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Il sistema della kafala in Qatar: una riforma incompleta?

Il sistema della kafala, un moderno sistema di schiavitù nel Golfo

Mazzucco Leonardo Jacopo Maria

Il sistema della kafala (sponsorizzazione, patrocinio) è la pietra angolare del quadro normativo di riferimento che regola le condizioni contrattuali per l’impiego dei lavoratori migranti nelle monarchie del Consiglio di cooperazione del Golfo arabo (Gulf Cooperation Council, Gcc): Emirati Arabi Uniti (EAU), Kuwait, Oman, Bahrain, Arabia Saudita e Qatar.

Partendo dagli aspetti linguistici, in arabo la parola kafala ha un duplice significato, perché si riferisce a elementi di tradizione islamica tribale e legale. Da un lato, significa “garantire” (daman) ed esprime il concetto di garanzia per conto di qualcuno quando si trattano affari economici. Dall’altro, significa “prendersi cura di” (kafl), e indica il comportamento da adottare quando si interagisce con un soggetto non indipendente o autonomo, come un minore.

L’esame comparativo dei quadri giuridici del sistema di sponsorship dei membri del Gcc rivela che ogni paese ha sviluppato una propria normativa specifica; tuttavia, il sistema della kafala – concettualmente parlando – presenta le stesse caratteristiche in tutto il Golfo. Infatti si basa sull’idea che un lavoratore straniero ha necessariamente bisogno di un kafeel (sponsor) per varcare i confini del paese. A questo punto non sarà il governo centrale a fornire al migrante uno status giuridico; invece, la competenza per regolarizzare le condizioni formali del migrante è delegata dallo stato allo sponsor. In questo caso, è perciò lo sponsor (che in genere è anche il datore di lavoro) ad assumere la completa responsabilità per tutte le questioni che riguardano i permessi di ingresso nel paese di destinazione, il rinnovo dei permessi di soggiorno o dei visti di lavoro, la cessazione del rapporto di lavoro, il trasferimento a un nuovo datore di lavoro e i permessi di uscita dal paese di destinazione.

Da quanto sopra discende che il sistema della kafala condanna i lavoratori stranieri a una condizione di totale sottomissione ai loro sponsor, giacché li espone a una doppia forma di sfruttamento: da un lato, i migranti dipendono dal datore di lavoro che paga il loro salario; dall’altro, sono ulteriormente assoggettati allo stesso datore di lavoro, dal quale dipende l’approvazione del loro status di residente legale nel paese. In questo contesto, emerge chiaramente il fatto che il rapporto tra datore di lavoro e dipendente è del tutto sbilanciato a vantaggio del primo, il quale detiene uno smisurato potere sul secondo.

Inoltre, secondo il professor Anh Nga Longva, il sistema della kafala impone inoltre ai lavoratori stranieri una terza forma di sfruttamento. Visto che i migranti sono costretti a rinunciare ai loro diritti individuali delegandoli ai loro datori di lavoro, sono destinati a cadere in una drammatica impasse causata dal fatto che la persona che ne stabilisce i doveri è la stessa che abusa dei loro diritti.

Inoltre, in virtù della loro posizione dominante, i datori di lavoro con buona probabilità costringeranno i loro dipendenti all’obbedienza facendo ricorso a pratiche illegali e deleterie quali la confisca del passaporto, l’imposizione del pagamento delle tasse di collocamento, la sospensione del regolare pagamento dello stipendio e la minaccia di denunciare arbitrariamente i migranti alle autorità statali per mancata osservanza dei loro doveri.

Inoltre, nonostante alcuni paesi del Golfo abbiano tentato di affrontare la questione dello sfruttamento dei lavoratori migranti con l’attuazione di riforme del lavoro, la situazione generale rimane critica. Secondo un rapporto di Human Rights Watch pubblicato nell’agosto 2020, “il sistema della kafala rimane intrinsecamente abusivo per i lavoratori migranti” perché i datori di lavoro considerano ancora i lavoratori stranieri come una redditizia forza lavoro a basso costo e che – nonostante alcuni sforzi istituzionali compiuti in questa direzione – manca di un sistema di protezione dei diritti certo e affidabile.

