Mondo Editoriali

Povertà: concetti, cause, conseguenze e misurazioni

Seshamani Venkatesh

L’obiettivo fondamentale di ogni attività umana è la ricerca della felicità, dell’agiatezza o del benessere. La misura in cui si possa ottenere questo benessere dipende dalla quantità di opportunità e scelte a disposizione di un individuo perché possa impegnarsi in attività e acquisire beni che ne promuovano il raggiungimento. Più limitate sono le opportunità e le scelte, minore sarà la possibilità di raggiungere il benessere: è perciò necessario aumentare il numero di opportunità e allargare la gamma delle scelte se si vuole promuovere il benessere. La concretizzazione di questo processo va sotto il nome di sviluppo umano.

Il contesto del concetto di povertà

Sebbene il concetto di sviluppo umano risalga alla notte dei tempi, la sua definizione attuale è stata formulata dal compianto economista Mahbub Ul Haq e dal premio Nobel Amartya Sen, sotto l’egida del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) nel 1990. La definizione è ancorata alla cosiddetta “teoria delle capacità” descritta da Sen (Sen’s Capabilities Approach), che prende in considerazione ciò che le persone possono essere (per esempio ben nutrite e in buona salute, ben informate) e in che misura possono fare ciò che considerano desiderabile (ad esempio istruirsi o fare un lavoro dignitoso).

Nella teoria di Sen, le azioni hanno due aspetti: in primo luogo, ciò che una persona è capace di fare (capacità) e, in secondo luogo, ciò che ha effettivamente possibilità di fare (funzionamento, realizzazione). Ad esempio, una persona può avere le necessarie credenziali accademiche (come una laurea in storia e un diploma post-universitario in pedagogia) per dedicarsi al lavoro che desideri svolgere (ad esempio insegnare in una scuola); ma di fatto potrebbe non svolgerlo perché non riesce a trovarne uno (disoccupazione) oppure, per pura disperazione, mettersi a lavorare come tassista pur di guadagnare qualche soldo. Questo è un esempio di una capacità che non trova una appropriata possibilità di realizzazione.

A questo punto potremmo immaginare di stilare un bilancio dello sviluppo umano per un determinato paese, proprio come nel caso di una società che produce un bilancio finanziario con attivi e passivi. Dal lato degli attivi, vedremmo i progressi compiuti in termini di opportunità e scelte e, dal lato dei passivi, comparirebbero le deprivazioni in termini delle stesse opportunità e scelte.

È importante sottolineare che il miglioramento di un indicatore di progresso non implica necessariamente una riduzione del corrispondente indicatore di deprivazione; ad esempio, anche in presenza di una crescita occupazionale potrebbe non verificarsi una riduzione della disoccupazione. In altre parole, sia l’occupazione che la disoccupazione potrebbero aumentare contemporaneamente se l’incremento dell’occupazione fosse inferiore a quello della forza lavoro. Allo stesso modo, la produzione di cibo in un paese potrebbe aumentare e, nonostante ciò, ancora più persone potrebbero soffrire la fame. E via dicendo.

Si noti che alla luce del precedente esempio si potrebbe anche pensare alla deprivazione come “inabilità di trasformare la capacità nel corrispondente funzionamento”. Questo è il motivo per cui il Rapporto UNDP sullo sviluppo umano del 1997 ha raccomandato che, al fine di comprendere i reali miglioramenti raggiunti da un paese nello sviluppo umano e nel benessere, vengano adottati sia un approccio composito (che valuti vari indicatori di progresso generale) sia un approccio incentrato sulla deprivazione (che valuti gli indicatori di deprivazione generale).

La deprivazione di molteplici fattori che contribuiscono al benessere umano è definita povertà.

Le ramificazioni e le manifestazioni della povertà

Deve essere chiarito fin dall’inizio che la povertà intesa nel senso della deprivazione deve essere legata alla libertà di scelta. La povertà è una deprivazione involontaria. Per esempio, se una persona è disoccupata perché sceglie volontariamente di non lavorare, e non perché non riesca a trovare un lavoro, quella non potrà definirsi deprivazione. Ugualmente, non sta vivendo in povertà un individuo che soffra la fame per aver volontariamente scelto di osservare un periodo di penitenza religiosa che preveda digiuno e astinenza (Quaresima, Ramadan, ecc.). D’altro canto, sarà da considerarsi una manifestazione di povertà quella di una persona che ha fame perché non può permettersi di accedere al cibo.

