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Zaatari, Giordania: la realtà di un campo profughi al tempo del Coronavirus

Alshoubaki Wa’ed

La Giordania ospita quindici campi profughi, dieci dei quali sono campi palestinesi dell’Unrwa, mentre cinque sono destinati ai rifugiati siriani. Il campo di Zaatari costituisce il più grande rifugio del mondo per i profughi siriani ed è il più grande campo profughi del Medio Oriente. Al culmine della crisi del 2013 ospitava più di 150.000 rifugiati. Attualmente ne ospita oltre 76.000, e per popolazione rappresenta la quarta “città” più grande della Giordania. Secondo le statistiche dell’Unhcr il 55% dei residenti del campo di Zaatari ha meno di 18 anni, ed il 30% appartiene a famiglie guidate da sole donne.

La Giordania ha registrato il primo caso di Coronavirus il 2 marzo 2020, e il 20 marzo ha annunciato decise misure per la prevenzione del contagio, tra cui un lockdown completo e uno parziale (poi trasformato in un più morbido lockdown nei fine settimana), la chiusura di scuole e università, l’avvio di programmi di istruzione a distanza e la chiusura degli aeroporti e delle frontiere ufficiali. Il paese ha annunciato un piano d’azione nazionale contro la pandemia, che riguarda sia i cittadini giordani che i rifugiati, all’interno e all’esterno dei campi. In Giordania lo stato di emergenza per la pandemia si è concretizzato nell’emanazione di ordinanze per garantire il più alto grado di impegno in conformità con la Legge n. 13 del 1993, che conferisce al primo ministro un’ampia gamma di poteri finalizzati all’adozione di tutte le misure necessarie in circostanze eccezionali, tra cui le pandemie, per tutelare il bene comune e proteggere lo stato e i cittadini.

Il campo di Zaatari è amministrato in collaborazione tra il governo giordano, l’Unhcr e altre agenzie dell’Onu e Ong internazionali e nazionali che forniscono assistenza sanitaria, istruzione, cibo e accoglienza ai rifugiati siriani. Organizzazioni internazionali specializzate come l’Unhcr, il Nrc, l’Oms, l’Unicef e l’Unfpa forniscono il necessario sostegno ai rifugiati e favoriscono la cooperazione con le autorità giordane, per garantire loro un’assistenza sulla base degli standard umanitari internazionali e dei principi di protezione. La Giordania ha ricevuto assistenza finanziaria dall’Unione Europea, dagli Stati Uniti e da organizzazioni umanitarie per sostenere i rifugiati e le comunità ospitanti.

Secondo la Direzione generale per la protezione civile e le operazioni di aiuto umanitario europee (Echo), dall’inizio della crisi siriana l’Unione europea ha devoluto 2,7 miliardi di euro alla Giordania, sotto forma di programmi di assistenza umanitaria e allo sviluppo e di programmi di assistenza macrofinanziaria. Di questi, più di 375 milioni di euro sono stati stanziati per la fornitura di servizi, tra cui assistenza sanitaria, cibo, sostegno finanziario diretto, e aiuti per necessità di alloggio, acqua, servizi igienici, istruzione, sostegno psicosociale e protezione. Questi aiuti umanitari sono distribuiti ai rifugiati del campo di Zaatari e di altri campi profughi siriani, come quello Azraq (che ha accolto circa 32.000 rifugiati) e quello di Alrukban, dove risiedono circa 10.000 persone, e anche ai rifugiati siriani che si sono insediati fuori dei campi. A tali aiuti va aggiunta l’assistenza speciale durante l’inverno, per proteggere i rifugiati dalle intemperie con coperte, vestiti, cibo e mezzi di riscaldamento, che è stata pari a 20 milioni di euro nel 2019 e a 15 milioni di euro nel 2020.

Echo ritiene che le restrizioni causate dalla pandemia del Coronavirus stiano peggiorando le condizioni di vita dei rifugiati, e che essi non siano in grado di sopperire ai loro bisogni primari a causa della perdita di posti di lavoro, della riduzione dei sostegni finanziari e del ruolo non costante degli aiuti internazionali.

