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In ricordo di Nawal El-Saadawi (1931-2021): una vita per il femminismo e l’impegno politico

Rahman Fazzur

Qualsiasi dibattito o intervento sull’uguaglianza di genere e a supporto di eguali diritti per le donne viene di solito considerato come un effetto della crescente influenza del femminismo occidentale sul resto del mondo. Con una visione tipica dell’Occidente e dell’eurocentrismo, le donne non occidentali – in particolare se arabe e musulmane – sono sempre percepite come persone sottomesse e prive di una loro identità, che soffrono in silenzio. Ma tutto questo è vero solo in parte, poiché nel mondo arabo ci sono state voci molto forti a favore dell’uguaglianza di genere ed un notevole attivismo volto a evidenziare l’oppressione delle donne. Un esempio tra i più noti è quello di Huda Shaarawi, che combattè per i diritti delle donne in Egitto già negli anni Venti, e sfidò le tradizioni col gesto simbolico di togliersi il velo in pubblico alla stazione di Alessandria. Va anche ricordata Doriaa Shafiq, che negli anni Cinquanta guidò un gruppo di 1.500 donne ad occupare il parlamento egiziano, manifestando per i loro diritti.

Nawal El-Saadawi è deceduta il 21 marzo 2021, dopo lunga malattia. Apparteneva alla seconda generazione di femministe egiziane e sosteneva giustamente che il femminismo non è un’invenzione occidentale o americana, ma qualcosa di profondamente radicato nella coscienza femminile a causa del perenne controllo dei maschi sull’intera esistenza delle donne. Nel suo capolavoro, Women and Sex, affermò che le donne sono state sempre considerate, storicamente, come corpi privi di intelletto ed anima. Nawal El-Saadawi non si è limitata a portare avanti l’eredità di chi l’ha preceduta, ma ha ulteriormente radicalizzato, ampliato ed indigenizzato l’ambito e l’orbita del femminismo nella sua terra d’origine. Ha sollevato questioni di genere specifiche a fenomeni della società araba, come la mutilazione genitale femminile e il problema delle giustificazioni religiose della misoginia, nella parte di mondo arabo in cui è vissuta.

Non aveva mai dimenticato la propria crudele esperienza di mutilazione, quando all’età di sei anni la condussero in una stanza da bagno e nessuno venne in suo aiuto mentre quattro donne la tenevano ferma, come crocifissa. Ricordava che affilarono il coltello per il rituale davanti ai suoi stessi occhi e che questo le fece pensare alla festa di Eid, quando i macellai fanno lo stesso prima di uccidere le pecore.

Nawal El-Saadawi è stata una fiera paladina dei diritti delle donne, un’applaudita scrittrice e romanziera, un’attivista e un’intellettuale. Nacque a Kafr Talha, un villaggio a nord del Cairo, nel 1931. Sebbene appassionata di letteratura, sentiva la necessità di una professione che potesse darle sicurezza economica e quindi studiò medicina, e nel 1955 completò i propri studi con una specializzazione in psichiatria.

Tuttavia la passione per la scrittura non l’abbandonò mai e col tempo, oltre ad acquisire grande rinomanza nella sua professione, si fece anche conoscere, non senza ostacoli, come una importante voce letteraria e femminista.

Era una ribelle nata, e non era disposta a sottomettersi ai dettami e ai dogmi della tradizione. Le sue idee si manifestarono chiaramente fin dall’infanzia, quando si confrontò col fatto, che non era disposta ad accettare, che il cognome di sua madre venisse cancellato. La sua passione per il femminismo era fondata in gran parte su acute osservazioni personali del fenomeno della discriminazione di genere e sulle proprie dolorose esperienze d’infanzia. La lotta di tutta la sua vita per l’uguaglianza di genere fu il risultato del dover vivere in una società dominata dagli uomini.

Fin dall’età di sei anni rifiutò l’idea che le donne venissero considerate un mero oggetto sessuale ed una proprietà del marito. Non accettò mai l’insegnamento tradizionale di sua nonna, che sosteneva che un ragazzo vale quindici ragazze, anzi lo trovava oltraggioso. Forse fu quello il punto di partenza di un’intera vita dedicata a solidarizzare con la causa delle donne e a combattere questo tipo di imposizioni. Si ribellava all’idea che le bambine dovessero giocare con le bambole e i ragazzi con pistole giocattolo, come racconta nel suo libro autobiografico A Daughter of Isis.