Le riforme in Qatar: un percorso in evoluzione

Le organizzazioni delle Nazioni Unite, le Ong per la difesa dei diritti dei migranti e le associazioni della società civile hanno accolto con favore le riforme del Qatar – annunciate il 30 agosto scorso dal Ministero dello sviluppo amministrativo, del lavoro e degli affari sociali (Ministry of Administrative Development, Labour and Social Affairs, Madlsa) e formalizzate sulla Gazzetta ufficiale pubblicata l’8 settembre, che ha notevolmente rimodellato il quadro giuridico che regola il lavoro e le condizioni di vita dei lavoratori migranti nel paese.

A questo proposito, le autorità del Qatar hanno in primo luogo abolito la clausola detta “No Objection Certificate” (Noc) – che costringeva i dipendenti a ottenere il consenso dei loro datori di lavoro per cambiare occupazione – e introdotto in secondo luogo un salario minimo per tutti i tipi di lavoratori, indipendentemente dal settore di attività e dalla nazionalità. Inoltre, non solo i nuovi emendamenti rappresentano un’innovazione sostanziale nell’architettura del lavoro del Qatar, ma costituiscono anche un significativo successo a livello regionale. Infatti, da un lato il Qatar è il primo paese del Golfo ad aver rimosso la clausola Noc e, dall’altro, è il secondo paese – dopo il Kuwait – a stabilire un salario minimo per i lavoratori migranti.

Tuttavia, prima di passare a un’analisi dettagliata degli emendamenti, l’eccezionalità di queste riforme richiede di fare un passo indietro per far luce sulle ragioni e sui processi che hanno portato alla riforma in Qatar.

Dal boom petrolifero degli anni ’70, il paese ha registrato una crescita esponenziale della sua popolazione totale – qatarioti e stranieri compresi – che è aumentata da 111.113 unità nel 1970 a 2.545.820 nel 2017. Inoltre, va notato che che la maggiore spinta alla crescita della popolazione è arrivata da residenti non nazionali, la cui percentuale sui qatarioti è andata aumentando a un ritmo impressionante negli ultimi tre decenni, raggiungendo l’87,3% della popolazione totale nel 2015. Inoltre, dal rapporto di Human Rights Watch intitolato How Can We Work Without Wages (Come possiamo lavorare senza salario?) emerge che i lavoratori migranti rappresentano circa il 95% della forza lavoro totale del Qatar. Pertanto, è evidente in che misura i lavoratori stranieri abbiano sempre più contribuito a plasmare le prospettive demografiche del Qatar.

Secondo recenti calcoli, il Qatar nel 2019 ha raggiunto una popolazione di 2,8 milioni di persone, costituita per l’89% da espatriati. La popolazione straniera può essere divisa in due gruppi principali: quello degli artigiani e degli operai e quello della cosiddetta popolazione urbana. I primi, che si stima costituiscano circa il 60% degli espatriati, sono di solito impiegati in progetti di mega sviluppo, come i cantieri della Coppa del Mondo; sono generalmente giovani (20-49 anni), maschi e single. Il secondo gruppo, costituito dal restante 40%, comprende professionisti o dipendenti nei settori dei servizi privati o governativi, e le loro famiglie.

Va notato inoltre che il profilo demografico del Qatar mostra due aspetti peculiari: in primo luogo, la percentuale della popolazione femminile è estremamente limitata, rappresentando solo un quarto del totale; in secondo luogo, la popolazione è prevalentemente giovane, con solo il 2% di età superiore ai 60 anni.

Inoltre, per quanto riguarda la composizione della comunità di espatriati, gli indiani sono i più numerosi e rappresentano il 28% della popolazione totale, seguiti da bengalesi (13%), nepalesi (13%), egiziani (9%) e filippini (7%).

Per decenni le condizioni vessatorie a cui erano sottoposti i lavoratori immigrati in Qatar non hanno ricevuto particolare attenzione a livello internazionale, e l’agenda politica di diverse organizzazioni internazionali ha spesso trascurato il dibattito sull’attuazione di politiche efficaci a protezione dei lavoratori sfruttati. Tuttavia, la situazione è cambiata dopo il dicembre 2010, quando la Fédération Internationale de Football Association (Fifa) ha assegnato al Qatar l’organizzazione della Coppa del Mondo 2022. Da allora, il controllo internazionale è cresciuto in modo esponenziale a seguito dei contratti multimiliardari per la costruzione di impianti e infrastrutture legati alla Coppa del Mondo. Infatti, non solo questo evento sportivo mondiale ha richiesto la realizzazione da zero di sette nuovi stadi, ma ha anche implicato la realizzazione di progetti infrastrutturali paralleli, come la metropolitana di Doha e l’aeroporto internazionale Hawad, costati rispettivamente 36 e 16 miliardi di dollari. A causa di questa vera e propria febbre edilizia, il numero di lavoratori stranieri impiegati nel settore edilizio in Qatar è aumentato da circa 500.000 a quasi 800.000 unità tra il 2010 e il 2015.