Appare quindi importante cercare di verificare quali siano oggi le reali condizioni di vita dei rifugiati nei campi profughi, per comprendere le ripercussioni della pandemia sui soggetti più vulnerabili. A tale scopo, sono state effettuate diverse interviste (via telefono o Zoom) con siriani del campo di Zaatari. Gli intervistati hanno preferito non rivelare i loro nomi.

Uno dei dirigenti medici del campo di Zaatari ha dichiarato che, dopo l’avvio delle procedure di contenimento del Covid-19, il centro di assistenza sanitaria ha lavorato alla preparazione di un piano d’azione per affrontare la pandemia insieme col Ministero della Salute giordano e l’Unhcr, e ha sottolineato che le misure di contenimento si applicano allo stesso modo a giordani e siriani, e che non esiste un’ordinanza specifica relativa ai rifugiati siriani. I due principali provvedimenti adottati nel 2020 hanno riguardato il divieto di spostamento e vagabondaggio in tutte le regioni e città della Giordania e la chiusura dei negozi. A Zaatari, le misure hanno riguardato anche verifiche all’entrata e all’uscita dal campo, il divieto per i rifugiati di allontanarsene e controlli per evitare che l’infezione venisse introdotta dall’esterno.

Squadre di investigazione epidemiologica hanno condotto analisi per individuare la positività al Covid-19 e la direzione sanitaria di Mafraq del Ministero della Salute giordano ha effettuato test a campione tra i rifugiati e il personale amministrativo all’interno del campo. In una fase successiva, il personale medico delle organizzazioni del settore sanitario all’interno di Zaatari è stato sottoposto a formazione specifica e sono stati distribuiti strumenti e kit per gli esami.

Il Corpo Medico Internazionale (IMC) ha effettuato regolarmente test per il Coronavirus all’interno del campo. L’amministrazione sanitaria ha sviluppato un piano d’azione precauzionale e preventivo per assicurare la protezione dei pazienti, la gestione del personale e la sanificazione dei locali. È stata designata un’area per ricevere i pazienti diversa dalla abituale sala di ricevimento, ed è stata inoltre allestita una grande tenda all’esterno della clinica, aperta e ventilata per garantire il distanziamento fisico. Il personale sanitario fornisce informazioni dettagliate sul Coronavirus, per sensibilizzare i pazienti su come proteggere sé stessi e le proprie famiglie con l’uso di mascherine, col lavaggio e la disinfezione delle mani e col distanziamento sociale. Il centro sanitario del campo di Zaatari ha stabilito un protocollo speciale per trattare i casi di emergenza e altri protocolli per i casi non gravi. I pazienti sono stati istruiti su come accedere alle cliniche, a chi ne è sprovvisto viene consegnata una mascherina all’ingresso e sono a disposizione postazioni che erogano gel alcolici. Viene anche assicurato il distanziamento fisico (da un minimo di un metro e mezzo fino a due metri).

È stato inoltre ridotto il numero di visite da parte dei medici di turno. Ai pazienti con malattie croniche come diabete, asma o cardiopatie vengono consegnati periodicamente i farmaci necessari, per evitare che si rechino personalmente alle cliniche aumentando la possibilità di infezioni.

Un dirigente medico ha sottolineato che l’applicazione dei protocolli sanitari ha incontrato inizialmente ostacoli, dovuti al mancato rispetto da parte dei rifugiati delle istruzioni per la prevenzione del contagio e alla sottovalutazione del pericolo del virus. In seguito, le persone hanno compreso il rischio e dopo sei mesi di convivenza con il virus, hanno ora acquisito una “cultura” del Covid-19, hanno accettato le procedure e, anche in seguito al contagio di loro parenti all’estero, si sono rese conto della gravità dell’infezione, e che il virus non è un’illusione o una diceria.

Per quanto riguarda il personale che lavora all’interno del campo, in una prima fase sono state diramate disposizioni per diminuire la presenza dei quadri in organico di circa il 30%. Inoltre è stato istituito un permesso di movimento, per evitare spostamenti tra i governatorati, in particolare durante il periodo di lockdown. Più recentemente, il personale è stato suddiviso in due turni di tre giorni a settimana, per ridurre il sovraffollamento. Sono stati rilasciati permessi di circolazione al personale medico che lavora all’interno del campo ma abita all’esterno, e sono stati messi a disposizione delle squadre mezzi di trasporto con autisti forniti di permesso. Sono stati stabiliti dei punti per il controllo della temperatura corporea e ogni persona che entra nel campo viene esaminata, compreso il personale di servizio. Sono stati distribuiti dispositivi di protezione individuale e viene effettuata un’ispezione giornaliera degli indumenti protettivi. Le cliniche vengono sanificate alla fine dell’orario di lavoro, e le squadre addette disinfettano completamente gli ambienti, i letti e le porte utilizzando spray al cloro e altri strumenti.

Un dirigente medico nel campo di Zaatari ha affermato che, nonostante il costo delle procedure precauzionali speciali, il piano di crisi per il Coronavirus è stato realizzato senza un supporto economico aggiuntivo. L’attività di prevenzione è stata gestita nell’ambito del budget del centro di assistenza sanitaria, nonostante l’aumento di costi per attrezzature, come le maschere respiratorie. Ciò è stato possibile perché a fronte dell’aumento di alcune voci di spesa, altre sono state diminuite. Per fare un esempio, in precedenza il centro visitava circa 700/800 pazienti al giorno, ma durante il periodo della pandemia il numero è sceso a circa 200/250. Inoltre, sono state ridotte le forniture di farmaci e materiale sanitario, e le prescrizioni rilasciate giornalmente sono passate da 770 a circa 150/200.

Il primo soggetto risultato infetto nel campo di Zaatari è una donna, che ha dichiarato di vivere nel campo dal 2013. Lavora nel centro di riabilitazione per persone con bisogni speciali del campo, come assistente di un fisioterapista giordano che le ha trasmesso il virus. Ha dichiarato che, quando è risultata positiva, la Protezione Civile giordana l’ha trasferita sul Mar Morto (una delle zone di isolamento sanitario ufficiali in Giordania) dove le hanno fornito gratuitamente vitto, alloggio ed assistenza medica. I suoi figli e suo marito sono stati collocati in una speciale area di isolamento all’interno del campo, poiché i loro test erano risultati negativi. La donna ha dichiarato che il periodo di convalescenza in isolamento nella zona del Mar Morto ha costituito un’opportunità per cambiare ambiente ed atmosfera, poiché da quando risiede nel campo la sua vita è stata sempre divisa tra lavoro, faccende domestiche e studi universitari. È stata un’occasione per poter guardare la televisione e per riflettere, anche perché i suoi sintomi non erano gravi. Tuttavia, al ritorno dall’isolamento ha sofferto per una forma di stigma sociale, poiché alcuni suoi familiari evitavano di avere a che fare con lei, e altri ritenevano che si fosse ammalata per ignoranza o a causa di scarsa igiene, o per aver interagito con persone esterne al campo. Ha aggiunto che gli effetti negativi del Covid-19 non riguardano soltanto il pericolo di infettarsi. In particolare, i terapisti sono stati sospesi dal lavoro a causa del lockdown e questo ha comportato per lei maggiori difficoltà per consegnare attrezzature ai pazienti e per connettersi a Internet e comunicare con i logopedisti e con i bambini in terapia. Suo marito inoltre ha perso il lavoro, a causa della riduzione del personale di una Onlus internazionale, che ha licenziato 18 dei 20 dipendenti.

Una madre di otto figli aggiunge: “Attualmente viviamo un momento di difficoltà, e dall’inizio della pandemia non abbiamo comprato vestiti nuovi per me e per i miei figli”. Risparmia denaro per pagare lezioni al figlio, che è alle scuole superiori, in modo che possa ottenere una borsa di studio dell’Unione Europea (Edu siriana) ed entrare nelle università giordane, cui non è considerato facile accedere, così come non è facile ottenere la borsa di studio.

Il lockdown economico nazionale ha rallentato la crescita del paese. Nel secondo trimestre del 2020 la crisi ha fatto aumentare il tasso di disoccupazione al 23%, rispetto al 19,3% del primo trimestre, ha provocato la chiusura di diversi progetti, ha rallentato gli investimenti pubblici e ridotto l’occupazione nel settore privato. I rifugiati siriani sono stati drammaticamente e profondamente colpiti da questa crisi, a causa delle loro già precarie condizioni economiche e di vita.

Alcuni siriani del campo di Zaatari hanno commentato le condizioni economiche negative determinate dal Coronavirus, riferendosi in particolare alla chiusura del campo, al licenziamento di diversi lavoratori e alla distribuzione delle persone all’interno e all’esterno del campo.

Un rifugiato (che ha preferito non fornire il nome), laureato in letteratura inglese, fa il decoratore e l’artigiano. Lavorava per laboratori sia all’interno del campo che fuori, ma a seguito del lockdown e delle misure di contenimento del contagio, tra marzo e giugno non ha lavorato per 80 giorni. Il divieto di lavoro su base settimanale danneggia maggiormente le classi più disagiate, e lavorare a settimane alterne non ne migliora le condizioni. Ha affermato di aver speso tutti i suoi risparmi durante il periodo della chiusura, ed è preoccupato per qualsiasi necessità finanziaria improvvisa possa verificarsi nel prossimo futuro.

Ahmad (non è il suo vero nome) lavora nel settore agricolo a Mafraq, ma non ha un permesso di lavoro. Deve occuparsi della madre e delle tre sorelle, poiché suo padre è rimasto in Siria. Durante il periodo dell’emergenza per il Coronavirus la chiusura del campo, il deterioramento della situazione economica e la diminuzione dei posti di lavoro lo hanno costretto a lavorare solo due o tre giorni alla settimana, e a volte non ha nemmeno la possibilità di lavorare a orario ridotto. Ha dichiarato: “Non ci sono opportunità di lavoro, e uscire è impossibile se non attraversando di nascosto il terrapieno che fa da confine al campo, e dal quale i rifugiati si dileguano quando non è possibile uscire regolarmente dal cancello.” Alla domanda su come gestisce le sua situazione, ha risposto che chiede prestiti agli amici e ai negozi di alimentari, e che ha ricevuto solo una volta un sostegno finanziario da parte dell’Unhcr. Ha concluso la conversazione dicendo: “Temo che la crisi si prolungherà, non ho soldi e attualmente non posso ottenere un permesso di lavoro, con le procedure per il Coronavirus in vigore”.

Altri rifugiati hanno confermato che pur non avendo perso il lavoro, conoscono molte persone rimaste disoccupate, o che i loro stipendi sono stati ridotti, soprattutto per coloro che lavorano fuori dal campo.

Nell’ambito dell’istruzione, la pandemia di Covid-19 ha causato una crisi nei paesi in via di sviluppo che hanno carenze nel settore della tecnologia e delle relative competenze. Dall’inizio della crisi, la Giordania ha annunciato il passaggio alla didattica online in tutto il paese. Ma i rifugiati siriani nel campo di Zaatari nutrono dubbi sull’efficacia dell’insegnamento a distanza nel provvedere all’istruzione degli studenti residenti nel campo, a causa della mancanza di attrezzature tecnologiche e della difficile situazione economica.

Un ex insegnante e un volontario per l’istruzione di bambini all’interno del campo hanno sottolineato che, nell’esperienza di apprendimento a distanza, alcuni studenti, (soprattutto quelli che hanno genitori istruiti e che possiedono uno smartphone) riescono a seguire i canali didattici secondo il programma, e a inviare i compiti alle piattaforme ufficiali. Gli altri ragazzi del campo si accontentano invece di seguire le lezioni senza presentare i compiti o sostenere esami, perché non hanno accesso a Internet oppure non possiedono uno smartphone e non sanno come interagire con le piattaforme del Ministero dell’Istruzione.

Un ex insegnante ha attribuito l’inefficienza della didattica online alle inadeguatezze del campo di Zaatari, soprattutto perché l’erogazione di elettricità è debole, non è disponibile 24 ore su 24, mancano connessioni Internet domestiche ed è difficile ricevere assistenza informatica dalle organizzazioni internazionali.

Secondo una madre di nove bambini in età scolare, l’inefficacia della didattica online è dovuta anche al precedente già scarso livello di preparazione degli alunni e al ritiro dei bambini dalla frequenza a scuola. Problemi tecnici legati alla registrazione degli studenti e alla discrepanza tra i dati dell’Unhcr e quelli del Ministero dell’Istruzione hanno impedito alle sue figlie di accedere alla piattaforma ufficiale, fino a quando l’errore non è stato corretto. Inoltre, a causa della crisi alcuni genitori hanno perso il lavoro, non sono in grado di far fronte alle spese essenziali e il costo dell’istruzione informatica accresce le loro difficoltà. Alcuni studenti escono di nascosto dal campo attraverso il terrapieno e lavorano per una paga di cinque euro al giorno, per aiutare le loro famiglie.

In questa situazione generale, per i rifugiati siriani nel campo di Zaatari la crisi del Coronavirus non è vissuta come una calamità soltanto sanitaria, ma anche economica, sociale, emotiva e spirituale.

Uno dei residenti a Zaatari ha sottolineato il peso di trovarsi separato dai suoi fratelli, sorelle e altri parenti che vivono lontano dal campo, ad Amman. Trascorrere settanta giorni senza mai incontrare la famiglia ha avuto un pesante impatto sulla sua condizione di rifugiato ed espatriato. Inoltre, il Coronavirus danneggia anche la sua vita sociale, perché non può interagire con gli amici per evitare la possibilità di infettarsi e per proteggere la famiglia.

Alcuni rifugiati hanno parlato dell’impossibilità di andare in una moschea e in altri luoghi di culto come di una crisi spirituale, perché sentono un disperato bisogno di preghiera, in questi tempi difficili.

Il Coronavirus e la chiusura del campo fa sentire i rifugiati siriani di Zaatari isolati dai loro parenti e amici che si trovano al di fuori, ai quali non possono più far visita.

Una rifugiata ha affermato che, prima del Coronavirus, era facile ottenere l’autorizzazione da parte del personale della sicurezza a lasciare il campo per brevi visite all’esterno. Ora non può più vedere i suoi amici, o la suocera e i familiari del marito, che si trovano fuori dal campo. Si sente sola perché la maggior parte dei parenti sono in Germania, in Svezia e in Libano, e ha dato alla luce un figlio che la famiglia del marito non ha ancora visto.

La comunità dei rifugiati del campo viveva in condizioni difficili anche prima della crisi del Coronavirus. Le ripercussioni economiche e psicologiche di quest’ultima li hanno colpiti duramente a causa delle cattive condizioni economiche di partenza, della mancanza di posti di lavoro stabili e della difficoltà delle famiglie nell’affrontare le nuove strategie necessarie sostenere i meccanismi di governance volti a contenere la pandemia. Quanto descritto mostra che i rifugiati siriani nel campo di Zaatari, durante la crisi del Coronavirus, hanno sofferto per la perdita di posti di lavoro, per la povertà, per difficoltà economiche e per problemi psicologici. Bisogna prestare particolare attenzione alle persone che, all’interno dei campi, soffrono le conseguenze dei mutamenti intervenuti nel sostegno finanziario e sociale offerto dalle organizzazioni nazionali e internazionali, in particolare fornendo agli studenti dispositivi tecnologici e la possibilità di accesso a Internet, e permettendo loro di utilizzare computer nel centro tecnologico interno del campo, pur supervisionandone il distanziamento sociale.

La collaborazione con i programmi di governance globale volti a implementare i principi del Global Compact on Refugees riduce l’impoverimento della vita dei rifugiati, migliora le loro condizioni e sostiene i paesi ospitanti che per effetto della pandemia si trovano a fronteggiare stagnazione economica, alta disoccupazione ed elevato debito estero.

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Foto Credits:
Aerial View of the Za’atri Refugee Camp: US state of department/ Public Domain attraverso Flickr
Syrian Refugees Face an Uncertain Future: Mohamed Azakir / World Bank Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0) attraverso Flickr