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In libreria – New Media Discourses, Culture and Politics after the Arab Spring : Case Studies from Egypt and Beyond

Capitolo "E-sheikhs: How online Islamic discourse can reproduce authoritarian power structures" di Dina Abdel-Mageed* e Grant Bollmer**

Redazione

Il volume esplora le interazioni tra i media, la politica, la religione e la cultura nella ricerca araba di nuovi modelli di governo più stabili e democratici, in seguito alle rivoluzioni arabe. Nel quinto capitolo (E-sheikhs: How online Islamic discourse can reproduce authoritarian power structures) Dina Abdel-Mageed  e Grant Bollmer analizzano il panorama mediatico arabo all’indomani delle primavere arabe, che è stato caratterizzato dalla contrapposizione tra due forze principali: gli islamisti da una parte e i regimi laici dall’altra.

Per la maggior parte della loro storia, affermano gli autori, i regimi laici sono stati in guerra contro i movimenti islamisti. Tuttavia, con lo scoppio delle rivoluzioni, questo conflitto ha assunto un significato diverso, consumandosi anche nel mondo virtuale oltre a quello reale.

E è proprio in questo mondo virtuale che si consuma una animata polemica tra i due fronti, portata avanti da un gruppo prominente di Sheikh (titolo che viene attribuito anche ad una persona con una elevata preparazione e conoscenza delle scienze islamiche, tale da conferirle un determinato status sociale e ruolo di guida) che si sono schierati a favore di una parte o dell’altra.

I due autori esaminano i post di questi predicatori islamici sunniti, ben noti nelle società arabe, pubblicati nel periodo che va dal 2013 al 2016, per commentare gli avvenimenti politici nella regione. Particolare attenzione è dedicata agli sviluppi politici in Egitto, data la sua posizione di leadership culturale a livello regionale. Si tratta di un numero limitato di post, che sono però rappresentativi di un discorso islamico caratteristico di questi anni, che riproduce posizioni politiche e religiose dominanti contribuendo a una polarizzazione del dibattito politico, oltre che alla manipolazione della religione per fini politici. L’approccio adottato è quello qualitativo applicato all’analisi critica del discorso, che permette di prendere in considerazione altre dimensioni del discorso oltre a quella comunicativa, come la società, la storia e le relazioni di potere.

L’elemento che accomuna i vari post è che, nonostante il loro fraseggio religioso, hanno tutti una sfumatura politica pertinente alla situazione politica che si sta attraversando. Inoltre, a differenza del sermone offline, i discorsi degli Sheikh online sono caratterizzati da sintesi, semplicità e da un uso di strumenti di retorica limitato. A questo si aggiunge l’uso di un linguaggio formale, attraverso l’impiego dell’arabo classico invece che della lingua parlata, e la poca interazione con il pubblico, implicando così autorità e posizionando gli oratori e il pubblico in ruoli e relazioni ben definite.

Alcuni Sheikh, come lo yemenita Ali Al-Jifri, discreditano la partecipazione degli islamisti nell’arena politica dipingendola come avidità, sete di potere e addirittura cospirazione contro lo stesso Islam. Questo messaggio viene trasmesso attraverso l’uso di vari espedienti, come la condivisione di discorsi di altri Sheikh prestigiosi, che si riferiscono a contesti politici e storici differenti ma che vengono usati per alludere alla situazione politica contemporanea e per avanzare una determinata tesi politica.

Indubbiamente, questo tipo di discorsi giocano a favore dell’ordine politico installatosi dopo il fallimento della primavera araba, in quanto scoraggiano la partecipazione e l’opposizione politica e offrono una legittimazione religiosa alla lotta contro l’Islam politico.

Sull’altro versante, Tariq Swaidan – acceso sostenitori dell’Islam Politico e dei Fratelli Musulmani – attacca i sostenitori del colpo di Stato attuato dall’esercito egiziano contro il presidente democraticamente eletto Mohammed Morsi, attingendo a narrazioni religiose e storiche.

Secondo gli autori, entrambi i discorsi rendono difficile una diversità delle opinioni, in quanto, “quando le posizioni politiche derivano da ciò che Ferjani chiama ‘conoscenza assoluta’, c’è poco spazio per gli argomenti razionali, un prerequisito per l’esistenza di una sfera pubblica funzionante”.

Infine, il terzo tema che emerge dall’analisi di Abdel-Mageed e Grant Bollmer è la manipolazione delle rivendicazioni settarie da parte di altri Sheikh.  La molteplicità di tensioni e rivalità che caratterizza la regione araba non vengono  analizzate in termini geopolitici di lotta per la dominazione tra le varie potenze regionali e internazionali, ma come un conflitto tra arabo/iraniano, e sunnita/sciita.

In breve, il capitolo illustra come i discorsi degli Sheikh sulle piattaforme online, indipendentemente dalla posizione difesa, riproducano le relazioni di potere già esistenti offline, attraverso discorsi carichi di elementi religiosi che hanno un effetto persuasivo ed emotivo sul pubblico, al fine di legittimare una certa posizione politica. Preoccupa di più il fatto che la realtà nei discorsi di questi Sheikh è concepita in termini dicotomici (bene vs male, verità vs falsità), discreditando in questa maniera la complessità o l’esistenza di opinioni contrarie, a priori. Tutti questi fattori diminuiscono il potenziale dei nuovi media come una sfera pubblica libera, dove è sia possibile avanzare discorsi contro-egemonici e una riflessione critica sulla religione.