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Dal “rimorchio” alle molestie sessuali nei paesi islamici

Dialmy Abdessamad

Il 14 settembre 2021 a Tangeri, in pieno giorno, una ragazza è stata vittima di un giovane che le ha sollevato il vestito e l’ha palpeggiata, in mezzo alla pubblica via, mentre il suo complice filmava la scena. Il video è stato successivamente condiviso su Facebook. La vittima non ha sporto denuncia. Tuttavia, grazie al video, la polizia giudiziaria ha identificato e arrestato i due colpevoli, che sono risultati essere minorenni. Prendendo le difese della giovane di Tangeri, Bouchra Abdou, direttrice dell’associazione “Tahaddi (sfida) per l’uguaglianza e la cittadinanza” afferma che “la ragazza si era semplicemente vestita secondo i suoi gusti, senza curarsi dei nemici della libertà e dell’uguaglianza. Questa persona è stata vittima del pregiudizio di un’intera categoria sociale che ritiene che la donna non abbia diritti, ma è ugualmente vittima della banalizzazione delle molestie e della violenza”. (Hayat Kamal Idrissi: «Harcèlement sexuel : ça continue!»)

Quattro anni prima, il 21 luglio 2017, un’altra violenza sessuale si era consumata a Casablanca, su un autobus. Su iniziativa di un collettivo di attiviste femministe, il 23 dello stesso mese alcune centinaia di persone si sono riunite a Casablanca e in altre grandi città del Marocco per protestare contro le molestie e le aggressioni di cui le donne sono vittime nello spazio pubblico. 

Tre anni prima, il 10 novembre 2018, in seguito alle molestie sessuali su giovani ragazze ad Agadir (che indossavano minigonne), il collettivo femminista Masaktach (“Non sto zitta”) invitava le donne ad armarsi di un fischietto per combattere le molestie di strada.  Aïcha Dellero, membro di questo collettivo che combatte la violenza sulle donne, commentava: “Visto che le pene non vengono applicate, non ci resta che fare rumore e porre fine al costante silenzio delle donne molestate in strada. Se un uomo ti tocca, ti fischia o ti insulta, usi il tuo fischietto anche in mezzo a una strada o su un autobus”. Il giorno stesso, la stessa giovane ha distribuito fischietti nella città di Rabat, mentre il collettivo nel suo complesso ha distribuito più di 15.000 fischietti in diverse altre città del Marocco. L’iniziativa è stata in seguito presa in prestito dall’India e dal Messico, ma le donne in Marocco non l’hanno mai realmente adottata.

In tutti e tre i casi, sui social media si sono alzate voci che accusavano le ragazze di indossare abiti provocanti, ritenendo che i molestatori avessero il diritto di importunare queste giovani, per ricordare loro che vivono in un paese musulmano e governato da un’etica musulmana, basata sulla modestia.

Tuttavia, pur essendo musulmana, la maggioranza dell’opinione pubblica si dichiara scioccata da questi episodi di molestie sessuali pubbliche e li condanna. (Association Démocratique des Femmes du Maroc (ADFM): Le harcèlement sexuel au Maroc: Brisons le mur du silence, Casablanca, Le Fennec, 2000). Al contrario, la violenza domestica, che costituisce l’80% della violenza di genere (secondo l’Haute Commissariat au Plan, HCP), è più accettata  dalla stessa opinione pubblica, che ritiene che il marito abbia il diritto di educare e correggere sua moglie (secondo diversi studi qualitativi). (Salima Massoui: Femmes victimes de violences conjugales au Maroc, Paris, L’Harmattan, 2017). 

Le molestie sessuali in strada sono perseguibili?

Di fatto, le violenze di genere e sessuali si ripetono, senza peraltro costituire un fenomeno statisticamente frequente e significativo. L’ultima indagine HCP rivela che la percentuale di questa violenza rimane molto bassa, se confrontata con quella di matrice psicologica e fisica. Come altri (mis)fatti precedenti dello stesso tipo, il (mis)fatto sessuale di Tangeri, il più recente, si è trasformato in una notizia amplificata dai social network, e quindi in un fatto spettacolare, dato in pasto a un voyeurismo nazionale celato dall’anonimato.

