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Il calvario delle donne venezuelane migranti

Battistessa Diego

Con il 96% delle famiglie in povertà e il 79% in povertà estrema, il disastro venezuelano non è neutrale rispetto al genere: le donne caricano sulle loro spalle il peso della sopravvivenza per loro e per le loro famiglie. Con queste parole iniziava un articolo di Betilde Muñoz-Pogossian (Direttrice del Dipartimento per l’inclusione sociale della Segreteria per l’accesso ai diritti e all’equità dell’OAS), scritto nel marzo 2021. Un articolo dal titolo eloquente “La crisi dei migranti venezuelani è fatta di donne disperate”, che ben descrive le conseguenze che l’esodo venezuelano (contabilizzato dall’OIM e dall’UNHCR al 5 maggio 2022 in 6.133.473 di persone) sta avendo sulle donne venezuelane migranti.

Per capire da quale situazione fuggono le donne venezuelane è importante fare riferimento in primis al Rapporto sulla situazione dei diritti umani in Venezuela, documento redatto da Michelle Bachelet (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani) secondo una prospettiva di genere e pubblicato il 4 luglio 2019, in cui si spiegano molto bene le ragioni della femminilizzazione del fenomeno migratorio venezuelano. Bachelet sottolineava che “per almeno un decennio, il governo, così come le istituzioni controllate dal governo, hanno applicato leggi e politiche che hanno accelerato l’erosione dello stato di diritto e lo smantellamento delle istituzioni democratiche, inclusa l’Assemblea nazionale. Queste misure mirano a neutralizzare, reprimere e criminalizzare gli oppositori politici e i critici del governo” (pag. 7). Inoltre, riferendosi alla crisi alimentare, la stessa Bachelet denunciava che “le persone intervistate hanno fatto costantemente riferimento all’ impossibilità di accesso agli alimenti, sia per la scarsità degli stessi che per i prezzi inaccessibili. La disponibilità di cibo di qualità è scarsa, e gli intervistati affermano di mangiare una o al massimo due volte al giorno e di consumare poche proteine ​​o vitamine. L’impossibilità di accesso agli alimenti ha un impatto particolarmente negativo sulle donne, che sono le principali caregiver e/o capofamiglia, e sono costrette a trascorrere in media dieci ore al giorno in coda per acquistare degli alimenti. Fonti locali hanno riferito di alcuni casi di donne costrette a barattare cibo per prestazioni sessuali” (pag. 3). Le diciotto pagine del rapporto parlavano inoltre di arresti arbitrari, delle torture e dei trattamenti degradanti cui sono sottoposti i prigionieri politici, dell’uso eccessivo della forza da parte degli organi di sicurezza, dell’impunità e del mancato accesso effettivo alla giustizia, della carenza di personale medico e attrezzature, nonché della mancanza di elettricità per il funzionamento delle strutture mediche. E questo succedeva prima della pandemia da Covid-19.

A quanto descritto da Bachelet è necessario aggiungere quanto evidenziava, sempre nel 2019, il rapporto “Donne al limite 2019: i diritti delle donne di fronte all’aggravarsi dell’emergenza umanitaria in Venezuela”, realizzato dalle organizzazioni della società civile venezuelana Mujeres en Línea, Asociación Venezolana para una Educación Sexual Alternativa (AVESA), Centro de Justicia y Paz (CEPAZ) e il Centro Hispanoamericano de la Mujer FREYA, riunite dal 2016 nella coalizione nazionale “Equivalenze in azione”. Un report che chiariva numerosi aspetti e le sfide affrontate dalle donne venezuelane nel Paese sudamericano: tra queste alcune delle ragioni per cui molte sono costrette a migrare.

Nel documento si leggeva che:
“…la combinazione tra l’assenza di politiche pubbliche efficaci sulla salute sessuale e riproduttiva, il collasso del sistema sanitario pubblico e la carenza di metodi contraccettivi ha generato una grave battuta d’arresto nel godimento dei diritti della salute sessuale e riproduttiva delle donne venezuelane, generando un impatto allarmante sull’aumento della mortalità materna, delle gravidanze adolescenziali, delle infezioni sessualmente trasmissibili e degli aborti non sicuri associati a gravidanze indesiderate.” (pag. 15)

Stabilito che la migrazione venezuelana ha un alto grado di femminilizzazione (intorno al 50% del totale) è necessario specificare che dei 6.133.473 di persone contabilizzate dall’ONU, ben 5.083.998 hanno migrato verso altri Paesi della regione latinoamericana. Tra questi, i tre Paesi con maggiore presenza di migranti venezuelani sono Colombia, Perù ed Ecuador, che secondo le stime dell’ONU accolgono rispettivamente 1,8 milioni, 1,3 milioni e poco più di 500 mila persone con cittadinanza venezuelana.

Sulla Colombia molto è stato scritto e io stesso ho condotto un dettagliato lavoro di ricerca sul campo che mi ha portato a realizzare nel settembre 2019 un progetto dal titolo “Mappa dei casi di morte e sparizione di donne venezuelane migranti e rifugiate all’estero”: strumento interattivo che geo referenzia ad oggi circa 500 casi tra morte e sparizioni forzate di donne venezuelane nel mondo (maggiormente concentrate in Colombia e dal 2017 in avanti). Si tratta di una mappa interattiva che conta oramai più di 300 mila visualizzazioni e che è usata come strumento di supporto da diverse agenzie ONU e da numerose ONG e università. A questo progetto ha fatto seguito la pubblicazione del volume in spagnolo “Violenza contro le donne migranti venezuelane in Colombia, 2017-2019: situazione attuale, georeferenziazione e analisi del fenomeno” che ha permesso di sottolineare aspetti inquietanti come:

  • In media, tra il 2017 e il 2019, in Colombia è stata vittima di femminicidio una donna venezuelana ogni 11,5 giorni;
  • Se prendiamo in considerazione tutte le morti violente (dovute a incidenti, omicidi e suicidi) e le morti naturali, osserviamo che nel triennio di studio in Colombia è morta in media una donna venezuelana ogni 3 giorni.

Inoltre, grazie a questo studio, realizzato col supporto dei dati forniti dal DIJIN (Dirección de Investigación Criminal e INTERPOL), si è potuto ricostruire un profilo tipo della donna venezuelana vittima di femminicidio in Colombia nel triennio 2017-2019: si tratta di una donna di circa 27 anni, che ha frequentato almeno le scuole medie, non legata a gruppi criminali, non coniugata e con una situazione lavorativa precaria.

Sul Perù e sull’Ecuador, è invece fondamentale segnalare l’ultimo e più attualizzato report realizzato dall’ONG Plan International “e come stanno le compagne?” (lanciato a maggio 2022), che offre una spaccato post covid sulla situazione delle donne venezuelane migranti nei due Paesi: fotografia che si allaccia a quanto descritto finora. Nel presentare lo studio, Plan International spiega che le donne rifugiate e migranti si trovano in una situazione di estrema vulnerabilità: la violenza è più marcata all’interno delle loro case, dei quartieri, dei contesti di lavoro e anche di fronte alle istituzioni pubbliche, che sono inconsapevoli o indifferenti ai loro bisogni.

In Perù l’89% delle intervistate ritiene che le donne venezuelane siano vittime di una diffusa violenza di genere e che esista un’enorme differenza culturale tra la percezione della donna nella società venezuelana rispetto a quella peruviana (indicata come più maschilista). Si sottolinea poi come le violenze più esercitate contro le donne venezuelane nel Paese (vittime di stereotipi ipersessualizzati) siano quella psicologica, le molestie per la strada e le molestie sessuali sul lavoro. Ben 7 donne su 10 hanno dichiarato che il perpetratore della violenza è il compagno/marito, 5 su 10 hanno indicato uno sconosciuto, 4 su 10 un collega di lavoro e 3 su 10 l’ex compagno/marito. I luoghi della violenza sono molteplici e ricoprono tutto lo spazio dove si sviluppa la quotidianità di queste donne: si va dai luoghi pubblici, al domicilio, passando per il luogo di lavoro, arrivando poi ai mezzi pubblici fino alle reti sociali.

In Ecuador i dati parlano di una situazione simile. Il 72% delle intervistate ritiene che le donne venezuelane affrontino una diffusa violenza di genere. Le principali violenze riportate sono insulti, intimidazioni, umiliazioni (spesso legate ad atti di xenofobia), molestie sessuali sul lavoro, aggressioni fisiche presso il proprio domicilio e violenza economica. Le donne indicano 5 volte su 10 il partner o uno sconosciuto come perpetratore della violenza, mentre 4 su 10 riferiscono di superiori o colleghi di lavoro. Dato ancora più preoccupante, secondo il 71% delle intervistate i casi di violenza contro le donne venezuelane di solito non vengano denunciati.

In generale il report permette di osservare che uno dei principali problemi è la mancanza di accesso alle informazioni sulle rotte e sulle procedure di denuncia, nonché la mancata consapevolezza del proprio diritto a una vita libera dalla violenza. Non esistono campagne di comunicazione specifiche sull’accesso alla giustizia per le donne venezuelane migranti, che soffrono anche del limitato accesso ai servizi di base, provano sfiducia nelle istituzioni e vivono nella paura di ritorsioni da parte dell’aggressore.

Foto Credits: MedGlobal OrgAttribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0) attraverso Flickr