La crescente attenzione internazionale alle condizioni dei lavoratori edili ha costretto le autorità qatariote ad intraprendere processi di riforma graduali volti a migliorare gli standard di lavoro per i lavoratori immigrati nel paese.

A questo proposito, il primo passo è stato fatto sotto l’iniziativa del Madlsa con l’introduzione della nuova normativa: il Wage Protection System (Sistema di protezione dei salari, Wps), entrato in vigore il 18 febbraio 2015 ai sensi della legge n. 1 del 2015. Secondo l’art. 1 del decreto ministeriale 4/2015, “l’obiettivo del programma è quello di garantire che i datori di lavoro abbiano l’obbligo di pagare i salari dei lavoratori riconosciuti ai sensi del Codice del lavoro entro i termini prescritti, conformemente ai loro contratti e alle norme in vigore nello Stato”

La riforma affronta due questioni: il mancato pagamento dei lavoratori e le controversie salariali tra i datori di lavoro e i loro dipendenti. Il Wps affronta questi problemi obbligando tutti i datori di lavoro disciplinati dalla legislazione del lavoro a pagare in riyal i salari dei loro dipendenti attraverso versamenti su banche del Qatar entro sette giorni dalla data di scadenza. Grazie a questa procedura il pagamento dei salari è controllato da un’unità speciale istituita nell’ambito del Wps, il cui compito è quello di verificare la conformità dei salari alla legislazione in vigore. Il duplice merito del Wps, perciò, consiste non solo nel fatto che obbliga i datori di lavoro a pagare gli stipendi direttamente sul conto bancario del dipendente, ma anche a rispettare le scadenze di pagamento.

Tuttavia, anche se oltre 1.660.000 dei 1.710.000 lavoratori abilitati sono registrati nel Wps, le pratiche di abuso salariale sono ancora eccessivamente frequenti per cinque principali motivi. In primo luogo, non tutte le imprese e i lavoratori del Qatar sono iscritti al Wps. Infatti, alcune specifiche categorie vulnerabili – come i migranti impiegati in lavori domestici o agricoli – non sono regolamentate dalla legge sul lavoro, e quindi sono escluse dal Wps. In secondo luogo, le procedure operative del Wps non sono in grado di rilevare alcuni tipi di abuso salariale, come i pagamenti inferiori al dovuto o il mancato pagamento delle ore di straordinario. In terzo luogo, le sanzioni per inosservanza non sono sufficientemente pesanti da rappresentare un deterrente sufficiente a scoraggiare le violazioni dei datori di lavoro. Infatti, le sanzioni previste sono una pena detentiva massima di un anno e una multa tra 2.000 e 10.000 Ryiad (Qr) (549 e 2.746 Usd, rispettivamente). In quarto luogo, non è raro il caso in cui i datori di lavoro impediscono ai lavoratori immigrati di ritirare i loro stipendi dagli sportelli bancomat trattenendo le carte di debito dei dipendenti. Infine, l’unità Wps non ha personale sufficiente a smaltire l’enorme quantità di lavoro che deve affrontare. Pertanto, i lavoratori che non hanno ricevuto lo stipendio per mesi possono dover sopportare ulteriori ritardi prima che le loro pratiche siano prese in considerazione.

Inoltre, sebbene la legge n. 21 del 2015 mirasse ad abolire il sistema della kafala, ha portato soltanto a una riforma di facciata. Infatti, ha sostituito solo il termine “sponsor” e “sponsorizzazione” con “reclutatore” e “responsabilità”, senza affrontare lo sproporzionato potere di controllo del datore di lavoro sul dipendente.

Tuttavia, onde evitare possibili malintesi sull’idea di sponsorizzazione, è importante sottolineare che il concetto – inteso come meccanismo per gestire l’ingresso regolare di uno straniero in uno stato – non è necessariamente uno strumento di sfruttamento. Infatti, grazie all’Immigration Act del 1976, il governo canadese ha istituito un quadro giuridico che consente ai privati cittadini di sponsorizzare l’ingresso dei rifugiati nel paese. La politica è nota come Private Sponsorship of Refugees (Programma di sponsorizzazione privata dei rifugiati, PSR). Punto di forza di questa pratica sono i metodi di selezione degli sponsor, ben strutturati e altamente regolamentati, che devono aderire a standard elevati. Inoltre, non solo i doveri dello sponsor sono ben definiti, ma viene anche controllata e testata in anticipo anche la loro capacità di adempiere efficacemente agli obblighi nei confronti della persona sponsorizzata. Il concetto di sponsorizzazione può rappresentare uno strumento valido, laddove sia accompagnato da una chiara definizione dei doveri dello sponsor e da meccanismi di monitoraggio efficaci.

Per quanto riguarda il Qatar, il percorso delle riforme ha registrato una significativa accelerazione in seguito alla decisione di stabilire un accordo di cooperazione tecnica con l’Organizzazione internazionale del lavoro (International Labour Organization, ILO) nell’ottobre 2017. A questo proposito, la nuova partnership Ilo-Qatar ha permesso di raggiungere tre principali risultati nel 2018. In primo luogo, è stata modificata la legge sulla residenza ed è stato abolito il permesso di uscita. In questo modo, i lavoratori stranieri coperti dalla legge sul lavoro n. 14 del 2004 non sono stati più tenuti a presentare il permesso del datore di lavoro al momento di lasciare temporaneamente o permanentemente il paese. In secondo luogo, è stato istituito un nuovo meccanismo, quello delle Labour Dispute Resolution Committees (Commissioni per la risoluzione delle controversie sul lavoro, Ldrc), allo scopo sia di accelerare la risoluzione delle controversie sul lavoro, sia di risolvere i contenziosi con decisioni a carattere esecutivo. Infine, le autorità del Qatar hanno creato il Fondo per il supporto e l’assicurazione del lavoro (Work Support and Insurance Fund, WS&IF), che mira a fornire sgravi finanziari ai lavoratori che abbiano vinto una causa di lavoro presso una LDRC, proteggendoli dalle conseguenze negative dei salari non pagati o pagati in ritardo.

Una via d’uscita è possibile?

A fine agosto del 2020 le autorità del Qatar hanno annunciato l’attuazione di due riforme radicali: l’introduzione di un salario minimo per tutti i lavoratori, indipendentemente dal settore di occupazione e della loro nazionalità, e dall’abolizione della clausola detta “no objection certificate”.

Secondo la legge n. 17 del 2020 intitolata “Calcolo del salario minimo per operai e lavoratori domestici”, tutti i nuovi contratti in Qatar dovranno garantire una retribuzione mensile minima pari a 1000 Qr (274 Usd), mentre ai contratti precedenti è stato concesso un periodo di transizione di sei mesi per adattarsi al nuovo regolamento. Inoltre, nei casi in cui il datore di lavoro non fornisca vitto e alloggio al dipendente dovrà garantirgli un’indennità di alloggio e una per i bisogni primari, per un importo mensile di 500 Qr (137 Usd) e 300 Qr (82 Usd), rispettivamente.

Inoltre, la legge n. 18 del 2020 e la legge n. 19 del 2020 hanno eliminato la clausola Noc, garantendo maggiore flessibilità alla mobilità del lavoro dei lavoratori migranti, che ora possono cambiare datore di lavoro prima della fine del contratto. Unica condizione è quella di fornire al datore di lavoro un preavviso scritto, di un mese durante i primi due anni di contratto, e di due mesi dal secondo anno in poi. Inoltre, i lavoratori immigrati hanno ora la possibilità di cambiare posto di lavoro durante il periodo di prova, nel corso dei primi sei mesi di residenza in Qatar; in questo caso, il nuovo datore di lavoro rimborserà le spese di assunzione al datore di lavoro precedente. Questa misura rappresenta un risultato significativo, perché implica che i costi di transazione per cambiare lavoro non sono più sulle spalle dei migranti e che, al contrario, diventano soltanto una questione civile tra i due datori di lavoro.

Tuttavia, anche se queste riforme rappresentano indubbiamente un successo per la protezione dei lavoratori migranti, diverse questioni critiche restano in gran parte irrisolte, come delineato nel rapporto di Amnesty International intitolato “I have worked hard. I deserve to be paid” (“Ho lavorato sodo – merito di essere pagato”) pubblicato nel giugno 2020, e in quel di Human Rights Watch “How Can We Work Without Wages?” (“Come possiamo lavorare senza salari?”), entrambi sugli abusi subiti dai lavoratori immigrati impiegati nei mega progetti di costruzione per la Coppa del Mondo Fifa 2022 in Qatar. Entrambi i rapporti evidenziano che, nonostante il fatto che il Qatar abbia adottato diversi meccanismi – come il Wps, il Ldrc e il Ws&if – per tutelare le condizioni di lavoro dei migranti, i lavoratori subiscono ancora forti abusi sul lavoro.

