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Verso una nuova missione di pace del Brasile ad Haiti?

Litre Gabriela

Un incubo assoluto. Così il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha descritto l’attuale situazione della popolazione haitiana. Guterres si è espresso su una questione che una parte della comunità internazionale ha già discusso: l’invio di un contingente armato internazionale nella nazione caraibica.

Il promettente esordio di Haiti come nazione non si è mai concretizzato. Primo Stato indipendente dell’America Latina, nonché prima repubblica nera al mondo e primo Paese dell’emisfero occidentale ad abolire la schiavitù, è ora il Paese più povero delle Americhe, con 4,7 milioni di haitiani – quasi metà della popolazione –  che patiscono la fame estrema.

La situazione del popolo haitiano è letteralmente disperata. L’ultima ondata di violenza che attanaglia il Paese è segnata dalla brutalità delle bande che si contendono il controllo della capitale, Port-au-Prince. Interi quartieri sono stati bruciati, migliaia di famiglie sono rimaste senza tetto e altre si sono rinchiuse in casa per paura di uscire, anche solo in cerca di cibo e acqua, a causa dei rapimenti e degli stupri di gruppo di donne e ragazze.

In pratica, lo Stato non esercita alcun potere. Tra i leader dei gruppi armati si contano politici e membri delle forze di polizia. Ad Haiti non si tengono elezioni presidenziali o legislative da sei anni. Dall’assassinio del presidente Jovenel Moïse, nel luglio 2021, non c’è un capo di Stato. È toccato al primo ministro Ariel Henry, di dubbia legittimità, chiedere aiuto alle Nazioni Unite.

Di fronte a questo scenario di violenze e assenza di potere pubblico, la rappresentante degli Stati Uniti presso l’Onu, Linda Thomas-Greenfield, ha affermato che il suo Paese, insieme al Messico, cercherà il sostegno delle Nazioni Unite per una missione di sicurezza volta a  ripristinare l’ordine nel Paese.

La risoluzione non è ancora stata presentata, in parte perché nessun Paese ha voluto assumere un ruolo guida nel processo. Il governo di Joe Biden vorrebbe vedere il Brasile alla guida di questa nuova missione, così come avvenuto tra il 2004 e il 2017, periodo durante il quale le truppe brasiliane sono state a capo della Missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti (MINUSTAH).

Gli Stati Uniti hanno inviato chiari segnali in tal senso al presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, entrato in carica il 1° gennaio 2023. Poco meno di un mese prima, il 5 dicembre 2022, durante il periodo di transizione del governo, Lula e il Consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan hanno discusso della situazione di Haiti e della proposta statunitense di una missione internazionale nel Paese.

All’incontro hanno partecipato anche Juan González, Direttore senior per gli Affari dell’emisfero occidentale del Consiglio per la sicurezza nazionale, e Ricardo Zúñiga, Sottosegretario per gli Affari dell’emisfero occidentale del Consiglio per la sicurezza nazionale.

Le contraddizioni del Brasile

Il Brasile ha una lunga tradizione nel campo delle forze di mantenimento della pace. Ma oggi, il gigante del Sud è impantanato in un mare di contraddizioni: come possiamo parlare di preservare la pace e la sicurezza all’estero, quando è immerso nei disordini e nella polarizzazione interna? La situazione politica ed economica del Brasile oggi è molto diversa da quella del 2004. All’epoca Lula era ancora un presidente all’inizio del suo mandato che voleva fare del Brasile un attore importante sulla scena mondiale. Guidare una missione di mantenimento della pace ad Haiti si adattava perfettamente agli interessi geopolitici del Brasile di allora.

Ma dopo aver lasciato la presidenza nel 2010, Lula ha subito diverse accuse di corruzione, ed è stato condannato e imprigionato per 580 giorni. Successivamente è stato assolto e rilasciato, ha riunito un ampio fronte di partiti nel 2022 e ha sconfitto il presidente Jair Bolsonaro, riuscendo a farsi eleggere per un terzo mandato dopo una disputa che ha sbalordito il mondo.

Lula ha assunto il nuovo mandato tra le contestazioni di ampi settori delle Forze Armate, che hanno mantenuto un rapporto molto stretto con Bolsonaro, dal quale hanno tratto benefici economici, come l’eliminazione della riforma delle pensioni e l’occupazione di seimila posizioni nell’amministrazione federale.

Una delle maggiori cause di attrito tra le Forze Armate e il Partito dei lavoratori (PT) è la creazione della Commissione nazionale per la verità, che ha operato tra il 2011 e il 2014, durante il governo di Dilma Rousseff, per indagare sui crimini commessi dai militari durante la dittatura (1964-1985).

A differenza della vicina Argentina, che ha duramente punito i militari, condannando persino l’ex dittatore Jorge Videla all’ergastolo, il Brasile non ha condannato nessuno e nel processo di transizione alla democrazia ha decretato un’amnistia che è stata applicata tanto ai membri delle organizzazioni di sinistra che avevano partecipato alla lotta armata contro la dittatura, quanto ai militari.

Nel suo rapporto finale, la Commissione nazionale per la verità ha identificato 434 casi di morti e sparizioni di persone per diretta responsabilità dello Stato brasiliano durante la dittatura, con il coinvolgimento di 377 agenti pubblici. La Commissione ha raccomandato la condanna dei colpevoli, nonché il riconoscimento da parte delle Forze Armate della loro responsabilità istituzionale per le gravi violazioni dei diritti umani verificatesi durante la dittatura militare.

I militari non hanno mai accettato quell’iniziativa e hanno trovato in Bolsonaro, un ex capitano dell’esercito eletto deputato per aver sostenuto la tortura e difeso il regime militare, la speranza di tornare al potere attraverso le urne.

Una volta al potere, i militari hanno sostenuto le iniziative antidemocratiche di Bolsonaro, compresa una verifica delle urne elettroniche, ipotizzando che fossero state truccate per eleggere Lula. Dal 1996, le elezioni in Brasile sono state condotte con urne elettroniche, che non sono mai state oggetto di sospetti, ad eccezione di Bolsonaro e dei suoi sostenitori.

Nel Partito dei lavoratori c’è il timore che una nuova missione brasiliana ad Haiti possa portare a un rafforzamento del ruolo politico dell’esercito. La sfiducia e la tensione tra Lula e le forze armate sono ulteriormente aumentate a seguito delle invasioni e le depredazioni degli edifici della Presidenza, del Congresso Nazionale e della Corte Suprema, avvenute l’8 gennaio.

Nell’episodio, divenuto noto in tutto il mondo come la “Capitol Hill” brasiliana, con riferimento al simile attacco avvenuto due anni fa negli Stati Uniti, ci sono forti indizi di mancanze da parte delle forze di sicurezza e dei militari.

Durante l’invasione, è stato suggerito a Lula di decretare lo stato di Garanzia dell’ordine pubblico (GLO), operazione prevista dalla Costituzione Federale, effettuabile esclusivamente su ordine del Presidente della Repubblica per autorizzare l’uso delle Forze Armate.

Lula ha rifiutato perché, come dice apertamente, non si fida dei militari. Nelle sue dichiarazioni alla stampa alcuni giorni dopo l’invasione, ha detto di essere convinto che la polizia e l’esercito abbiano permesso ai golpisti di invadere il quartier generale del ramo esecutivo.

Tuttavia, quasi allo stesso tempo e nella prima settimana di gennaio 2023, le Nazioni Unite hanno nominato un generale brasiliano al comando di una delle più grandi missioni di mantenimento della pace al mondo, la Missione Onu di stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo, MONUSCO. L’annuncio è stato fatto mercoledì 4 gennaio a New York dal portavoce di António Guterres. Il generale Otávio Rodrigues de Miranda Filho sostituirà un altro ufficiale brasiliano, il generale Marcos de Sá Affonso da Costa, che terminerà il suo mandato il 28 febbraio.

Il primo comandante brasiliano della MONUSCO fu il generale Carlos Alberto dos Santos Cruz, che guidò anche le truppe delle Nazioni Unite ad Haiti durante la ormai terminata MINUSTAH. Quelle di Haiti e della Repubblica Democratica del Congo sono oggi due delle missioni di mantenimento della pace più pericolose al mondo, e in esse il Brasile ha sempre svolto un ruolo di primo piano.

Il Brasile occupa uno dei seggi a rotazione nel Consiglio di sicurezza dall’inizio di quest’anno e vi rimarrà con diritto di voto fino alla fine del 2023. Secondo l’ambasciatore brasiliano alle Nazioni Unite, Ronaldo Costa Filho, il governo brasiliano è in attesa della presentazione di un testo per la valutazione da parte degli altri membri del Consiglio di sicurezza.

Ma oltre alla questione del primario ruolo militare e dei negoziati diplomatici, pesa – e non poco – la questione economica. La priorità del nuovo governo è investire nelle politiche sociali. Una missione ad Haiti richiederebbe molte risorse che l’amministrazione del Partito dei lavoratori, appena insediatasi, non sarebbe disposta a spendere. Dal 2004 al 2017, le truppe ad Haiti sono costate alle casse pubbliche brasiliane 2,6 miliardi di reais, equivalenti oggi a circa 500 milioni di euro.

Uno Stato in bancarotta

L’espressione “Stato in bancarotta” (Estado falido, in portoghese) ha acquisito notorietà nel 1992, a seguito di un articolo pubblicato dai diplomatici americani Gerald Helman e Steven Ratner, secondo i quali si definirebbero “in bancarotta” i Paesi membri della comunità internazionale incapaci di sostenersi autonomamente.

Nell’Indice degli Stati in bancarotta, compilato dal Fondo per la pace in collaborazione con la rivista Foreign Policy, Haiti occupa attualmente l’undicesimo posto. Sebbene l’Indice, così come il termine Stato in bancarotta, sia stato criticato perché basato su un modello occidentale di Stato ispirato a una visione liberale, la verità è che Haiti è considerato tale dalla comunità internazionale. E sulla base di questa valutazione, si è determinato il destino di Haiti.

Nel 1990, Haiti è diventato uno dei principali laboratori di aiuti internazionali allo sviluppo, che ha coinvolto una molteplicità di attori esterni e di interessi nell’attuazione dei servizi pubblici di base, nella ristrutturazione dell’ordine economico e nel sostegno allo svolgimento delle elezioni.

Le crisi economiche, sociali e politiche associate ai disastri naturali hanno reso Haiti teatro di diverse missioni umanitarie. Durante queste missioni, si è creato un ambiente favorevole all’utilizzo di risorse finanziarie e umane provenienti dall’estero per la ricostruzione del paese, con conseguente miglioramento degli indici di sviluppo economico. Tuttavia, questi aiuti sono riusciti a malapena a generare benefici duraturi per il Paese.

Per Tariq Ali, il concetto di intervento umanitario si è trasformato in un’ideologia che nasconde gli interessi economici e politici delle potenze occidentali. Secondo Pierre Buteau, quello dell’aiuto umanitario è diventato un settore in cui migliaia di specialisti sono formati e operano in strutture e reti che si attivano a ogni nuova catastrofe.

E allora sorge la domanda: è necessaria una nuova missione ad Haiti? Dal punto di vista umanitario, sì, perché il Paese è incapace di garantire condizioni minime di sicurezza e accesso al cibo ai suoi abitanti. La domanda successiva è: riuscirà una nuova missione a raggiungere i risultati sperati?

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Foto Credits: Jesus Serrano Redondo, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons