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Citizenship Amendment Act e politica sui rifugiati in India

Chapparban Sajaudeen

Il recente emendamento del Citizenship Act (Legge sulla cittadinanza) del 1955 della Costituzione indiana, comunemente noto come Citizenship Amendment Act (CAA) del 2019 ha fatto esplodere massicce proteste, manifestazioni e resistenze, provocando dissenso e risentimento contro una legge particolarmente disdicevole. Gli attivisti per i diritti civili e per i diritti umani, le masse di gente comune, gli studenti, gli indù liberali, i buddisti, i dalit, i musulmani, i sikh e altre organizzazioni politiche, sia entro i confini nazionali che al di là di quelli internazionali, si sono uniti alle proteste per proteggere il tessuto legale laico e democratico dell’India. Le proteste hanno avuto anche un ruolo significativo per l’opposizione alla legalizzazione della discriminazione delle comunità. Si sono tenuti vari dibattiti e manifestazioni per convincere il governo attuale a includere anche i rifugiati musulmani nell’applicazione della legge sulla cittadinanza modificata di recente. Purtroppo, le loro voci non sono state ascoltate e si sono disperse all’ombra di proiettili, gas lacrimogeni, cariche di polizia e manganelli, accuse di sedizione e arresti dei manifestanti. Le proteste contro il CAA sono state messe a tacere dall’apparato amministrativo statale con le buone o con le cattive. Nel corso delle manifestazioni sono emerse le ondate di COVID-19 e le proteste si sono dissolte, mentre l’attenzione del pubblico e dei media veniva sviata.

La parte più triste della storia è che alcuni dei gruppi di destra hanno inscenato la contro-protesta per sostenere il CAA e hanno chiesto di deportare i rifugiati musulmani. Una manifestazione di protesta contro i rifugiati Rohingya nel distretto di Jammu, organizzata dalla Camera di Commercio e Industria di Jammu (JCCI), chiedeva di “identificare e uccidere” i Rohingya. Ironia della sorte, Rakesh Gupta, l’organizzatore della protesta, in passato era stato a sua volta un rifugiato dal Pakistan.

Il Citizenship Amendment Act poteva rappresentare un notevole passo in avanti per offrire protezione legale ai rifugiati nell’intera regione dell’Asia meridionale, visto che nessun altro paese dell’area ha sottoscritto le Convenzioni delle Nazioni Unite per i rifugiati, con la sola eccezione dell’Afghanistan. Mirava a fornire diritti legali, civili e politici ai rifugiati incorporandoli nella cittadinanza. Purtroppo una formulazione legale discriminatoria ed escludente ne ha rovinato l’intera finalità, escludendo i rifugiati di parte musulmana dal suo ambito di applicazione. Ha aggiunto un ulteriore fattore di vulnerabilità nei confronti di coloro che in Asia meridionale sono già rifugiati vulnerabili, creando allarme tra i cittadini musulmani di questo paese per le possibili implicazioni sulla loro condizione. Sebbene la narrazione mainstream sostenesse che l’inclusione di certe comunità religiose (indù, sikh, buddisti, giainisti, parsi e cristiani) provenienti da alcuni paesi selezionati, vale a dire quelli dominati dai musulmani (Afghanistan, Bangladesh e Pakistan), si sarebbe basata sul loro status di minoranza e sulla persecuzione religiosa sofferta nei rispettivi paesi di origine, di ciò non si fa menzione in nessuna parte della gazzetta dell’emendamento. La sezione 2 afferma: “A condizione che qualsiasi persona appartenente alle comunità provenienti da Afghanistan, Bangladesh o Pakistan sia entrata in India il 31 dicembre 2014 o prima di tale data, e che sia stata esentata dal governo centrale ai sensi della clausola (c) della sottosezione (2) della sezione 3 del Passport Act del 1920 (legge sull’ingresso in India), o in base all’applicazione delle disposizioni del Foreigners Act (legge sugli stranieri) del 1946, o di qualsiasi regola o ordinanza emessa ai sensi degli stessi, non sarà trattata come migrante illegale ai fini della presente legge” (CAA Gazette).

Eppure i musulmani costituiscono a loro volta minoranze religiose, non solo in paesi come Myanmar, Nepal, Bhutan, Sri Lanka e India, ma anche in tutta l’Asia meridionale, e sono anch’essi perseguitati e discriminati sul terreno religioso. Esistono poi minoranze musulmane anche all’interno della più ampia comunità musulmana, come gli amediya, gli sciiti, gli hazara, ecc. che sono spesso discriminate all’interno e all’esterno della stessa cerchia musulmana. Ciò nonostante, i musulmani sono stati esclusi dal CAA. I recenti casi di  violenza contro i musulmani in paesi come Sri Lanka e Myanmar sono esempi da manuale della persecuzione religiosa dei musulmani.

Non è che la legge sulla cittadinanza dell’India sia stata modificata per la prima volta nel 2019. Ci sono stati emendamenti anche prima, come quello del 1986 (per classificare gli stranieri e i migranti illegali esclusivamente sulla base dei documenti) e quello del 2003 (per includere i discendenti indiani e i loro figli). Ma questa volta, nel 2019, la religione è diventata un parametro della discussione e delle considerazioni sulla cittadinanza, come nel caso della Legge sul ritorno in Israele del 1952. A seguito di questo cambiamento di paradigma, la base per la concessione della cittadinanza indiana si è spostato dallo ius soli e dallo ius sanguinis  allo ius di religione. Anche se questa legge è stata applicata, essa viola i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione dell’India, una repubblica democratica laica sovrana. Ci sono molti articoli nella Costituzione indiana, come gli articoli 14 e 15 che proteggono gli individui dalla discriminazione e aderiscono all’uguaglianza davanti alla legge. [Articolo 14: Lo Stato non negherà a nessuna persona l’uguaglianza davanti alla legge o l’uguale protezione delle leggi all’interno del territorio dell’India; Articolo 15: (1) Lo Stato non discriminerà alcun cittadino solo per motivi di religione, razza, casta, sesso, luogo di nascita o per uno qualsiasi di essi; Articolo 16: (2) Nessun cittadino, per motivi di religione, razza, casta, sesso, discendenza, luogo di nascita, residenza o per uno qualsiasi di essi, sarà ritenuto ineleggibile o discriminato per qualsiasi impiego o ufficio nell’ambito dello Stato].

Ecco i principali motivi per cui il Citizenship Amendment Act del 2019 è stato molto dibattuto, contestato e attuato con la forza: è una delle prime leggi sui rifugiati nel subcontinente, ma sfortunatamente non è riuscita ad affrontare le questioni di tutti i rifugiati nel loro insieme, giacché li discrimina selettivamente sulla base della religione. Ha inoltre bollato le minoranze religiose di rifugiati non menzionate come “illegali”, per cui il possesso di documenti emessi dall’Unhcr o l’ingresso nel paese attraverso un canale appropriato sarebbero considerati nulli davanti a questa legge. Questo è il motivo per cui i rifugiati Rohingya in India continuano a essere etichettati come “illegali”, nonostante il loro status Unhcr. Si tratta di un attacco al carattere democratico e laico della più grande democrazia del mondo e della sua Costituzione e, soprattutto, al nesso tra il CAA e il National Register for Citizens (Registro nazionale dei cittadini, NRC). Poiché l’attuale emendamento non include i musulmani tra coloro ai quali si prevede di garantire la cittadinanza, o che saranno presi in considerazione per diventare cittadini indiani, tutti quei musulmani che non saranno in grado di produrre i documenti richiesti nell’ambito del processo NRC diverranno automaticamente “illegali” e saranno facilmente associati ai “migranti illegali” provenienti dagli stati vicini. Siamo perciò in presenza di una disastrosa probabilità di disconoscimento dei cittadini musulmani in India, se non dovessero riuscire a produrre i documenti richiesti dallo Stato visto che non è stato dato loro spazio nel CAA. Pertanto, una volta etichettati come “illegali”, non potranno rivendicare il loro diritto alla cittadinanza, come invece potranno fare altri rifugiati e cittadini privi di documenti ai sensi delle disposizioni del CAA. Questo aspetto ambiguo e fumoso del CAA e il nesso deleterio con l’NRC aggravano ulteriormente le preoccupazioni di milioni di cittadini della minoranza musulmana. Di conseguenza, hanno paura di ritrovarsi a essere apolidi all’interno della loro patria. L’opacità della posizione del governo e il gran numero di dichiarazioni disordinate rendono l’intero fenomeno intricato e non trasparente. Il CAA e l’NRC sono diventati anche strumenti politici per minacciare la minoranza musulmana nei raduni politici e durante le campagne elettorali in India, nel mezzo di una crescente polarizzazione tra comunità. Concedendo una cittadinanza selettiva per lo più a indù e ad altri rifugiati, il governo al potere sta tentando di aumentare il suo bacino di voti indù e di placare la maggioranza della popolazione indù nel nome di un nazionalismo pro-indù.

In poche parole, siamo in presenza di un crescente nazionalismo religioso in Asia meridionale, che sta anche prendendo una forma legale per discriminare le minoranze e imporre questa irragionevole visione sotto forma di nazionalismo e politiche interne. Simili leggi di cittadinanza sono in vigore in paesi come Myanmar, Sri Lanka e Bhutan, dove gli indù e le minoranze musulmane non hanno diritto di cittadinanza. Pertanto, il CAA è solo un altro tentativo di aggiungere un nuovo capitolo all’elenco delle leggi discriminatorie già esistenti in Asia meridionale. Il governo indiano potrebbe ancora riconsiderare la sua posizione e includere i musulmani nel CAA per proteggere lo spirito democratico e laico di questa nazione. Ma dover scegliere tra un atteggiamento accomodante verso le aspirazioni politiche degli indù, da un lato, e l’immagine laica e inclusiva del sistema legale indiano, dall’altro, rappresenta una sfida molto difficile per l’attuale governo. La riformulazione di questa legge allevierebbe anche le preoccupazioni dei milioni di musulmani in minoranza in questo paese che vivono sotto la spada di Damocle dell’NRC e del CAA. Ridurrebbe ulteriormente la polarizzazione e le divisioni tra comunità, non solo in India ma anche nell’intera Asia meridionale. La modifica della legge eliminerebbe anche il pregiudizio su alcuni paesi a maggioranza musulmana dell’area e darebbe impulso a una significativa cooperazione regionale, a una coesistenza e a relazioni bilaterali pacifiche in Asia meridionale.

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Foto Credits:
Refugees, Climatalk .in – Attribution-NonCommercial 2.0 Generic (CC BY-NC 2.0) attraverso Flickr

Assam bandh protesters’ roadblock, Carsten ten Brink – Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0) attraverso Flickr

Name of those killed in anti-caa protests, DTM – CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons