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In libreria – Urban Youth Unemployment, Marginalization and Politics in MENA

Un volume di Rawan Asali Nuseibeh *

Redazione

La disoccupazione della gioventù urbana, la marginalizzazione e la situazione politica nella regione MENA (Middle East and North Africa) sono l’oggetto del libro di Rawan Asali Nuseibeh, che affronta la tematica della marginalizzazione della gioventù araba lungo linee intersezionali di genere, etnia e classe sociale in quattro contesti diversi: Egitto, Giordania, Tunisia e Palestina.

In particolare nel terzo capitolo, intitolato “L’economia politica dell’esclusione giovanile”, viene esplorata la problematica dell’esclusione dei giovani dal mercato del lavoro, dimostrando – lontano dai vecchi approcci orientalisti che collegano la cultura araba o la religione islamica all’autoritarismo – come il sistema capitalista globale “alimenta e perpetua le diseguaglianze e le oppressioni nella Regione”.

I quattro contesti esaminati sono caratterizzati da tendenze simili nei rispettivi mercati di lavoro: un settore pubblico che offre condizioni lavorative desiderabili ma che va sempre più restringendosi e trasformandosi in uno strumento di contrattazione e concede opportunità solo ai gruppi politici più rilevanti. Il settore privato invece risulta incapace di consolidarsi come settore alternativo in quanto anch’esso segnato dalla corruzione e caratterizzato da contratti di lavoro limitativi, con una legislazione carente che concede enormi vantaggi alle grandi imprese a spese dei lavoratori.

Il risultato di questa situazione è la crescita del settore privato informale, con condizioni lavorative precarie, retribuzione bassissime, precariato diffuso e l’impossibilità per i ceti più poveri di assicurarsi un lavoro formale e stabile. Per contro, in questi quattro contesti i giovani che cercano disperatamente un’occupazione sembrano più istruiti e più aperti al mondo, rispetto alle generazioni precedenti. Hanno quindi aspettative più alte, ma si trovano di fronte alle scarse opportunità offerte dal mercato del lavoro e posseggono qualifiche che non permettono loro di competere a livello globale. Questo “significa che non riusciranno a diventare indipendenti e rimarranno subordinati alle strutture di parentela dove anziani e maschi detengono il potere, soprattutto sulle ragazze”.

Sono quattro i fattori principali che l’autrice analizza, e che contribuiscono alla marginalizzazione dei giovani dal mercato del lavoro: 1) le politiche neoliberiste e i regimi oppressivi; 2) la precarietà e il lavoro informale; 3) la discriminazione di genere e le molestie sessuali; 4) la corruzione e il nepotismo.

Per quanto riguarda il primo elemento, l’adozione di politiche di privatizzazione e di promozione del libero mercato (come deregolamentazione e liberalizzazione), in tutti i quattro gli ambiti analizzati non ha comportato un aumento dei posti di lavoro o migliori condizioni lavorative per i giovani, bensì ha contribuito all’aumento del lavoro informale e alla precarietà, facendo sì che solo una piccola porzione della popolazione, spesso grazie a legami col potere politico, beneficiasse delle politiche di laissez-faire.

In altre regioni del mondo, l’istruzione e una formazione di livello superiore sembrano essere una garanzia contro la disoccupazione. Non è così in questi quattro contesti, dove più si è istruiti più si rischia di rimanere senza occupazione. I giovani arabi infatti si misurano con un mercato del lavoro per lo più informale e con posti di lavoro precari e retribuzioni basse che non possono soddisfare né le loro qualifiche né le loro aspirazioni future, rimanendo in questo modo poveri e dipendenti dagli altri. Vengono così spinti fino ai margini della società, dove il desiderio di emigrare diventa sempre più impellente.

Le donne sono la categoria di lavoratori che risente di più degli effetti negativi di queste politiche, in particolare dei tagli del settore pubblico, che rappresentava il principale datore di lavoro per le donne arabe istruite. Risentono inoltre di un’assistenza all’infanzia pressoché inesistente, di una legislazione che non le protegge e di una domanda limitata di forza lavoro femminile che vada oltre ai costrutti sociali e culturali e alle norme di genere esistenti. Tutto ciò concorre a limitare enormemente la loro partecipazione nel mondo del lavoro. A questo si aggiunge la piaga sociale della molestia sessuale, sia nella sfera pubblica che nei luoghi di lavoro, diffusa in tutti e quattro i contesti e poco criminalizzata, che tende a funzionare come ulteriore deterrente per l’occupazione femminile.

Infine, non meno importante, il nepotismo e la corruzione rappresentano un ostacolo insormontabile per i giovani che cercano un’occupazione. Secondo i dati dell’Indice della Percezione della Corruzione (2021), sia il sistema politico che quello economico dei Paesi in esame risultano tra i più corrotti al mondo. Inoltre, la maggior parte dei giovani è convinta che se si è privi di reti relazionali ampie e delle “giuste” conoscenze è quasi impossibile riuscire a trovare un’occupazione a condizioni dignitose. L’approccio alla disoccupazione giovanile in questi Paesi si focalizza solo sul formare i giovani e sviluppare le loro competenze, ma non prende in considerazione i problemi strutturali del sistema politico ed economico, e rischia quindi di avere una visione distorta del problema e perseguire soluzioni che possono addirittura rivelarsi controproducenti e dannose per i giovani.

La situazione è ancora più critica nei territori occupati della Palestina, dove il capitalismo neoliberista e la colonizzazione di insediamento, i problemi strutturali del sistema politico ed economico, il razzismo, la discriminazione e le restrizioni sulle libertà individuali stanno avendo effetti negativi drammatici sulle vite delle persone, riducendo enormemente le loro possibilità di sbocco professionale o di inserimento stabile nel mercato del lavoro.

Tutti questi fattori, sommati insieme, fanno sorgere un forte desiderio da parte dei giovani di lasciare il Paese e cercare prospettive altrove. In questo modo però giovani talentuosi e con un alto livello d’istruzione “contribuiscono alla riproduzione delle condizioni socio-economiche e dei sistemi corrotti nei loro Paesi, scegliendo di andarsene piuttosto che esprimersi contro [questa situazione]”.  A questo problema si aggiunge la tendenza, da parte dei maggiori Paesi di destinazione della migrazione giovanile araba, di porre sempre maggiori barriere alla migrazione dei giovani, ponendoli tra due fuochi: “la situazione economica e politica nei loro Paesi li spinge a voler emigrare e perseguire opportunità all’estero; nel frattempo, le destinazioni tradizionali di questa emigrazione (Paesi europei e del Golfo) stanno limitando il loro accessospingendoli fuori e la gioventù araba diventa così quella categoria che De Bel Air definisce comegiovani bloccati”.