è la presenza di un tutore matrimoniale maschio della ragazza e quella dei testimoni, e la dichiarazione dell’importo della dote (concessa dal marito alla sposa). Non importa che questo matrimonio venga o meno trascritto e/o dichiarato alle autorità.

Un Codice di famiglia femminista islamico

Sempre secondo la Shari’a, la pubertà, la desiderabilità e la capacità di affrontare un rapporto sessuale sono le condizioni legali perché la ragazza possa unirsi in matrimonio. Indicano che la ragazza ha raggiunto la maggiore età “civile”. La presenza di mestruazioni e la desiderabilità (del suo corpo) sono sufficienti per rendere legale il suo matrimonio, indipendentemente dall’età. L’obiettivo della Shari’a è quello di evitare il rischio di fornicazione femminile prematrimoniale e il suo impatto sull’onore della famiglia, sulla purezza del lignaggio e sull’eredità.

In Marocco, solo a partire dal 1957 l’età per il matrimonio delle ragazze è stata fissata a 15 anni dal “Codice di status personale”. Nel 1993 è stato abolito il matrimonio delle ragazze per costrizione e/o paura della (sua) dissolutezza. Nel 2004, il passaggio al Codice di famiglia ha innalzato l’età del matrimonio a 18 anni per le ragazze (come già avveniva per i ragazzi) al fine di rispettare la Convenzione sui diritti dell’infanzia, che il Marocco ha firmato e ratificato. Tuttavia, alcune eccezioni consentono di aggirare il requisito dell’età minima per il matrimonio (18 anni). Da un lato, il Codice di famiglia (articolo 16) prevede la possibilità di legalizzare a posteriori il matrimonio consuetudinario orale coranico, al fine di garantire i diritti delle mogli minorenni e dei loro figli. D’altra parte, lo stesso Codice mantiene il matrimonio legale dei minori come eccezione. Agli articoli 20 e 21, il Codice conferisce al giudice il potere di autorizzare il matrimonio di minori sulla base di un certificato medico o di un’inchiesta sociale. Per quanto riguarda questo genere di matrimonio cosiddetto “eccezionale”, varie lacune procedurali lo rendono di fatto non eccezionale: l’autorizzazione del giudice è facile da ottenere, il mancato coinvolgimento di ginecologi e psicologi nella perizia medica, il mancato approfondimento dell’indagine sociale da parte degli assistenti sociali, il mancato ascolto del minore e del fidanzato, il ritiro volontario dalla scuola della ragazza per farla sposare, e via dicendo.

Sta di fatto che gli articoli 16, 20 e 21 testimoniano la presenza della Shari’a in un Codice di famiglia che pretende di essere femminista e conforme alle convenzioni internazionali. Sorge a questo punto una serie di domande: perché in Marocco il matrimonio di minori (nella tradizionale forma coranica orale e/o in forma legale) è ancora oggi un fenomeno sociale? Fino a che punto risponde a un bisogno sociale eterogeneo? A quali strati sociali, e a quali fattori, è correlato questo bisogno?

Il matrimonio minorile: un fenomeno multifattoriale

Un subconscio patriarcale è ancora all’opera nella società marocchina. Consiste nel vedere nella donna un pericoloso essere sessuale da controllare con il matrimonio, e un utero al servizio del patronimico e della comunità islamica. Pertanto, dare in moglie una ragazza il più presto possibile era una norma e una pratica dominante. Questa percezione patriarcale della ragazza è interiorizzata dalla ragazza stessa. Per lei, sposarsi è un indicatore di successo sociale, un modo per passare dallo status svalutato di “ragazzina” a quello, valutato, di moglie, vale a dire un modo per evitare lo stigma di “zitella”, merce ormai “scaduta” (bayra) che nessun uomo vuole sposare. E infatti, a 18 anni, la ragazza si dice e si considera “bayra” nelle regioni berbere che praticano il matrimonio consuetudinario.

Si tratta di zone rurali e/o montane in cui la povertà è molto diffusa. Da qui la specificità del matrimonio consuetudinario orale contemporaneo, che è fortemente correlato a considerazioni economiche. In queste regioni, la necessità di far sposare ragazze di 12-13 anni non può essere portata davanti a un tribunale (le eccezioni legali sono concesse solo alle ragazze che hanno almeno 16 anni), per cui il ricorso al matrimonio orale consuetudinario rimane l’unica soluzione per aggirare la legge, far sposare la ragazza e quindi delegare il suo mantenimento al marito, il quale, oltre alla dote ottenuta dal padre della sposa, ottiene anche il diritto di ripudiarla in tempi brevi, cosa che spesso avviene. In seguito, la ragazza viene mandata in città per essere avviata al mercato della prostituzione, guadagnare denaro da inviare a suo padre e agli altri membri della famiglia. Il matrimonio orale consuetudinario è quindi un modo di sfruttare economicamente la ragazza, un vero e proprio commercio nel senso letterale (e sporco) della parola, l’espressione di un’indegna avidità paterna.

D’altra parte, il ritiro anticipato della ragazza dalla scuola rafforza la possibilità di sfruttarla economicamente grazie al suo matrimonio precoce. L’accesso alla scuola non è garantito a tutte le ragazze, soprattutto nelle zone rurali, a causa della femminilizzazione della raccolta dell’acqua, della distanza dalla scuola e dell’assenza di trasporto scolastico. Di conseguenza, l’abbandono scolastico colpisce maggiormente le ragazze, tra l’altro a causa della precarietà economica della famiglia, della mancanza di servizi igienici nelle scuole rurali, del mancato accesso agli assorbenti igienici.

Tuttavia, anche il fattore politico rimane importante. Per gli islamisti, e in particolare per il Partito per la giustizia e lo sviluppo (Parti de la Justice et du Développement, PJD) – che si oppose al progetto del Codice di famiglia durante l’imponente “Marcia di Casablanca” del 2000 – l’innalzamento dell’età matrimoniale delle ragazze a 18 anni non è in linea con l’Islam. Per il PJD, il Codice di famiglia è un tradimento della Shari’a: non lo vede come una specifica espressione marocchina della Shari’a, ma piuttosto come l’espressione del femminismo occidentale importato. Per questo partito, la Shari’a, avendo validità permanente, convalida senza limiti di tempo il matrimonio delle ragazze adolescenti, desiderabili e sessualmente mature. Per il PJD, impedire a una ragazza di sposarsi prima dei 18 anni le fa perdere opportunità di matrimonio, le nega la possibilità avere rapporti sessuali legali e di avere figli il più presto possibile, nonché quella di essere socialmente promossa al ruolo di madre e al rango sociale del marito (che molto spesso è più alto).

Tutto questo per dire che il mantenimento della possibilità di legalizzare il matrimonio orale consuetudinario nel Codice di famiglia (articolo 16) e la possibilità di sposarsi legalmente prima dei 18 anni (articoli 20-21) sono concessioni fatte dal legislatore non solo al PJD, ma a tutte le forze conservatrici, agli ulema, alle associazioni islamiste, agli imam delle moschee, e via discorrendo. Queste concessioni fatte alle forze conservatrici erano, per un potere politico a sua volta semiconservatore, un mezzo per far accettare il Codice di famiglia come un accordo tra il conservatorismo politico-sociale e il femminismo marocchino, al quale si chiedeva di “islamizzare” le sue richieste riformiste, mitigandole. Una secolarizzazione del Codice di famiglia in linea con la piena accettazione della CEDAW e dei diritti sessuali e riproduttivi era – e ancora oggi rimane – inammissibile e inascoltata.

Il matrimonio minorile: una falsa soluzione

A fronte del peso dei fattori determinanti sopra descritti, ai rischi del matrimonio minorile viene dato ben poco peso sulla bilancia. Certamente, le autorità pubbliche sono informate dal sistema sanitario dei rischi per la salute associati a questo tipo di matrimonio. Sanno che il corpo della ragazza di età inferiore ai 18 anni non ha raggiunto la maturità anatomica per fare sesso sicuro e partorire. Sono ben consapevoli delle lacerazioni vaginali, delle microfratture, del sanguinamento e delle infezioni legate al sesso precoce, conoscono i rischi di depressione e di pensieri suicidi. Hanno condotto studi sui rischi del parto in casa, sulle complicanze della gravidanza e del parto e sul rischio di morte materna. Sono anche consapevoli dei rischi sociali associati al matrimonio precoce, come l’incapacità della madre-bambina di crescere un figlio, il rischio di subire violenza domestica e di essere espulsa dalla casa coniugale. Secondo la Procura, il 24,3% delle ragazze sposate precocemente ha subito violenze fisiche, psicologiche o economiche. In particolare, il 13,3% di esse ha subito violenze psicologiche. A ciò si aggiunga che, ovviamente, il rischio maggiore è quello del ripudio, che porta al vagabondaggio, all’accattonaggio e alla prostituzione (come soluzione per la sopravvivenza).

Per tutte queste ragioni, il matrimonio di minori non può essere una soluzione alla resilienza di una cultura patriarcale, all’abbandono scolastico, alla povertà e agli accordi politici. Questo matrimonio non deve essere un velo a copertura dei molteplici fallimenti delle autorità pubbliche, un mezzo per sfuggire alle loro responsabilità sociali ed economiche, ai loro obblighi in materia di sessualità e riproduzione. Pertanto, la migliore tutela contro il matrimonio minorile è lo sviluppo. Uno sviluppo da pianificare nell’ambito di una politica pubblica familiare basata sull’empowerment delle famiglie e sull’emancipazione economica delle donne. E questa tutela deve essere fornita da uno Stato-cittadino.

Se il divieto di matrimonio legale dei minori è ipotizzabile (semplicemente abrogando gli articoli 20 e 21) alla luce della diminuzione delle forze islamiste, potrebbero le autorità vietare il matrimonio orale coranico consuetudinario di minori? Potrebbero proibire questo tipo di matrimonio, valido secondo la Shari’a, con un articolo del Codice di famiglia? In altre parole, potrebbe la legge proibire ciò che la Shari’a autorizza in materia di matrimonio? Al momento sembra molto difficile, finché l’Islam rimarrà una fonte di diritto e un riferimento costituzionale. La sfida è quindi quella di fare in modo che le persone non abbiano più bisogno di far sposare ragazze minorenni con il rito coranico orale consuetudinario, o addirittura di farle sposare del tutto. Per questo, l’emancipazione economica e l’educazione antipatriarcale sono essenziali. Un’educazione che dovrà concentrarsi sulla lotta contro l’istituzionalizzazione islamica del matrimonio di giovani ragazze in età puberale. Ed è in questo contesto che i musulmani devono essere informati che il profeta Maometto sposò Aisha quando aveva diciotto anni, come sostenuto da eminenti storici dell’Islam, quali Jamal Al Banna e Osama Fakhouri. E smettere di credere che l’abbia sposata quando aveva sei anni, e che il matrimonio sia stato consumato quando ne aveva nove, come riportato da Ibn Hicham in “Sira”, la sua biografia del profeta Maometto.

L’emancipazione economica e l’informazione sono una lotta a lungo termine che richiede una reale volontà politica. Nel frattempo, l’articolo 16 del Codice di famiglia, che consente la legalizzazione a posteriori del matrimonio orale consuetudinario di minori, andrebbe a nostro avviso mantenuto, essendo quello che permette alla moglie, in caso di ripudio (ovviamente orale) o di vedovanza, di dimostrare che era sposata e quindi di preservare i suoi diritti e quelli dei suoi figli. In una parola, l’articolo 16, convalidando il matrimonio di minori, è paradossalmente un articolo femminista! Allo stesso modo, questo stesso articolo protegge le donne maggiorenni che si sposano secondo il consuetudinario rito coranico orale per vari motivi. Tra questi, quello di “halalizzare” (rendere religiosamente lecita) una relazione sessuale stabile e duratura il cui scopo è principalmente erotico, un rapporto dal quale la donna è libera di uscire liberamente senza dover passare attraverso un tribunale. Questa relazione sessuale è certamente illegale agli occhi della legge, ma la giovane donna userà il suo matrimonio consuetudinario come pretesto per sottrarsi a qualsiasi procedimento giudiziario. Si tratta quindi di uno sfruttamento pragmatico, femminile e femminista, del tradizionale matrimonio coranico orale, una sorta di “matrimonio di piacere” non dichiarato, accettabile dal sunnismo marocchino; praticamente, un matrimonio di piacere “sunnitizzato”.

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Foto Credits: David Rosen, Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0) attraverso Flickr