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L’impatto socioeconomico della pandemia in America centrale

Belfiore Adalberto

Sebbene i casi di morbi-mortalità legati al Covid-19 nei sette Stati dell’istmo centroamericano (Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua, Costarica, Panama e Belize) non siano i più elevati del pianeta, almeno stando ai dati ufficiali (che possono essere consultati sul sito dell’Oms) né in cifra assoluta né in percentuale sulla popolazione, le conseguenze sul piano economico e sociale sono e saranno nei prossimi anni molto pesanti, tanto da mettere in crisi la tenuta stessa di queste fragili democrazie, ad eccezione forse del solo Costarica (e del Belize, membro del Commonwealth britannico). La Segreteria per l’integrazione economica centroamericana (Sieca) ha calcolato per il 2020 una contrazione del tasso di crescita per i paesi dell’area dal 2,9 al 6,9%. E la Commissione economica per l’America latina dell’Onu (Cepal) ne ha indicato le cause nella diminuzione dell’attività economica dei principali partner commerciali, nella caduta dei prezzi delle materie prime, nel collasso del turismo, nella caduta degli investimenti stranieri e nel peggioramento della situazione finanziaria internazionale.

Il tasso di contrazione dell’economia sopra riportato, inferiore a quello registrato in molti paesi a più alto reddito tra cui l’Italia, può essere sottovalutato nei suoi effetti se non si tiene conto del fatto che la caduta viene a colpire società ben più fragili, afflitte da debolezze strutturali e alti indici di disuguaglianza. Uno studio indipendente pubblicato sul sito dell’Istituto spagnolo di studi strategici (Ieee) osserva che la pandemia in America centrale cade in un contesto di bassa crescita, alte vulnerabilità e disuguaglianze sociali, dove la povertà e la povertà estrema sono in forte aumento causando un indebolimento crescente della coesione sociale e manifestazioni di insofferenza che tendono a generalizzarsi in molti strati della popolazione.

Le disuguaglianze sono una caratteristica strutturale delle società centroamericane e non vi è dubbio che la pandemia le accentuerà, in particolare a causa della debolezza dei sistemi di sanità e della diffusa precarietà lavorativa. La spesa sanitaria pubblica in percentuale sul Pil, secondo lo studio citato che riporta dati dell’Oms, va dall’1,8 del Guatemala al 6,2 del Costarica (da noi, dopo decenni di tagli, è del 6,5 mentre la media Ocse è 6,6, ma in Germania è al 9,5, in Francia al 9,3 e nel Regno Unito al 7,5). I posti letto complessivi ogni 10.000 abitanti sono 7 in Honduras, 9 in Nicaragua, 10 nel Belize, 11 in Costarica e 23 a Panama (contro i 32 dell’Italia e i 50 in media dell’Unione Europea, secondo dati ufficiali riportati dall’agenzia stampa Agi).

Riguardo alla precarietà del lavoro i dati sono ancora più preoccupanti: secondo l’Organizzazione internazionale del Lavoro (Ilo) nel 2016 la proporzione del lavoro informale sul totale nel complesso dell’area superava il 53%. Ma studi più recenti seppure su singoli paesi danno percentuali superiori, come ad esempio uno dell’economista Oscar René Vargas, che per il Nicaragua parla di una percentuale di lavoratori informali (venditori ambulanti, braccianti, lavoratori delle costruzioni ecc.) superiore al 70%. La precarietà è peraltro strettamente legata alla povertà e riguarda in particolare le donne e i settori sociali più svantaggiati quali giovani, anziani, popolazioni indigene, migranti, persone espulse dall’economia formale. E tende a riprodursi e aggravarsi per le conseguenze della crisi pandemica (ad esempio per la drammatica riduzione delle rimesse degli emigranti, che in questi paesi possono pesare attorno al 13 – 15% del Pil e spesso sono l’unica fonte di sostentamento delle famiglie), aumentando il numero delle persone che non dispongono nemmeno delle risorse minime necessarie per fronteggiare la pandemia, come disinfettanti, saponi, mascherine.

Risulta dunque evidente che il Covid-19 non determina solo un problema di salute pubblica ma una crisi complessiva di carattere economico, sociale e politico. In America centrale come altrove, certamente. Ma in quest’area gli effetti del virus si saldano col problema strutturale della povertà e della povertà estrema. Secondo calcoli della Cepal, la popolazione sotto la linea della povertà è passata dal 16% del 2019 al 19,1 nel 2020 in Costarica, dal 47,1 al 52,7 in Nicaragua e dal 35,7 al 38,9 in tutta l’area. Mentre per la povertà estrema lo stesso ente calcola dal 2019 al 2020 una variazione dal 4 al 5,3 in Costarica e dal 18 al 22,2 in Nicaragua, con una media dal 12,3 al 14,3% in tutta l’area. Secondo lo studio, la tendenza non può che proseguire, seppure in maniera disomogenea, per tutti i paesi considerati, con punte massime per il Nicaragua, per lo meno fino a quando continuerà l’impatto della pandemia sull’economia globale ed in particolare su quella degli Stati Uniti, principale partner commerciale di tutti i paesi centroamericani. Tuttavia, eccettuato il caso del Nicaragua, il cui governo per motivi ideologici e politici ha scelto di non applicare alcun provvedimento restrittivo, tutti questi paesi hanno applicato misure di sostegno e contenimento sostanzialmente simili:

-richiesta di accesso a crediti internazionali a condizioni più favorevoli

-rinvio dei pagamenti delle fatture elettriche

-moratoria sul pagamento delle tasse

-rinegoziazione del debito a individui e imprese

-chiusura delle scuole e dei centri sociali

-chiusura delle frontiere

-promozione del telelavoro

-calmiere sui prezzi dei prodotti di igiene

-restrizioni al traffico veicolare

-chiusura di bar, ristoranti e centri commerciali.

Entro queste linee comuni, è pur vero che la risposta alla crisi pandemica è stata differente per ogni paese, in sintonia con le proprie caratteristiche economiche, sociali e istituzionali. Sulla base dei dati forniti dalla Cepal, da organismi nazionali e da uno studio della Facoltà di Economia dell’Avana, proviamo a sintetizzarne i termini essenziali paese per paese. Per completare il contesto regionale è da segnalare che tutti i paesi dell’istmo sono beneficiari del programma COVAX promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e da altri organismi internazionali, che garantisce l’arrivo in tempi rapidi di un’elevata quota di vaccini nei paesi in via di sviluppo. Per El Salvador, Nicaragua e Honduras la fornitura è completamente gratuita.

Il Costarica, di gran lunga il paese più sviluppato dell’area, a fronte di un debito estero previsto al 65% del Pil, è stato costretto a chiedere ai vari organismi finanziari internazionali (Banca Mondiale  – Bm, Fondo Monetario Internazionale – Fmi, Banca Interamericana di Sviluppo – Bid, Banca Centroamericana di Integrazione Economica – Bcie), condizioni eccezionali  quanto a tassi di interesse, periodi di grazia e di maturità. Il Bid ha calcolato la perdita di 200.000 posti di lavoro e un tasso di disoccupazione passato dal 12 al 19 %. A fronte di ciò il Parlamento ha deciso un sussidio fino a 340 dollari per salariati e partite Iva (diremmo noi), ampliato il sussidio di disoccupazione e istituito un’assicurazione sui licenziamenti e un bonus alimentare per bisognosi.

Le autorità di El Salvador hanno calcolato una caduta del Pil proporzionale a quella degli Stati Uniti e una riduzione dal 5 all’11 % delle rimesse degli emigrati con conseguente crisi di liquidità. Il governo ha emesso buoni per 440 milioni di dollari a un tasso del 9,5% a un anno per coprire le spese di sussidi a imprese e famiglie. Malgrado ciò si prevede che il “ceto medio consolidato” passi dal 22 al 17%, il “il ceto medio inferiore” dal 47 al 43% e i poveri dal 28 al 39% della popolazione. Non è stato indennizzato chi ha perso il lavoro nel turismo e nella ristorazione, né gli addetti alle cure alla persona.

La principale fonte di entrate per Panama è il Canale (4,2% del Pil e 21% delle entrate correnti del governo centrale). A fronte della diminuzione dei traffici marittimi è stato emesso un bonus di 2,5 miliardi di dollari al 4,5% con scadenza 2056. Con questo e altri strumenti finanziari il sistema bancario ha potuto concedere periodi di grazia e proroghe non onerose per ratei di mutui e prestiti al consumo a clienti colpiti dalla crisi. È stato attivato un fondo di 50 milioni (Plan Panama solidario) per la distribuzione di sussidi, borse di alimenti, bombole di gas e medicine ad almeno un milione di persone, prevalentemente lavoratori del settore informale. E un altro di 20 milioni per garantire gli acquisti alle piccole imprese agricole.

Anche il Guatemala deve affrontare la crisi del settore manifatturiero, che esporta per il 61% verso gli USA e per il 32% verso gli altri paesi dell’area, mentre la crisi del solo settore turistico, che vale il 6% del Pil, metterà in pericolo fino a 500.000 posti di lavoro. A fronte di ciò il governo, oltre a prestiti per 450 milioni di dollari da Banca Mondiale e Bid, ha autorizzato una spesa a deficit di 1,5 miliardi di dollari (Ley de rescate económico) finanziata con buoni pluriennali, per garantire indennizzi fino a 130 dollari a famiglia, fino a 10 dollari al giorno per dipendenti privati e prestiti agevolati per commercianti, cooperative e piccole imprese. Altri fondi per 120 milioni sono stati destinati alla manutenzione di impianti e reti dei servizi essenziali di acqua, luce, telefono e internet. Sono stati indennizzati con 240 dollari anche i lavoratori del turismo, senza però che fosse definita la durata del sussidio.

Drammatica la situazione dell’Honduras la cui economia si basa sulle esportazioni del caffè verso Unione Europea (59%) e Stati Uniti (21%) oltre che sulle maquilas (zone manifatturiere per investitori stranieri con regime fiscale di favore), sulle rimesse degli emigrati e sul turismo. Tutti settori colpiti duramente dalla pandemia. Secondo il Bid, citato nello studio cubano, l’Honduras sperimenterà la peggiore crisi sociosanitaria per non aver stabilito nessun controllo epidemiologico alle frontiere, non aver approntato ospedali né indennizzato le persone colpite dalla crisi. Con un tasso di lavoro informale addirittura superiore all’80% combinato con alti livelli di povertà e disuguaglianza, si prevedono enormi sofferenze nell’eventualità molto probabile di una crisi prolungata.

In Nicaragua, la presidenza di Daniel Ortega, l’unica dell’area a presentare caratteri apertamente dittatoriali e dunque sottratta alla necessità di rendere conto alla propria opinione pubblica, in un primo tempo ha affrontato il Covid-19 semplicemente negandolo, poi bollandolo come “una malattia dei ricchi”, promuovendo in piena prima ondata addirittura una manifestazione di massa chiamata “L’amore al tempo del Covid” e incoraggiando la popolazione ad affollare le spiagge in occasione della settimana di Pasqua. Ma soprattutto gestendo la crisi in modo non trasparente e fornendo dati che a detta di tutte le agenzie specializzate hanno ben scarsa credibilità. Di fronte all’evidenza dei contagi, che vengono sistematicamente sottostimati nei dati ufficiali, e dei decessi, che vengono attribuiti altrettanto sistematicamente a cause diverse, il governo ha acquisito vaccini cinesi e russi e accettato 100 milioni dal Bid per il rafforzamento della campagna vaccinale. Che viene peraltro criticata per mancanza di trasparenza e per un’impostazione di tipo clientelare. Non è stato deliberato alcun indennizzo per nessuna categoria economica.

Il crollo delle attività legate al turismo, valutato al 71%, è stato la causa principale della generale contrazione economica sperimentata nel 2020 dal Belize a causa della pandemia. Meno 15,5% secondo la Cepal, la peggiore da 30 anni. Il tasso di disoccupazione è passato dal 10,4 al 30% nel 2020, il più alto dell’ America centrale. Il governo ha varato un programma di aiuti per chi ha perso il lavoro per il Covid (75 dollari ogni due settimane per 12 settimane) e di sussidi alle piccole e micro imprese (1.250 dollari una tantum per ogni impresa e un fondo di 3,5 milioni di dollari per finanziare il blocco dei licenziamenti) e misure creditizie espansive. In conseguenza di ciò nel 2020 il deficit fiscale è passato dal 3,4% del 2019 all’11% (in Italia dal 1,6 al 9,5) e il debito pubblico (che in Italia è arrivato al 157,5) nel Belize è salito al 134,1% del pil, il più alto di tutta l’ America centrale.

Proprio il tipo e la qualità della risposta alla crisi pandemica da parte dei leader politici, in paesi con un assetto istituzionale di tipo presidenziale (a parte il Belize che è ancora una monarchia parlamentare), saranno decisivi, come nota la ricercatrice spagnola Cecilia Graciela Rodriguez nello studio già citato dell’Ieee, per le sorti democratiche oltreché sociali ed economiche dei paesi centroamericani. Perché certamente il virus, in uno scenario di grave depressione determinata dal blocco delle attività economiche e degli investimenti stranieri col conseguente drammatico aumento di disoccupazione, sottoccupazione e precarietà, ha messo allo scoperto i limiti strutturali del modello socioeconomico attuale, con le sue debolezze riguardo ai sistemi di protezione sociale e di welfare. La capacità dello Stato di fornire servizi efficienti, in particolare ovviamente in tema di salute, di lottare contro la corruzione e di innalzare il livello di responsabilità e trasparenza verso i cittadini, sarà decisiva per il rafforzamento della coesione sociale e il contenimento delle spinte autoritarie, sempre presenti, che hanno funestato in passato l’America centrale.

Foto Credits: Feria del Agricultor y el Artesano “El Mayoreo” en Tegucigalpa. Kes47, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons