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In libreria – The Palgrave Handbook of Small Arms and Conflicts in Africa

Un volume a cura di Usman A. Tar* e Charles P. Onwurah**

Redazione

Secondo i dati pubblicati dallo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), nel 2021 la spesa militare mondiale ha superato per la prima volta la soglia dei duemila miliardi di dollari, raggiungendo i 2.113 miliardi. La spesa globale nel 2021 è stata dello 0,7% superiore a quella del 2020 e del 12% superiore a quella del 2012. In questo settore, gli effetti economici negativi della pandemia da Covid-19 non hanno posto fine alla continua tendenza al rialzo della spesa militare mondiale registrata a partire dal 2015. Con la ripresa economica avvenuta in tutto il mondo nel 2021, la spesa militare mondiale come quota del prodotto interno lordo mondiale è stata pari al 2,2%, mentre la spesa militare media come quota della spesa pubblica nel 2021 è rimasta invariata rispetto al 2020, e pari al 5,9%.

La spesa militare si collega a un altro dato, che è quello relativo al volume dei trasferimenti internazionali di armi, ovvero il commercio di armi. Sempre il SIPRI chiarisce che è possibile abbozzare solo una grossolana stima per difetto del valore finanziario del commercio mondiale di armi, che era pari nel 2019 ad almeno 118 miliardi di dollari. I cinque maggiori esportatori di armi nel periodo 2017-21 sono Stati Uniti, Russia, Francia, Cina e Germania. I cinque maggiori importatori sono stati invece India, Arabia Saudita, Egitto, Australia e Cina.

Anche in relazione a tutto questo, la disponibilità, il commercio illecito e l’accumulo eccessivo di armi leggere e di piccolo calibro rappresentano una minaccia grave e incombente, a livello mondiale.

La definizione adottata dalle Nazioni Unite identifica la categoria che si compone, appunto, sia di armi di piccolo calibro che di armi leggere (Small and Light Weapons, SLW). Le armi di piccolo calibro sono pistole, carabine, fucili, e mitragliatrici leggere (tutte azionabili da una sola persona). Le armi cosiddette leggere, invece, sono le mitragliatrici pesanti, i lanciagranate, i missili portatili per carri armati e difesa aerea, i cannoni antiaerei portatili, i lanciarazzi portatili e i mortai. Possono essere portate da due persone o da una squadra, trasportati in un piccolo veicolo o su un animale da soma e devono essere utilizzate da una squadra.

La tecnologia in questo campo non si è mai arrestata e le armi automatiche, cioè in grado di sparare raffiche di munizioni, sono diventate più leggere (permettendo, ad esempio, anche ai bambini di usarle) e più economiche da produrre. Da qualche parte nel mondo, queste armi uccidono una persona ogni due minuti, sia in Stati afflitti da conflitti interni (dove la maggior parte delle vittime tende a essere tra la popolazione civile) sia a causa di omicidi legati alla criminalità, alla droga, a suicidi e incidenti con armi da fuoco.

L’incontrollata proliferazione di questo tipo di armi, anche a causa di contrabbando, furto, produzione illecita, perdite dalle scorte militari e di polizia (cioè tutte le fattispecie che compongono il commercio illecito) le ha spesso rese l’arma principale, se non l’unica, dei conflitti più recenti. Per questo motivo già molti anni fa – nel 2006 – l’allora Segretario Generale dell’ONU, Kofi Annan, le definì “armi di distruzione di massa”.

Il mercato mondiale delle armi di piccolo calibro e leggere continua a crescere e, secondo stime molto prudenti della Business Research Company (The Small Arms And Light Weapon market global report 2022), ha raggiunto 11,57 miliardi di dollari nel 2022, con un tasso di crescita annuale del 5%. L’aumento della spesa per la difesa dovrebbe alimentare ancor più la crescita del mercato delle armi di piccolo calibro e leggere, nei prossimi anni. Quasi tutti i Paesi del mondo stanno infatti investendo nella difesa a causa di conflitti e rivalità con altre nazioni, e la guerra tra Russia e Ucraina alimenta scenari foschi, ed in particolare questa dinamica al rialzo.

Armi fabbricate secondo specifiche militari per essere utilizzate come letali strumenti di guerra finiscono spesso, attraverso la produzione e il commercio illeciti, in possesso di organizzazioni criminali, trafficanti di droga, signori della guerra e altri malviventi. La proliferazione e la facile disponibilità di armi di piccolo calibro e leggere illegali ha conseguenze umanitarie disastrose. Si pensi soltanto, per esempio, alle migliaia di bambini reclutati e utilizzati nei conflitti armati in tutto il mondo: secondo i dati riportati da UNICEF, tra il 2005 e il 2020 è stato accertato che più di 93.000 bambini sono stati reclutati e utilizzati dalle parti in conflitto, anche se si ritiene che il numero effettivo di casi sia molto più alto. Inoltre, milioni di persone sono state sfollate a causa di conflitti alimentati dall’impiego di queste armi.

Una voluminosa collettanea di saggi scritti da circa settanta autori africani, quasi tutti nigeriani ma con la presenza anche di studiosi di Mali, Sudafrica, Uganda e Zimbabwe, raccoglie, in oltre mille pagine, il frutto di recenti studi che si focalizzano sulla proliferazione delle armi di piccolo calibro e leggere che alimenta l’escalation di conflitti e l’instabilità in tutta l’Africa.

È indubbio che ogni continente e ogni Paese del mondo si trova ad affrontare la sfida costituita dalle armi di piccolo calibro e leggere. Tuttavia l’Africa presenta condizioni particolarmente critiche, per la sua realtà composta da molti Stati deboli istituzionalmente, e anche da comunità altamente divise, soprattutto nelle aree rurali e nelle frange urbane, senza voce istituzionale e marginalizzate, che possono diventare polveriere di violenza e distruzione. Su queste il potere costituito, attraverso le forze di polizia e i militari, può esercitare la violenza in forma preventiva o punitiva, come insegna la tragica e ben nota realtà delle favelas di Rio de Janeiro, in Brasile, dove le violente operazioni della polizia brasiliana sono accusate da anni di assumere forme razziste e classiste e hanno fatto registrare 628 omicidi solo nella prima metà del 2022.

Questo tipo di miscela potenzialmente esplosiva è frutto della combinazione di una crisi di malessere diffusa tra la popolazione, problemi di sicurezza, contestazioni del potere e della legittimità statale da un lato, e dall’altro dal rischio di escalation in termini di uso sistematico della violenza da parte di agenti di sicurezza e forze di polizia, come strumento per reprimere il dissenso e rafforzare regimi autoritari. Tale genere di rischio è stato denunciato, ad esempio, in numerosi Paesi dell’Africa dall’organizzazione Human Rights Watch, in concomitanza con l’applicazione di misure di confinamento e chiusura (lockdown) per prevenire la diffusione della pandemia da COVID-19.

Come scrive nel capitolo introduttivo il curatore del volume Usman A. Tar, (Professore di Scienze Politiche e Studi sulla Difesa e direttore del Centro per gli Studi e la Documentazione sulla Difesa dell’Accademia della Difesa Nigeriana) le armi di piccolo calibro sono economiche, pratiche, accessibili e portatili e molti Stati africani – non solo quelli deboli e al collasso ma anche quelli relativamente stabili – registrano un uso crescente di questo genere di armi.

La dimensione del “manuale”, ovviamente, è ambiziosa e al contempo rende di non facile “digeribilità” i tanti temi e le numerose prospettive proposte. Inevitabilmente, il risultato finale presenta anche alcune sovrapposizioni e risente della distorsione relativa alla nazionalità degli autori (circa 60 sono nigeriani), di quelle di genere (netta prevalenza maschile) e di profilo professionale (oltre agli accademici, sono numerosi gli operatori che lavorano nel settore militare e della sicurezza). La distorsione della nazionalità prevalente si traduce in un accento marcato sulla dimensione degli Stati nazionali (a partire dal caso della Nigeria) e in un’attenzione invece minore rivolta alla dimensione regionale e continentale del fenomeno e delle correlate organizzazioni, che peraltro si concentra sull’Africa occidentale (con alcuni richiami alla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale). La presenza limitata di autrici si traduce in una chiave episodica e settoriale collegata a temi potenzialmente trasversali di genere (c’è il capitolo 5 dedicato a “(En)Gendering the Small Arms Discourse: Women and the Management of Violent Conflicts in Africa”). La presenza di una quota significativa di studiosi legati al settore militare e alla sicurezza tende a far emergere la dimensione securitaria in molti contributi e meno quella della prevaricazione e repressione da parte delle forze di polizia e militari.

Tuttavia, nonostante questi caveat, il “manuale” della Palgrave è un volume aggiornato, ricco e utile per chi desideri approfondire temi complessi e dinamici su cui mancava una sistematizzazione come quella proposta.

L’indice del volume dà una misura della sua ricca articolazione. Dopo un’introduzione del curatore su “Le frontiere della proliferazione delle armi di piccolo calibro e dei conflitti in Africa”, la parte I del manuale tratta di “teorie e concetti” (capitoli da 2 a 5). Questa parte comprende un capitolo di base sui conflitti e le emergenze complesse, riflessioni su diversi possibili approcci teorici alla proliferazione e alla regolamentazione delle armi leggere, un capitolo sull’economia politica delle armi leggere e un altro sulle questioni di genere e la gestione dei conflitti violenti in Africa.

La parte II del manuale tratta di “topografie e contesti” (capitoli da 6 a 20). Qui sono approfondite varie topografie tra cui, a titolo di esempio, le terre di confine, aree urbane, foreste, la cosiddetta “maledizione delle risorse” e le guerre delle risorse, il sottosviluppo, le emergenze complesse.

La Parte III esamina i “quadri e le dinamiche istituzionali” (capitoli 21-31). I capitoli si articolano intorno a nozioni come monopolio delle armi, legislazione e costruzione delle istituzioni, controllo delle armi da fuoco, società civile, istituzioni tradizionali, il traffico di armi, la realtà delle compagnie di sicurezza private.

La parte IV del manuale è dedicata alle “esperienze nazionali” (capitoli da 32 a 42) con studi di casi su Nigeria, ma anche Egitto, Etiopia, Libia, Mali, Niger, Repubblica Centrafricana, Sierra Leone, Somalia, Sudafrica e Uganda.

Infine, la parte V approfondisce le “prospettive regionali” (capitoli da 43 a 46), focalizzandosi sull’Africa occidentale, il bacino del Lago Ciad, la regione del fiume Mano (le cui sorgenti si trovano in Liberia e il cui corso segna il confine tra Liberia e Sierra Leone) e l’Africa australe.