Quando cercarono di costringerla a sposarsi, all’età di 11 anni, si rifiutò di obbedire, poiché il matrimonio era per lei ancora qualcosa di misterioso. In seguito si rese conto che rifiutare o boicottare il matrimonio non era una soluzione e che era più importante cercare di riformare dall’interno quell’istituzione e supportare il concetto dell’uguaglianza tra i partner. Si sposò tre volte, ma la maggior parte della vita la trascorse col suo terzo marito, che lei definiva come l’unico uomo femminista del pianeta.

In un altro dei suoi libri, Women and Sex, racconta i numerosi casi di donne, da lei visitate, colpite dalla mutilazione genitale, soprattutto nelle campagne. Come medico e come femminista combatté questa pratica tribale nel periodo in cui prestò servizio in aree rurali, e decise di lanciare una campagna a livello nazionale contro questa tradizione crudele, che non ha nulla a che fare con l’Islam.

La radice della sua ribellione contro una società imperniata sull’uomo può essere ricondotta alle sue esperienze d’infanzia, che ha narrato nel suo Memoirs of a Doctor. Scrisse, ad esempio: “Tutto ciò che sapevo a quell’epoca è che non ero un ragazzo, e quindi non ero come mio fratello. Lui si tagliava i capelli e non si pettinava. Lui si alzava la mattina e lasciava il letto com’era, e io dovevo rifare il mio letto e anche il suo. Mio fratello poteva andare a giocare senza chiedere il permesso, ma io no. Potevo uscire solo se autorizzata. A mio fratello a tavola toccava una porzione più grande della mia, ma non potevo dire di avere ancora fame. Lui poteva parlare durante il pasto, ma io dovevo mangiare in silenzio.”

Nawal El-Saadawi era decisa a superare gli ostacoli che il suo ambiente le opponeva, e usò la scrittura per combattere la Storia e cercare di prevalere sulle usanze sociali create per sottomettere le donne. Nel suo Daughter of Isis racconta quanto amasse tenere in mano la penna, l’unico strumento per far conoscere la condizione di quelle povere donne che, nelle loro stesse case, non erano nulla più che schiave. Sostenne sempre che la rivoluzione e la letteratura vanno vissute apertamente, e aborriva l’idea di una vita condotta su due piani separati, uno pubblico e uno privato. Rivoluzionò l’idea dell’uguaglianza di genere in una società in cui lo spazio socioculturale era occupato in modo prevalente da forze islamiste, che consideravano le donne come fonte di ogni perversione. La scrittura e l’attivismo politico furono le sue uniche armi contro una diseguaglianza radicata grazie alla quale ogni maschio risulta sempre privilegiato, in un modo o in un altro. Voleva cambiare la Storia stessa, poiché in essa il ruolo della società è sempre stato quello di opprimere le donne.

In una splendida testimonianza, pubblicata sulla rivista araba Fusool nel 1992, scrisse che aveva scelto di sfidare l’autorità che il Faraone aveva conferito ai fratelli, padri e mariti di ogni famiglia. La sua nozione di femminismo era diversa da quella dell’Occidente, poiché riteneva che all’interno del movimento femminista occidentale fossero penetrati elementi del mercantilismo capitalista, sviluppatisi gradualmente come nuovi strumenti di sfruttamento delle donne. Per lei, l’idea occidentale di libertà sessuale non aveva attrattive e non rappresentava la vera libertà, e considerava la nudità occidentale ed il velo arabo come due facce della stessa medaglia.

Nawal El-Saadawi scrisse circa 55 libri, che comprendono romanzi, memoriali ed altre opere a carattere sociale, culturale e politico, tradotti dall’arabo in circa trenta lingue straniere.

Tra i suoi lavori più famosi ci sono Women at Point Zero e Women and Sex. Quest’ultimo fu la sua prima opera di saggistica, e descriveva la brutalità del fenomeno della mutilazione genitale femminile. La sua pubblicazione provocò il suo licenziamento da direttrice nel servizio sanitario nazionale, ed il libro venne proibito per molto tempo. Il suo romanzo The Absent One, con cui puntava a rompere i tabù sociali sulle donne, è considerato come il primo caso in cui, nella letteratura araba, un personaggio femminile viene presentato come vittima sessuale. Nawal El-Saadawi ha affermato che la sua opera è, da un punto di vista intellettuale, fondamentalmente incentrata sui tre temi della religione, del sesso e del potere. In The Naked Face of Women, uno dei suoi capolavori, sottolinea che il retaggio culturale non ha alcun significato, se svuotato del ruolo sostenuto alle donne. Love in the Kingdom of Oil è un’altra sua opera sul tema dello sfruttamento sessuale da parte dei mariti, da lei sarcasticamente riassunto con la frase “Lassù c’è Dio, quaggiù il marito”.

Gran parte della sua opera letteraria è stata dedicata a mettere in luce come i maschi si siano rifiutati di considerare le donne capaci di contribuire al progresso sociale, culturale ed intellettuale. Un tema comune a tutti i suoi scritti è l’espressione del dolore dell’essere donna in un mondo dominato dagli uomini. La sua penna seguiva i dettami della sua coscienza libera e coraggiosa, che la spingeva a combattere l’idea di una naturale colpevolezza della donna, canonizzata nell’immagine di Eva, considerata colpevole per aver tentato Adamo nel Paradiso Terrestre, tema da lei ripreso nel suo The Hidden Face of Eve.

Nawal El-Saadawi non addossò mai alla religione in quanto tale la colpa per la difficile situazione e per la subalternità delle donne nella società araba, ma riteneva che la responsabilità andasse attribuita ad interpretazioni religiose errate, sostenute da esegeti che non volevano permettere alle donne di avere le stesse opportunità degli uomini. Era contraria all’idea della monopolizzazione della religione da parte di una élite clericale che, a suo avviso, aveva sempre manipolato la fede per perpetuare il dominio patriarcale. Anche la sua partecipazione alla rivoluzione egiziana del 2011 fu incentrata principalmente sulla lotta contro quegli islamisti che non esitava a definire come fanatici estremisti.

Nel 1992 dovette lasciare l’Egitto e rifugiarsi negli Stati Uniti, poiché venne messa sotto accusa per il suo romanzo Fall of the Imam, ed in quello stesso periodo contro di lei vennero promosse, anche se senza successo, alcune cause civili volte a far annullare in modo coatto il suo matrimonio, a causa dei suoi scritti considerati eretici. Nel 2008 vinse una causa contro chi tentava di farle togliere la cittadinanza e di bandire tutte le sue opere. Per contro, fu lei stessa a intentare un procedimento legale contro l’obbligo della menzione della fede religiosa di appartenenza sui documenti d’identità, e si schierò apertamente contro l’idea di proclamare l’Islam religione di Stato dell’Egitto.

Nel 1980, durante gli ultimi mesi della presidenza di Sadat, venne incarcerata a causa delle pressioni degli islamisti e durante la detenzione scrisse il libro Women at Point Zero, su un rotolo di carta igienica e usando una matita per gli occhi contrabbandata nel carcere da un’altra prigioniera. Durante la detenzione fondò inoltre la Arab Women’s Solidarity Association, con l’obiettivo di unificare il movimento delle donne in tutto il mondo arabo. Non voleva essere considerata come un’attivista meramente intellettuale e prese personalmente parte a molte manifestazioni di protesta, in particolare a quelle contro Mubarak in Tahrir Square.

In un periodo successivo ha in parte sostenuto El-Sisi, ed in diverse occasioni ha mancato di denunciarne l’azione controrivoluzionaria e lo ha addirittura difeso, solo al fine di esprimere la propria opposizione agli islamisti. Giudicò El-Sisi un leader migliore di Sadat e Mubarak perché era riuscito a indebolire i Fratelli Musulmani, ed ignorò l’incostituzionalità di molte sue azioni.

L’attivismo di Nawal El-Saadawi non conosceva limiti, come dimostrato ad esempio dal suo supporto agli scioperi dei minatori inglesi nel periodo 1984-85 e alle proteste contro i tagli al sistema sanitario britannico. Si sentiva ispirata dai movimenti di resistenza degli intellettuali del Terzo Mondo nel XX secolo, e la sua opposizione alle politiche neoliberiste perseguite dal presidente Sadat la spinse a scrivere che si sentiva “alienata dalla propria patria”. Fu sempre a favore di un sistema socialista, anche in relazione alla causa della liberazione delle donne. Coniò il termine “società classista patriarcale”, mettendo in risalto i nuovi fattori che nel quadro del sistema capitalista portano a una maggiore oppressione delle donne.

Nawaal El-Saadawi è stata una delle pochissime donne arabe cui è stata dedicata la copertina della rivista americana Time, nel 1981. Nel 2020 la stessa rivista la incluse nella lista delle cento donne più influenti del XX secolo. Nel 2005 vinse l’Inane International Price in Belgio e nel 2006 ricevette il North-South Prize del Consiglio d’Europa.

Per quasi mezzo secolo e fino al suo ultimo respiro, è stata una formidabile e combattiva voce a favore delle donne arabe, famosa per la sua condanna del patriarcato e per la sua lotta per migliorare la situazione delle donne. Era solita dire che tutti devono morire, ma che ciò che conta è come si è vissuto fino a quel momento. E forse ha insegnato a un’intera generazione di donne come vivere, in una parte del mondo in cui gli uomini non riescono a tollerare che una donna sia più intelligente di loro.

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