La povertà intesa come deprivazione si manifesta fondamentalmente come una mancanza di accesso a molte componenti necessarie per soddisfare i bisogni umani fondamentali e assicurare un’esistenza umana decente. Quello che segue è solo un elenco euristico, e per nulla comprensivo, di tali componenti:

  • Salute;
  • Formazione scolastica;
  • Acqua pulita e servizi igienico-sanitari;
  • Rifugio e alloggio;
  • Infrastrutture (trasporti, mercati, scuole, università, strutture sanitarie, ecc.);
  • Informazione;
  • Occupazione;
  • Entrate monetarie.

La povertà può quindi manifestarsi come mancanza di accesso a uno o più dei suddetti fattori. Di conseguenza, si può soffrire di povertà alimentare, povertà sanitaria, povertà di istruzione, povertà d’acqua e così via. Più è alto il numero di fattori di cui una persona è deprivata, più risulterà povera. Di tutti i fattori sopra elencati, quello più discusso in letteratura è il reddito monetario. Questo perché il denaro rappresenta il potere d’acquisto generale e la possibilità di avere accesso a tutti gli altri mezzi che promuovono il benessere umano. Con il denaro si possono acquistare cibo, istruzione, servizi sanitari, abitazioni dignitose, strutture di trasporto, uso dei mezzi di informazione, tecnologie di comunicazione e via dicendo. Per corollario, la mancanza di denaro può privare dell’accesso a uno o tutti gli altri requisiti del benessere

Possiamo distinguere due approcci di massima per misurare l’entità della povertà prevalente in un paese: un approccio monetario (money-metric) e un approccio non monetario (non-money-metric).

Esistono molte misure di povertà basate su questi due approcci. Nella prossima sezione, discuteremo due misure oggi prevalentemente utilizzate – una monetaria e una non monetaria – e spiegheremo come sono calcolate.

Calcolo delle misure di povertà

Misure monetarie di povertà: la povertà di reddito si basa sulla formulazione di una linea di povertà che definisce una soglia di reddito al di sotto della quale un individuo o una famiglia verranno considerati poveri. La linea di povertà è la quantità minima di denaro richiesta per acquistare un paniere di beni di base. Si possono distinguere due linee di povertà: una inferiore, scendendo al di sotto della quale si definisce la povertà estrema, e una superiore, al di sotto della quale si è in una condizione di povertà moderata.

L’uso delle linee di povertà di cui sopra definisce la povertà di reddito assoluta. Tuttavia, nell’Unione europea e nei paesi dell’OCSE viene utilizzata la povertà di reddito relativa, secondo la quale vengono definiti poveri coloro i cui redditi sono ben al di sotto del reddito medio del paese in questione (l’Unione europea utilizza il 60 per cento e l’OCSE il 50 per cento del reddito medio come soglia).

Spiegheremo ora come viene misurata la povertà utilizzando le linee di povertà assoluta.

Calcolo delle misure monetarie di povertà: ogni paese può definire quelle che considera le linee di povertà più appropriate per stimare i propri livelli di povertà.

Nei paesi in via di sviluppo le linee di povertà nazionali sono spesso oggetto di controversie poiché assumono connotazioni politiche. In India, ad esempio, il governo è stato presumibilmente incline a fissare una linea di povertà irrealisticamente bassa per dimostrare di essere riuscito a ridurre la povertà nel paese. Così nel 2014 si levò un grido d’allarme politico quando l’ex presidente del Consiglio consultivo per l’economia propose di aumentare la soglia di povertà da 27 a 32 rupie (53 centesimi di dollaro) al giorno per le aree rurali e da 33 a 47 rupie (78 centesimi di dollaro) per le aree urbane. Ciò avrebbe innalzato il livello di povertà dell’India dal 21,9 al 29,5 per cento. Tuttavia anche questa proposta di aumento fu criticata da alcuni, dal momento che sarebbe risultata ancora molto al di sotto del livello di riferimento adottato dalla Banca Mondiale di 1,25 dollari al giorno.

Attualmente, ai fini dei confronti internazionali, la Banca Mondiale ha stabilito la soglia di 1,90 dollari al giorno a persona per definire la povertà estrema e quella di 3,20 dollari al giorno a persona per la povertà moderata. La percentuale della popolazione che cade al di sotto della soglia di povertà definisce l’incidenza della povertà stessa. Questo approccio è anche noto come “indice di povertà di popolazione” (headcount index). Si può quindi misurare l’incidenza della povertà generale, comprendente tanto quella moderata che quella estrema, oppure calcolare ciascuna delle due separatamente.

Tuttavia, uno svantaggio della misura dell’incidenza della povertà è che questa non ne considera l’intensità. Due paesi potrebbero avere la stessa incidenza di povertà, ma l’intensità della povertà potrebbe essere più elevata in un paese rispetto all’altro. Questo avviene perché l’incidenza della povertà non cambia anche se le persone al di sotto della soglia di povertà dovessero diventare ancora più povere.

Quindi l’incidenza della povertà viene completata da altre due misurazioni:

      • Profondità della povertà (poverty gap): fornisce informazioni su quanto le famiglie siano lontane dalla soglia di povertà. Si ottiene sommando tutte le carenze dei poveri e dividendo il totale per la popolazione. Si valuta quindi quale sarebbe il reddito necessario per portare tutti i poveri al livello della soglia di povertà.
      • Severità della povertà (squared poverty gap): questo indice non solo tiene conto della profondità della povertà, ma anche della disuguaglianza tra i poveri. Viene cioè dato un peso maggiore a coloro che sono più lontani dalla soglia di povertà.

Tutte le misure di cui sopra si basano su una classe di misure di povertà proposte per la prima volta da Foster, Greer e Thorbeckenel nel 1984.

Misure non monetarie di povertà: In questo campo sono state utilizzate diverse misure, come la Misura della povertà in termini di possibilità (Capability Poverty Measure), l’indice di povertà umana (Human Poverty Index), adottati da UNDP, e così via. Altri analisti hanno sviluppato le proprie misure per stimare i livelli di povertà e deprivazione nei loro paesi. Ad esempio, Seshamani ha costruito 13 indici ponderati di deprivazione sulla base di 15 variabili e quindi ha ricavato un indice complessivo di deprivazione basato su questi indici. Questo indice include sia variabili monetarie che non monetarie. L’indice è stato calcolato empiricamente per lo Zambia utilizzando i dati delle Indagini sul monitoraggio delle condizioni di vita.

Una misura esclusivamente non monetaria piuttosto recente e innovativa è quella presentata da UNDP nel suo Rapporto sullo sviluppo umano del 2010. È noto come Indice di povertà multidimensionale (MPI) ed è basato sulle molteplici privazioni che una persona povera può affrontare in termini di scolarizzazione, salute e condizioni di vita.

Calcolo dell’MPI: l’MPI ha 3 dimensioni: istruzione, salute e tenore di vita, misurate usando 10 indicatori. Le famiglie povere vengono prima identificate e viene successivamente costruita una misura aggregata. Ad ogni dimensione viene dato lo stesso peso, così come ogni indicatore all’interno di ciascuna dimensione è ponderato uniformemente.

Una famiglia è definita povera da un punto di vista multidimensionale se, e solo se, risulta deprivata di una combinazione di indicatori la cui somma ponderata superi il 30 per cento di tutte le deprivazioni prese in considerazione.

I dati sono ricavati dai Censimenti nazionali sulle famiglie e riguardano l’anno in cui viene condotto il sondaggio.

Le dimensioni e gli indicatori utilizzati per ciascuna famiglia sono:

1. Istruzione: ogni indicatore è ponderato uniformemente per 1/6:

      • Anni di scuola: famiglia deprivata ​​se nessun membro ha completato cinque anni di scolarizzazione;
      • Iscrizione scolastica dei bambini: famiglia deprivata se ciascun bambino in età scolare non frequenta la scuola fino all’ottavo anno di età.

2. Salute: ciascun indicatore viene pesato uniformemente per 1/6:

      • Mortalità infantile: famiglia deprivata se è deceduto qualche bambino;
      • Nutrizione: famiglia deprivata se un qualsiasi adulto o bambino per il quale esistono informazioni nutrizionali è
        malnutrito.

3. Standard di vita: ciascun indicatore è uniformemente ponderato per 1/18:

      • Elettricità: famiglia deprivata se non ha elettricità;
      • Acqua potabile: famiglia deprivata se non ha accesso all’acqua potabile o questa è a più di 30 minuti a piedi da
        casa;
      • Servizi igienico-sanitari: famiglia deprivata ​​se non dispone di servizi igienici decenti o se tali servizi
        sono condivisi.
      • Pavimentazione: famiglia deprivata se la casa ha un pavimento sporco, di sabbia o letame;
      • Combustibile per cuocere: famiglia deprivata se usa cuocere con legna, carbone o sterco;
      • Beni di consumo: famiglia deprivata se non possiede più di uno tra i seguenti beni: radio, TV, telefono, bicicletta
        o motocicletta, un’auto o un trattore.

L’MPI ha una grande rilevanza politica, poiché identifica le aree specifiche di deprivazione che richiedono risposte politiche e che possono variare da paese a paese. Due paesi possono avere valori di MPI simili, ma le aree di deprivazione potrebbero essere diverse. Allo stesso modo anche all’interno di un paese possono verificarsi variazioni significative di MPI; ad esempio, le capitali possono avere un MPI molto più basso rispetto alle aree rurali più remote. Va notato che le persone che vivono nella povertà secondo l’MPI possono non essere necessariamente povere di reddito. Ad esempio, nel 2010 si è riscontrato che in Niger mentre solo due terzi delle persone erano povere di reddito, il 93 per cento era povero secondo l’MPI. D’altra parte, secondo il Rapporto 2016 sullo sviluppo umano in Zambia, nel 2013/14 il valore dell’MPI era solo del 26,4 per cento, mentre il 64,4 per cento era povero di reddito. Quindi, non esiste necessariamente una correlazione tra misure monetarie e non monetarie della povertà.

Le cause della povertà

Esistono molte cause di povertà che variano secondo le regioni spazio-temporali, per cui non è possibile generalizzarle. Ciononostante, è possibile distinguere alcune cause che rivestono un ruolo di primo piano in vari paesi del mondo, in particolare tra quelli in via di sviluppo. Un elenco illustrativo è stato pubblicato da Richard Vale in un breve articolo del 2017.Vale menzionare in proposito sei cause principali: guerra, arretratezza dell’agricoltura, disastri naturali, centralizzazione del potere e corruzione, discriminazione e disuguaglianza sociale, e degrado ambientale.Tuttavia, un rapporto di Oxfam International del 2018 attribuisce la povertà a livelli di disuguaglianza estremi e crescenti. “La disuguaglianza sta intrappolando centinaia di milioni di persone in povertà“, afferma il rapporto. Molte delle statistiche fornite da Oxfam nella sua relazione sono estremamente serie. È particolarmente significativo questo passaggio:

  • L’82 per cento della ricchezza creata nel 2017 è andato all’1 per cento più ricco della popolazione mondiale, mentre i 3,7 miliardi di persone che costituiscono il 50 per cento più povero della popolazione mondiale non hanno ottenuto nulla.

Esistono naturalmente molti critici della posizione di Oxfam, principalmente per la definizione del capitalismo moderno come “crimine contro l’umanità”. Quei critici mettono inoltre in discussione le statistiche di Oxfam basate sulla ricchezza e non sul reddito, che suggerirebbero che la disuguaglianza vada crescendo, mentre secondo loro non esisterebbe una “crisi di disuguaglianza” e la disuguaglianza mondiale sarebbe anzi in declino dal 1980 (per una di queste critiche a Oxfam, il lettore può riferirsi all’articolo di Ivo Vegter pubblicato sul Daily Maverick del 29 gennaio 2018).Tuttavia, non c’è dubbio che un’elevata disuguaglianza costituisca un problema spinoso per il raggiungimento del benessere e della riduzione della povertà, dal momento che si pone in contrasto con l’efficienza economica e l’equità sociale. È tra l’altro un problema non solo per i paesi in via di sviluppo caratterizzati da alti livelli di povertà, ma anche per molti paesi sviluppati. Il premio Nobel Joseph Stiglitz  nel 2011 ha descritto l’economia americana come un’economia “dell’1 per cento, da parte dell’1 per cento e per l’1 per cento“. Il rovescio della disuguaglianza, secondo Stiglitz, è una riduzione delle opportunità, per cui si impedisce di fatto alle persone di essere utilizzate nel modo più produttivo. Di conseguenza, l’1 per cento più in alto vede aumentare il proprio reddito, mentre la classe media assiste alla caduta dei propri redditi.In effetti, negli Stati Uniti questa elevata disuguaglianza ha portato a una povertà relativa più alta che in altri paesi occidentali. Alla fine degli anni 2000, il 17,3 per cento delle famiglie americane viveva in povertà, rispetto a un tasso medio di povertà del 9,5 per cento nella maggior parte dei paesi europei.

Le conseguenze della povertà

Così come le cause, anche le conseguenze della povertà sono molteplici. Esiste una vasta letteratura su questo argomento, che in questa sede discuteremo brevemente alludendo ad alcuni degli ultimi scritti.

Le principali conseguenze della povertà sono sociali.  I poveri rischiano di essere esclusi, di perdere il loro stato sociale e l’identità, e probabilmente anche i loro amici. Inoltre, la povertà comporta un abbassamento dell’autostima e la mancata partecipazione al processo decisionale nella vita civile, sociale e culturale, cosa che si verifica anche in paesi avanzato, come ad esempio la Svezia, utilizzando i dati longitudinali delle indagini svedesi sulla qualità della vita per il 2000 e il 2010.

Altre conseguenze sociali citate in letteratura, particolarmente nei paesi in via di sviluppo, sono le seguenti:

      • I poveri hanno più probabilità di avere problemi familiari, compresi il divorzio e conflitti familiari;
      • I poveri hanno più probabilità di avere vari tipi di problemi di salute;
      • La povertà ha conseguenze per tutta la vita. In generale, i bambini poveri hanno maggiori probabilità di rimanere poveri da adulti, di abbandonare la scuola superiore, di diventare genitori adolescenti ed avere problemi occupazionali.

La povertà comporta anche conseguenze politiche come:

      • Migrazioni di massa tra le popolazioni dei paesi colpiti dalla povertà, verso altri paesi in cerca di migliori condizioni di vita;
      • La povertà può destabilizzare un intero paese. Il punto di partenza per la primavera araba fu la prevalenza di alti livelli di povertà.
      • La povertà può essere una causa di terrorismo, anche se il nesso causale non è immediato: l’impatto della povertà sul terrorismo è infatti complesso e indiretto.

Conclusione

In definitiva, bisogna tenere presente che, sebbene la riduzione ed eliminazione finale della povertà rientrino tra gli obiettivi fondamentali di ogni paese, il loro raggiungimento può non garantire comunque la felicità umana. L’assenza di povertà, intesa come disponibilità dei requisiti materiali minimi di benessere per ciascun individuo, è una condizione necessaria, ma assolutamente non sufficiente, per realizzare la felicità umana. Le misure di sradicamento della povertà devono essere integrate da altre misure, volte a promuovere gli obiettivi più complessi in difesa della dignità umana e della pace, nonché ad eliminare: (i) tutte le forme di sfruttamento e schiavitù (che esiste ancora secondo recenti rapporti, come quelli dell’ILO); (ii) la violenza, specialmente contro donne e bambini; (iii) la discriminazione basata su criteri insignificanti come razza, colore della pelle, religione, ecc ; (iv) la stigmatizzazione di gruppi sociali come lesbiche, gay, bisessuali, transgender (LGBT) o le persone che vivono con l’AIDS (PLWA).