Infatti, i lavoratori stranieri impiegati nel settore delle costruzioni sono i più soggetti ad abusi come il mancato o il ritardato pagamento del salario. Ciò è dovuto al fatto che diverse società adottano la clausola detta “pay when paid”, una condizione che consente a un’impresa subappaltatrice di pagare gli stipendi solo quando viene pagata dall’impresa appaltante. Come risultato di questo sistema, i lavoratori si trovano ad affrontare notevoli difficoltà vedendo i loro salari potenzialmente ritardati per mesi.

Inoltre, è dimostrato che i lavoratori migranti di solito si indebitano nei loro paesi d’origine per assicurarsi quello che le agenzie di reclutamento locali presentano come un lavoro di prima classe in un ricco paese straniero”. Inoltre, anche se la pratica è vietata dalla legge del Qatar, i datori di lavoro non sono insoliti imporre ai loro dipendenti arbitrariamente la deduzione dello stipendio per recuperare le tasse di assunzione versate alle agenzie di collocamento locali, che si stima vadano da 693 a 2.613 Usd. Pertanto, i migranti si ritrovano intrappolati in un circolo vizioso di debiti.

Se è vero che le nuove norme attuate in Qatar costituiscono un progresso significativo verso il miglioramento delle condizioni di lavoro degli immigrati, è innegabile che gli strumenti di sorveglianza del governo spesso falliscono quando vengono chiamati a rilevare e rimediare agli abusi salariali. Pertanto, per liberare definitivamente i lavoratori migranti da un sistema basato sulla precarietà, la vulnerabilità e lo sfruttamento, e per garantire loro un miglioramento sostanziale, il governo del Qatar deve concentrarsi principalmente su due casi: in primo luogo, dovrà responsabilizzare le comunità dei lavoratori migranti e includerli attivamente nel processo di riforma; in secondo luogo, dovrà rafforzare e rendere più rigorosi i già esistenti meccanismi di monitoraggio e applicazione della normativa.

Dopo lo scoppio della pandemia di Covid-19 le severe restrizioni imposte dal blocco hanno esposto i lavoratori migranti a un numero crescente di minacce. Infatti, gli espatriati spesso lavorano a stretto contatto con i loro colleghi e vivono in dormitori sovraffollati con scarso accesso all’acqua corrente e all’elettricità. Pertanto, vista l’ impossibilità di garantire il distanziamento sociale e l’accesso ai mezzi igienico-sanitari, i lavoratori immigrati sono quelli che maggiormente hanno subito l’impatto della pandemia. Infatti, una ricerca medico-scientifica ha evidenziato che più della metà di quelli trovati infetti fino a luglio proveniva principalmente da tre comunità di migranti: indiani, nepalesi e bengalesi, che rappresentavano rispettivamente il 30%, il 18% e il 14% del totale delle persone infette.

Inoltre, la crisi economica ha danneggiato drammaticamente la capacità dei migranti di lavorare e guadagnarsi da vivere. Molte compagnie hanno sospeso il pagamento dei salari, confinando i propri dipendenti in campi di lavoro o di detenzione come l’Area industriale, Barwa City o la Città del lavoro di Doha, oppure costringendoli a rimpatri arbitrari, come documentato da Amnesty International nel caso di un centinaio di lavoratori nepalesi deportati a metà marzo. In sintesi, i lavoratori immigrati si sono trovati intrappolati in condizioni di vita e di lavoro sempre più miserevoli.

A questo proposito, fino a quando la pandemia rappresenterà una minaccia costante per la vita quotidiana dei lavoratori espatriati, il governo del Qatar dovrà proteggerne le vulnerabilità, garantendo loro il regolare pagamento degli stipendi e dei giorni di malattia, così come un pieno e non indiscriminato accesso al sistema sanitario.

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Foto Credits: Alex Sergeev (www.asergeev.com)
Migrant workers in West Bay Doha
Migrant workers and shops on Al Mansoura Street in the Najma district of Doha
Sewage outlet on Doha Corniche
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