Iniziamo ricordando che il Codice penale marocchino condanna le molestie sessuali sul posto di lavoro dal 2003. Questa molestia costituisce “sextortion”, nel senso che mira a estorcere alla “vittima” un favore sessuale a fronte di un favore professionale o di un diritto che si rifiuta di concedere alla “vittima”, a meno che quest’ultima non conceda una prestazione sessuale contro la sua volontà.   

La legge 103-13, promulgata nel febbraio 2018 ed entrata in vigore il 12 settembre 2018, dopo oltre dieci anni di battaglie guidate dalle associazioni femministe, si spinge oltre, sanzionando proprio le molestie sessuali nello spazio pubblico o in strada. Nonostante questi progressi, le associazioni femministe denunciano di non essere state coinvolte nella stesura di questa legge (secondo Nouzha Sqalli), “di non far parte delle varie commissioni per la tutela delle donne vittime di violenza stabilite dal suddetto testo, sia a livello nazionale, che regionale o locale” (secondo Latifa Bouchoua), e di non rispettare i vari trattati internazionali ratificati dal Marocco (secondo Fatima Maghnaoui). Inoltre, per queste tre esponenti delle associazioni femministe, la prima delle quali è stata addirittura Ministro per le donne e per la famiglia (2007-2012), la legge 103-13 è insufficiente: non condanna lo stupro coniugale, non vieta il matrimonio di minori, non sottolinea il principio della due diligence,  “un principio raccomandato dalle Nazioni Unite che sancisce l’obbligo delle autorità di indagare, cercare prove, prevenire la violenza, proteggere le donne, punire i colpevoli e prendersi cura delle vittime e dei loro figli”.

Tra l’altro, oltre ad essere inadeguata, la legge 103-13 non viene applicata. Peggio ancora, “questa legge non è stata scritta per essere applicata!”, secondo Stéphanie Wilmann Bordat, avvocato e co-fondatore dell’associazione MRA (Mobilising for Rights Associates) a Rabat. In effetti, l’alta percentuale di mancate denunce e del mancato perseguimento dei trasgressori da parte dell’ufficio del procuratore rende questa legge un provvedimento di facciata, una legge promulgata durante il mandato di un ministro islamista che ha dovuto rispondere, contro la sua volontà, alle pressioni femministe nazionali e internazionali.

Va perciò realizzato uno studio (non governativo) per una valutazione oggettiva dell’attuazione della legge 103-13, per verificare in che misura le molestie sessuali sono denunciate, perseguite e punite. Di qui le seguenti domande: la legge 103-13 ha una copertura di bilancio? Qual è il suo grado di applicazione? Qual è l’indicatore del suo impatto sulla riduzione della violenza di genere e sessuale, comprese le molestie sessuali, così come definito dalla legge? La legge 103-13 ha un effetto deterrente su altre forme di molestie sessuali?

La legge 103-13 definisce le molestie sessuali come un atto reiterato, ripetuto dal medesimo soggetto verso una stessa persona. In questo caso, è proprio la reiterazione che qualifica le molestie sessuali come un reato perseguibile affinché il molestatore sia condannato al carcere. Ci sembra ovvio che questa definizione non può pretendere di essere esaustiva, nella misura in cui la definizione di molestie sessuali va ben oltre.  In effetti, che dire delle molestie indirizzate solo una volta verso una donna da un uomo H, ma poi  ripetute nella stessa maniera o in altre forme da altri uomini V, W, Y, X, Z, ecc. in cui la donna in questione si imbatta lo stesso giorno? È ovvio che la legge 103-13 non consente alla donna di sporgere denuncia per molestie contro ciascuno degli uomini incontrati per strada e che le hanno rivolto uno sguardo insistente, un complimento, un invito, un fischio o un insulto… Queste continue molestie maschili costituiscono un importante fenomeno sociale, significativo e psicologicamente gravoso (per le donne), che l’uso del fischietto proposto (e poco seguito) non ha potuto fermare.  Possiamo perseguire un uomo che rivolge una parola, un invito, un insulto a diverse donne che incontra durante la sua giornata? Come rendere sanzionabile questo grave fenomeno? È possibile stabilirne una definizione legale e penalizzarla? E, prima di tutto, come definirla?

Dal “rimorchio” liberatorio alle molestie oppressive

Per comprendere il fenomeno delle molestie sessuali sia isolate (da parte di un singolo uomo) che ripetute (replicate da diversi altri uomini), propongo innanzitutto di distinguere sociologicamente tra “rimorchio” e “molestia”, anche se entrambi i fenomeni si riferiscono a una promiscuità sessuale non ancora realmente normalizzata in Marocco, e che quindi porta gli uomini a vedere nelle donne per la strada solo delle prede sessuali e  dei corpi apparentemente a portata di mano.

Negli anni ’60 e ‘70, lo spazio aperto (la strada) ha smesso di essere di esclusivo appannaggio maschile. È diventato uno spazio pubblico condiviso da uomini e donne grazie alla scolarizzazione dei ragazzi e delle ragazze e attraverso l’accesso delle donne al mercato del lavoro. Questa uscita sistematica delle donne in strada e nello spazio pubblico è stata accompagnata da un minor uso del velo, rispondendo alle necessità dello sviluppo socio-economico. In un paese musulmano, abituato a permettere alle donne di camminare negli spazi aperti/pubblici/maschili solo a condizione di essere totalmente velate  (indossando una jellaba, un cappuccio, una veletta o l’haïk, che lascia intravedere solo un occhio), si è trattato di un fenomeno completamente nuovo. Nel momento in cui le donne si sono “svelate” (in abito, gonna, minigonna, short, tailleur), e una volta che queste donne – non imparentate – si sono mostrate in uno spazio urbano “detribalizzato”, sono diventate oggetto di flirt e di caccia. La loro presenza in questo spazio non aveva precedenti. Questi approcci erano quindi prova del fatto che la presenza femminile non era ancora considerata normale, e si era manifestata rapidamente, senza essere preceduta da una trasformazione delle strutture sociali e mentali. Nel contesto di questa nuova promiscuità sessuale, rimorchiare è diventato una modalità di incontro per entrambi i sessi, che istituiva nuovi codici di condotta tra donne e uomini. Gli uomini esercitavano il loro potere di seduzione attraverso la parola, l’abbigliamento, l’automobile…, e le donne trovavano in questo un riconoscimento della loro bellezza e un’opportunità per mettere alla prova allo stesso tempo la loro “virtù” e il loro desiderio. La maggior parte delle donne era persino imbarazzata dal non ricevere commenti e apprezzamenti per strada. I tentativi di approccio erano per la donna un complimento in sé, un segno di successo. Nessuna se ne lamentava. La “caccia” (Ciyada) alle donne per strada era una reazione maschile socialmente normalizzata.  E anche le donne avevano anche i loro modi di sedurre, più sottili. Uno sguardo, un sorriso, un accenno di sorriso e l’amo era lanciato… con successo.

Negli anni ‘60 e ’70,  “rimorchiare” era considerato piuttosto come un segno di  liberazione sessuale. Il femminismo politico più avanzato dell’epoca, quello dell’Unione Socialista delle Forze Popolari (USFP), nel suo “Rapporto ideologico” (1974) non prestò alcuna attenzione al fenomeno. Quel Rapporto è stato tuttavia rivoluzionario in quanto, per la prima volta nella storia del Marocco, un partito politico chiedeva la piena uguaglianza tra uomini e donne nel diritto di famiglia,  eredità compresa.

Negli anni ‘90, si è passati da una cultura quasi normalizzata del “rimorchiare” (indotta da una rapida promiscuità non banalizzata) a una cultura aggressiva basata sulle molestie. Ed è stato sotto la pressione del femminismo internazionale che le associazioni femministe marocchine hanno iniziato a condannare le molestie sessuali come un’aggressione, come una forma di violenza sessista e sessuale da combattere.

In precedenza, l’analisi sociologica aveva già dimostrato che “l’abbordaggio” era piuttosto una caccia patriarcale alla donna per scopi edonistici/erotici. Aveva anche dimostrato che, se le molestie sessuali rappresentano a loro volta una forma di caccia patriarcale, si tratta però di una caccia diversa: l’obiettivo non è più l’edonismo sessuale, ma l’invisibilità o l’esclusione totale delle donne dallo spazio pubblico, da cui scacciarle in nome di un islamismo la cui strategia è quella di de-erotizzare lo spazio aperto per effetto di una crescente frustrazione sessuale (come ho dimostrato nel mio libro Logement, sexualité et islam, EDDIF, 1995, rivisto e ripubblicato con il titolo Ville, sexualité et islamisme, IMPR, 2018). L’islamismo dei Fratelli musulmani/ispirato al Makhzen si accontenterà quindi di chiedere alle donne di velarsi di nuovo, in modo che non siano più percepite come corpi desiderabili che seminano caos (fitna).  Invece l’islamismo radicale va oltre, e chiede alle donne di indossare il burqa o di lasciare lo spazio pubblico per sempre e rinchiudersi in casa, in modo che cessi ogni rischio di tentazione eterosessuale dovuta alla promiscuità. 

Questo desiderio islamista di de-erotizzazione, inteso come “purificazione sessuale”   dello spazio pubblico,  si ritrova in modo non strutturato tra i giovani provenienti dalle classi meno abbienti (come dimostrato dal nostro libro sopra citato).  In altre parole, questi giovani si sentono frustrati dalle donne, con questi corpi eccitanti al tempo stesso vicini e inaccessibili, per cui chiedono loro di coprirsi o tornare a casa.  Vedono le donne non velate come provocatrici sessuali, come le vere “assalitrici”. Questo ragionamento islamista spontaneo, senza coinvolgimento formale islamista, spinge i giovani a esibire mascolinità e islam correggendo le donne, ricordando loro che sono soprattutto femmine, corpi da velare. La donna “ribelle” che rifiuta di velarsi diventa oggetto di violenza sessuale, principalmente molestie isolate o reiterate. Si tratta quindi una giovane mascolinità priva dei suoi poteri e privilegi patriarcali che vuole assumere il controllo tradizionale dello spazio pubblico, delle donne e dei loro corpi, ma utilizzando un nuovo strumento, quello delle molestie sessuali in pubblico. Questo è l’unico meccanismo di difesa rimasto ai giovani per proteggersi dall’eccitazione sessuale in strada.  

Questo stato di cose evidenzia l’ingiustizia sessuale prevalente. Infatti, la sessualità è consentita solo alle persone sposate (per legge), e praticamente riservata ai giovani delle classi sociali privilegiate che (di fatto) ne hanno i mezzi. Di conseguenza, la negazione dei diritti e delle libertà sessuali, rafforzata da ostacoli finanziari e logistici, diventa correlata alla violenza sessista e sessuale. Molestie, abusi, stupri… diventano il mezzo per ottenere una gratificazione sessuale illusoria a danno della donna, in nome di una fede ignara che dà al trasgressore la certezza di essere nel vero e nel giusto.

La necessità di una riforma sessuale

Una legge non sarà quindi sufficiente ad arginare le molestie sessuali islamiste, perché questi comportamenti riflettono un profondo bisogno sociale e sessuale, individuale e collettivo allo stesso tempo. La sanzione penale non cancellerà la necessità. La sfida è quindi quella di realizzare una riforma sessuale totale.

In primo luogo, dimostrando che le ragioni della proibizione islamica della sessualità prematrimoniale sono ormai superate. I contraccettivi moderni consentono di evitare gravidanze fuori dal matrimonio che, secondo i giureconsulti musulmani, rischiano di confondere legami (di parentela) e proprietà (eredità). È per questo motivo che l’astinenza sessuale prematrimoniale è stata imposta come obbligo religioso, ma oggi non può più essere considerata alla stregua di un contraccettivo adeguato e realistico da imporre ai giovani (come ho dimostrato dal 2012).  

La riforma sessuale deve continuare con l’abrogazione degli articoli 489 (contro i rapporti sessuali prematrimoniali), 490 (contro l’omosessualità maschile e femminile) e 491 (contro l’adulterio) del Codice penale. Questa è una richiesta che ho espresso nel 2007 in un articolo pubblicato su un quotidiano marocchino in lingua araba, che ho ripreso nel mio libro “Sociologie de la sexualité arabe” (in arabo, 2008), e che ho sempre difeso da allora nei miei vari interventi. Ho dovuto aspettare fino al 2019 per vedere un solo parlamentare (di sinistra) raccogliere questa richiesta e difenderla, ovviamente senza successo (finora). In precedenza, nel 2012, era stata adottata dall’Associazione marocchina per i diritti umani  (Association Marocaine des Droits de l’Homme, AMDH), di sinistra.

Inoltre, istituendo l’educazione sessuale nelle scuole, in una forma che comprenda  sia la conoscenza sessuale scientifica che la morale sessuale antipatriarcale e che valorizzi il piacere sessuale in sé.  Questa educazione è necessaria per consentire ai giovani di staccarsi dalla pornografia, che è il loro riferimento di formazione sessuale, come ho dimostrato tra il 1997 e il 2000 nel mio libro “Jeunesse, Sida et Islam”. Tuttavia, affinché l’istituzione dell’educazione sessuale sia efficace, deve prima essere offerta agli educatori stessi, altrimenti non ne sarà garantita la corretta diffusione. Deve essere offerta a genitori, insegnanti, caregiver, artisti e giornalisti. Questi educatori devono essere tutti convinti che il diritto alla sessualità è una condizione di benessere individuale e collettivo. Se non lo fossero, non sarebbero in grado di trasmettere una sana educazione alla sessualità.

Infine lavorando sulla mascolinità, sugli uomini e con gli uomini. La questione sessuale non potrà essere risolta finché gli uomini rimarranno prigionieri della natura pseudo-naturale e pseudo-sacra dei loro poteri e privilegi. Si deve costruire una nuova mascolinità, che riconosca e rispetti i diritti sessuali e riproduttivi delle donne come diritti umani universali. Una mascolinità marocchina che va in questa direzione sta cominciando ad emergere, come ho mostrato nel mio libro “Vers une nouvelle masculinité au Maroc” (2000).

Riforma legale, educazione sessuale e decostruzione-ricostruzione della mascolinità devono costituire gli assi principali di una politica sessuale pubblica che faccia del piacere sessuale dei marocchini (e dei musulmani in generale) il proprio obiettivo strategico, essendo il piacere sessuale una condizione fondamentale dello sviluppo individuale e sociale nel suo insieme. Una società sessualmente frustrata e violenta non può riuscire a svilupparsi. Una politica sessuale positiva non può essere ridotta al divieto della sessualità prematrimoniale e dell’omosessualità, al distanziamento delle nascite o alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili e HIV/AIDS. Né dovrebbe mirare a fare della sessualità un motore informale del turismo nazionale.

L’istituzione di una politica sessuale così definita deve affrontare due grandi ostacoli.

Il primo è internazionale: non esistono convenzioni o trattati internazionali (che riconoscano i diritti sessuali come diritti umani) che debbano essere sottoscritti e ratificati dagli Stati-nazione, e che obblighino questi Stati ad adeguare di conseguenza la loro legislazione nazionale. Al massimo, vi sono delle raccomandazioni in tal senso nei piani d’azione delle Conferenze del Cairo (1984) e di Pechino (1995). Ci sono anche risoluzioni del Consiglio per i diritti umani (ONU/Ginevra) che definiscono i diritti sessuali come diritti umani e che chiedono la non discriminazione di sesso e di genere. Ma né le raccomandazioni né le risoluzioni sono giuridicamente vincolanti. Ogni Stato-nazione rimane sovrano in materia di politica sessuale.

Il secondo ostacolo è nazionale: le politiche sessuali che difendono la libertà e i diritti sessuali (specialmente delle donne) prendono origine dalle politiche perseguite da governi di sinistra e socialisti. In linea di principio, in Marocco sarebbe necessario aspettare che un partito di sinistra prenda il potere in modo che ci sia la possibilità di muoversi verso una riforma sessuale. La riforma del Codice di famiglia (Moudawwana) è stata un buon esempio.  Questo processo è iniziato nel 1974 col “Rapporto ideologico” dell’USFP (un partito di sinistra), successivamente ripreso principalmente dalle associazioni UAF, ADFM e Joussour, anch’esse di sinistra, ed è stato il governo socialista dell’alternanza (1998-2002) che ha politicizzato la questione della  riforma del Codice di famiglia e ha portato all’arbitrato reale. Si può persino ipotizzare che l’estromissione del governo dell’alternanza nel 2002, nonostante la vittoria dell’USFP alle elezioni legislative dello stesso anno, esprima la volontà non dichiarata di non fare della riforma del Moudawwana del 2003-2004 una vittoria/conquista anti-islamista della sinistra. A riprova, l’esempio della polemica sull’aborto. La legalizzazione dell’aborto, sostenuta dalla sola società civile, è stata certamente favorita da una Commissione reale, ma non è stata ancora recepita nel Codice penale. Ovviamente, dobbiamo quindi aspettare che un governo guidato da una sinistra forte politicizzi la questione sessuale, per sperare in un arbitrato reale che vada nella direzione di una riforma sessuale al servizio dei diritti e delle libertà sessuali.

In sintesi, la riforma del Codice penale in senso sessualmente antirepressivo non deve rimanere una richiesta congiunturale brandita dalla società civile ogni volta che una violenza sessuale viene pubblicizzata dai media, come nel caso dello “stupro dell’autobus” (2017), delle “minigonne di Agadir” (2018), dello “stupro di Adnan” (2020) e della ragazza denudata in strada a Tangeri (2021)… Né dovrebbe essere menzionata solo nei casi di “dissolutezza” (ai sensi dell’articolo 490) e di aborti amplificati dai media (come nel caso di Hajar Raissouni, 2019). La riforma del Codice penale deve essere una richiesta strutturale dell’agenda politica.

In altre parole, una politica sessuale pubblica positiva è una richiesta che è ben lungi dall’essere oggetto di un consenso nazionale. Al contrario, è divisiva, è una linea di demarcazione tra sinistra e destra. Per definizione, rimane una richiesta politica fondamentale iscritta nel DNA di qualsiasi partito politico che si definisca di sinistra. Purtroppo, inopportune considerazioni di calcolo elettorale hanno finora portato i principali partiti di sinistra a reprimere nel loro inconscio elettorale la rivendicazione di libertà e diritti sessuali. Questo è ciò che non smetto di deplorare dal 2006.  Dopo le elezioni dell’8 settembre 2021, che hanno relegato tutti i partiti politici di sinistra al ruolo di opposizione minoritaria nonostante il loro atteggiamento politico “sessualmente corretto”, è venuto il momento che questi assumano la questione sessuale e di genere come proprio dovere politico. Al momento non hanno nulla da perdere!

Conclusione

In attesa della liberazione sessuale, la società e lo Stato hanno entrambi gradualmente introdotto una liberalizzazione sessuale di fatto, quella delle pratiche sessuali. Di conseguenza, l’esplosione liberale della sessualità prematrimoniale, dell’omosessualità e della prostituzione non può essere fermata da leggi statali obsolete.  Al contrario, le leggi attuali contribuiscono al fenomeno. L’entità dell’esplosione sessuale è indicativa di una transizione sessuale in gestazione (vedi i miei due libri sulla mia teoria della transizione sessuale, nel 2015 in arabo e nel 2017 in francese). Il “parto” al momento rischia di essere più lungo e distocico, a causa del dominio confermato dei liberali (a scapito dei libertari), ma il “travaglio” è iniziato a livello del Partito socialista unitario (Parti Socialiste Unifié) e dell’ Alleanza della federazione democratica (Alliance de la Fédération démocratique) , piccoli partiti progressisti di sinistra. Oggi, questo compito deve essere assunto in modo strutturale da tutti i partiti della sinistra marocchina affinché la riforma sessuale abbia possibilità di successo.

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Foto Credits: World Bank, Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0), attraverso Flickr