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In libreria – Migrant Traders in South Africa

Un volume a cura di Pranitha Maharaj*

Redazione

Il volume curato Migrant Traders in South Africa, curato da Pranitha Maharaj e pubblicato nel 2023 dalla Palgrave Macmillan, è un libro a più voci con una decina di autori e autrici, per lo più provenienti dalla stessa università della curatrice che la affiancano nella scrittura dei vari capitoli.

Nell’introduzione la curatrice chiarisce che il modo migliore per non lasciare indietro nessuno è approfondire le conoscenze nuove ed emergenti in un Paese come il Sudafrica, che sta vivendo una fase di rapido cambiamento e trasformazione ed è Paese di immigrazione che ospita numerosi migranti provenienti dal resto del continente africano, soprattutto dall’Africa australe. Migranti che spesso sono in fuga da disordini politici o da situazioni problematiche nel loro Paese d’origine. Bisogna inoltre tenere conto di una presenza significativa di migranti non registrati, e quindi le stime sul loro numero potrebbero non essere del tutto accurate. L’obiettivo di questa collettanea è di contribuire a comprendere la migrazione in Sudafrica e il suo impatto sui migranti, sulle loro famiglie e sulla società in generale.

Nel complesso, la lettura del volume risulta interessante perché fornisce una prospettiva legata alle esperienze dei migranti in Sudafrica che non viene spesso esplorata dai media tradizionali o dalla ricerca accademica. Utilizzando i dati raccolti da oltre 600 intervistati nella provincia di Gauteng, risulta che meno del 5% di questi migranti era arrivato in Sudafrica nel 1994 o prima. Circa l’80% degli intervistati è arrivato a partire dal 2000; un terzo tra il 2000 e il 2004, il 30% tra il 2005 e il 2009 e il 15% tra il 2010 e il 2014. Infine, risulta anche che circa il 39% dei migranti è impiegato nell’economia informale.

Il legame tra l’economia informale e le strategie di sopravvivenza degli immigrati africani che vivono in Sudafrica permette di cogliere la realtà di un non facile processo di inclusione.

Il volume fornisce anche preziose informazioni sull’esperienza delle donne migranti in Sudafrica, che è generalmente poco studiata. Getta luce sulle loro esperienze quotidiane, sulle ragioni che le hanno spinte a migrare in Sudafrica e sulle difficoltà che devono affrontare per trovare un impiego formale. Il capitolo 5, scritto da Sunday I. Oyebamiji, si focalizza ad esempio sulle donne nigeriane nell’economia informale di Durban e sulle loro strategie di sostentamento nel commercio informale (impieghi in mense alimentari e saloni di parrucchiere, e nel cucire e vendere vestiti). Il Sudafrica riceve ogni anno molte donne nigeriane immigrate, anche se è difficile determinare con precisione il loro numero. Va comunque tenuto conto che la Nigeria è tra i primi dieci Paesi di provenienza, per quanto riguarda la popolazione femminile immigrata in Sudafrica. Si sa poco delle donne nigeriane immigrate in Sudafrica ed è perciò utile leggere il resoconto delle varie interviste. I migranti incontrano diverse difficoltà quando operano nell’economia informale e molti, soprattutto le donne, sono vulnerabili. Alcune donne nigeriane spiegano nel volume di aver dovuto affrontare una serie di barriere che hanno complicato la loro transizione verso un ruolo di unica fonte di sostentamento. La maggior parte delle donne proveniva da comunità fortemente patriarcali, con ruoli di genere chiaramente definiti, che prevedono comportamenti considerati accettabili per uomini e donne. A causa della natura dominante dei sistemi patriarcali in Africa australe, la maggior parte delle donne viene generalmente considerata come subordinata alle loro controparti maschili e subisce estreme forme di discriminazione. Spesso le donne hanno meno voce, meno autonomia, meno opportunità e meno autostima.

Confrontando la situazione delle donne nigeriane con quella degli uomini africani immigrati in Sudafrica, emerge chiaramente come le strategie di sostentamento dei migranti in Sudafrica siano legate al genere. Le donne si dedicano principalmente ad attività come il lavoro domestico e la vendita di piccoli oggetti, mentre gli uomini vendono e riparano prodotti elettronici, possiedono piccoli negozi informali, si dedicano all’edilizia e riparano scarpe. Forse potrà essere una sorpresa il fatto che, dalle indagini svolte dagli autori del volume, risulta che la maggior parte dei migranti è notevolmente qualificata e istruita, con un livello di istruzione almeno secondario. Nonostante ciò, quasi tutti hanno incontrato molte difficoltà nel trovare un impiego formale in Sudafrica.

Molti zimbabwani in Sudafrica si trovano a vivere in condizioni difficili a causa della mancanza di documenti e delle scarse competenze. Nel capitolo 4, scritto da Emma S. Chikovore e Pranitha Maharaj, sono riportate le interviste a 20 commercianti informali dello Zimbabwe che vivono in varie parti del Sudafrica e raccontano le loro esperienze. Tutti i partecipanti erano ancora attivi nel commercio informale in Sudafrica, al momento delle interviste. Queste sono state effettuate utilizzando una guida dettagliata e condotte in inglese o in shona. I partecipanti hanno acconsentito per iscritto o verbalmente a essere intervistati e registrati e sono stati reclutati con la tecnica del campionamento “a palle di neve”, poiché si tratta di una popolazione difficile da raggiungere per diversi motivi, tra cui le minacce di xenofobia e violenza, la diffidenza della stessa popolazione oggetto di studio e gli impegni lavorativi dei commercianti informali. Le donne che operano come commercianti informali si sono dimostrate più facili da contattare e più disponibili rispetto ai loro colleghi maschi. Gli zimbabwani poco qualificati che lavorano come operai generici spesso percepiscono salari molto bassi, che rendono difficile l’affitto di un alloggio decente e la copertura delle spese quotidiane. Per evitare di vivere in assoluta povertà, i migranti ricorrono così al commercio informale come strategia di sopravvivenza. Tuttavia, lo fanno in un ambiente in cui non hanno accesso alla maggior parte dei diritti civili e del lavoro e ai benefici sociali, e la situazione è aggravata dalla paura di controlli delle autorità di immigrazione, che possono portare alla detenzione o alla deportazione. Inoltre, le politiche che cercano di promuovere le imprese di proprietà dei neri si applicano principalmente agli abitanti del luogo, per cui i migranti internazionali si trovano ad esserne esclusi.

Le principali difficoltà affrontate dai migranti in Sudafrica includono la mancanza di lavoro, i maltrattamenti da parte degli ex datori di lavoro e l’accoglienza negativa da parte del Paese ospitante. Coloro che sono riusciti a trovare un’occupazione hanno presto scoperto di poter svolgere solo lavori poco remunerativi e, come già detto, i migranti ricorrono spesso al commercio informale come strategia di sopravvivenza a causa della mancanza di accesso alla maggior parte dei diritti civili e del lavoro e ai benefici sociali. Inoltre, la criminalità in Sudafrica è un fenomeno molto presente, che può risultare particolarmente pericoloso per i nuovi immigrati nel Paese. Tutti i partecipanti allo studio hanno, infatti, indicato la criminalità come la loro principale preoccupazione in Sudafrica.

Tuttavia, molti migranti vedono ugualmente il Sudafrica come un Paese che offre opportunità per migliorare le proprie condizioni di vita. Ad esempio, un migrante della Repubblica democratica del Congo ha spiegato di essere emigrato in Sudafrica perché non poteva proseguire gli studi all’università nel proprio Paese e le risorse della sua famiglia erano limitate. Alcuni suoi amici che vivono in Sudafrica gli hanno detto che il Sudafrica offriva maggiori opportunità. Ha lavorato come cameriere per anni e in seguito ha trovato l’opportunità di frequentare l’università e ha conseguito la laurea. Tuttavia, è importante notare che l’accesso a queste opportunità può essere limitato a causa dei vari problemi ricordati in precedenza.

Come prevedibile, nel contesto recente della pandemia da COVID-19 le difficoltà sono aumentate e le opportunità diminuite. La pandemia infatti ha avuto un impatto negativo sul flusso di rimesse e sulle relazioni tra i migranti in Sudafrica e i loro familiari nei Paesi d’origine. Le restrizioni alla mobilità, alle catene di approvvigionamento e alle attività commerciali hanno bloccato gran parte dell’economia, con un impatto particolarmente pesante sui migranti del settore informale. Il sesto capitolo, scritto da Thebeth R. Masunda e Pranitha Maharaj, esplora più nello specifico l’impatto della pandemia da COVID-19 sulle relazioni familiari e sul flusso di rimesse tra i migranti in Sudafrica e i loro familiari nei Paesi d’origine.

Le difficoltà affrontate da tutti durante la pandemia hanno probabilmente avuto effetti anche sul rapporto tra nativi e migranti nell’economia informale, un rapporto in ogni caso complesso. Molti migranti sono arrivati in Sudafrica con la speranza di migliorare la propria vita, ma dalla lettura del volume emergono alcune indicazioni in base alle quali l’atteggiamento nei confronti dei migranti è progressivamente peggiorato nel tempo, anche se non viene fornita una risposta chiara al riguardo. Il capitolo otto, scritto da Tronic Sithole e Pranitha Maharaj, indica comunque che, complessivamente, si può parlare di relazioni di tipo più collaborativo che competitivo, tra i nativi e i migranti che operano nell’economia informale: normalmente lavorano insieme per attrarre i clienti e indirizzano i clienti ad altri commercianti quando sono a corto di scorte.

Sul piano politico, infine, la crescente partecipazione dei migranti internazionali all’economia informale del Sudafrica ha portato a una maggiore attenzione politica da parte del governo, ma il ruolo dei migranti nell’economia in generale e nell’economia informale in particolare ha ricevuto un sostegno politico finora inadeguato. Nel capitolo dieci, scritto da Mamokete Modiba e Thobelani N. Mdluli e che chiude il volume, si segnala l’esistenza di posizioni politiche frammentate sulla partecipazione dei cittadini stranieri all’economia informale, ma si osserva anche che il sentimento dominante è contrario agli immigrati, e spinge a pratiche ostili nei loro confronti, soprattutto in un contesto generale che aumenta le vulnerabilità delle persone, in modo simile a quanto avviene anche in altri continenti.