Giordania Opinioni

La Giordania tra complessità e resilienza: la crisi dei rifugiati siriani e oltre

Alshoubaki Wa’ed

La Giordania è uno stato dell’Asia occidentale e la sua posizione nel cuore del Medio Oriente la espone in modo particolare alle ripercussioni della continua instabilità regionale. Nel corso dell’ultimo secolo quest’area è stata teatro di una serie di guerre internazionali e civili, fino all’odierna guerra civile siriana. A causa di questi sanguinosi conflitti negli stati limitrofi, la Giordania ospita oggi una vasta popolazione di rifugiati, che comprende palestinesi, iracheni, yemeniti e siriani. Dall’inizio del conflitto siriano, risalente a circa dieci anni fa, la Giordania ha accolto circa 1,2 milioni di siriani, l’84% dei quali vive al di fuori dei campi e si concentra nelle regioni settentrionali e centrali del regno. Il paese ospita anche i più grandi campi profughi siriani al mondo (UNHCR, 2019).

A causa dell’accresciuta competizione per le scarse risorse, per le infrastrutture e per l’accesso a un mercato del lavoro molto limitato, l’improvviso e massiccio afflusso di rifugiati siriani ha esercitato una forte pressione demografica, che ha richiesto l’intervento del governo per rispondere alle loro necessità, alla ricerca di un equilibrio tra i rifugiati e le fragili comunità ospitanti. Durante la crisi, il governo giordano ha attuato varie politiche per affrontare sia queste realtà e gli effetti politici della guerra civile siriana, sia le ripercussioni delle caotiche condizioni in Iraq e Siria, soprattutto dopo la comparsa dell’ISIS nella regione.

Dal punto di vista politico, al culmine della crisi e a seguito dell’apertura delle frontiere per facilitare l’accesso dei rifugiati siriani – dopo aver eliminato l’obbligo del visto per i siriani in fuga dalle loro case in cerca di sicurezza e protezione – il rapporto tra il regime di Assad e il governo di Amman ha conosciuto momenti di grande tensione, che tuttavia è andata successivamente diminuendo. Ciò è avvenuto grazie all’impegno del governo giordano nel sostenere il rimpatrio volontario dei siriani e al suo atteggiamento favorevole verso il processo di pacificazione e la fine delle ostilità in Siria. Il conflitto siriano e la diffusione del radicalismo hanno imposto ad Amman di adottare anche misure militari, dovendo affrontare le sfide alla sicurezza e fornire al tempo stesso assistenza umanitaria ai siriani. La popolazione giordana ha dato vita a ripetute manifestazioni di protesta contro l’aumento dei prezzi, la mancanza di opportunità di lavoro e lo spostamento di fondi del programma di equità sociale contestualmente all’accoglienza dei rifugiati siriani – un fenomeno che ha indotto gli analisti a prevedere possibili ricadute. Il governo affrontato queste tensioni con tolleranza, con la formulazione di riforme economiche a lungo termine, e con politiche per la prevenzione della penetrazione del radicalismo in Giordania e il contenimento dei jihadisti locali attraverso meccanismi di cooptazione (Nesser e Graturd, 2019).

Dal punto di vista economico, la struttura dell’economia giordana la rende più vulnerabile alle crisi politiche e umanitarie, quali quelle generate dalla crisi siriana. Il massiccio afflusso di rifugiati siriani ha incrementato la domanda di servizi pubblici – istruzione, assistenza sanitaria e altri programmi sociali – che ha comportato un aumento della spesa pubblica associato a un incremento del debito pubblico in un paese con scarse risorse. A titolo illustrativo, durante la crisi siriana il debito pubblico è salito fino a raggiungere il 94,4% del PIL stimato. Inoltre, sulla bilancia commerciale della Giordania ha pesato la chiusura del confine con la Siria, a seguito di un pesante bombardamento in cui nel giugno 2016 rimasero uccisi alcuni soldati giordani e un ufficiale della protezione civile, al confine di Alrkuban (Sweis, 2016). La variazione percentuale annua delle esportazioni e delle importazioni con la Siria ha dimostrato una notevole diminuzione di entrambe; il commercio estero con l’Europa e la Turchia si è interrotto a causa della chiusura delle principali rotte commerciali, facendo lievitare i costi di trasporto e rendendo necessaria l’adozione di rotte commerciali alternative, fino all’ottobre 2018, quando il governo ha riaperto il confine di Nassib.

L’elevato afflusso di rifugiati siriani ha esercitato una forte pressione sulle opportunità di lavoro nel paese, già afflitto da un’alta disoccupazione; di conseguenza, il tasso di disoccupazione, che era del 12,2% nel 2012, ha raggiunto il 19,2% nel 2019. Il governo di Amman ha firmato il Jordan Compact in occasione della Conferenza di alto livello di Londra nel 2016, nel tentativo di migliorare la gestione della crisi siriana fornendo un’assistenza adeguata sia ai rifugiati che alle vulnerabili comunità ospitanti, trasformando la fragilità economica in un’opportunità di crescita attraverso investimenti internazionali e la creazione di posti di lavoro (Barbelet et al., 2018). Secondo il governo giordano, il patto mirava a garantire sussidi pluriennali e prestiti a lungo termine, impegnando 700 milioni di dollari nei primi e 1,9 miliardi di dollari nei secondi. Per quanto riguarda l’accesso formale al mercato del lavoro, la Giordania si impegnava a rilasciare 200.000 permessi di lavoro a rifugiati siriani in settori specifici (governo della Giordania, 2016).

Vale la pena ricordare che prima del Jordan Compact i rifugiati siriani accedevano al mercato del lavoro giordano come migranti, sostenendo notevoli costi per ottenere il permesso di lavoro, oppure trovavano occupazione nel settore informale. La formalizzazione del Compact doveva migliorare l’accesso al mercato e le condizioni di lavoro dei rifugiati siriani, senza influire negativamente sulle possibilità di occupazione della popolazione giordana grazie alla creazione di nuovi posti di lavoro.

Per quanto riguarda le condizioni socioeconomiche, la Giordania è afflitta da un’alta povertà e dalla disuguaglianza sociale: nel 2018 l’indice Gini del paese era del 40%, rispetto al 33,7% del 2010, e le elevate tasse sui redditi e il continuo aumento dei prezzi hanno ovviamente aggravato questa situazione. A questo si aggiungano il continuo disavanzo di bilancio e il rigoroso programma dell’FMI, associato a riforme condizionali per stimolare la crescita e lo sviluppo. Dal 2017 anche gli Stati Uniti hanno ridotto i programmi di assistenza, compreso il Programma di aiuti economici ad altre nazioni.

Inoltre la Giordania ha limitate risorse naturali: il 75% della sua superficie è desertica e non adatta all’agricoltura. Non è questo il solo punto debole, visto che è anche il secondo paese più povero di risorse idriche. Di conseguenza, l’aumento della domanda di acqua causato dalla crisi dei rifugiati ha ridotto la quantità e la frequenza delle forniture idriche. La pressione demografica generata dall’afflusso di rifugiati siriani ha aumentato il fabbisogno di energia, che per il 97% è importata. Come riferito dal Ministero giordano della pianificazione e della cooperazione internazionale, la pressione demografica ha aumentato il consumo di elettricità, il degrado del suolo e lo smaltimento di rifiuti sanitari.

In effetti, le complesse ripercussioni della crisi siriana e l’allungamento dei tempi per le risposte necessarie hanno richiesto il sostegno internazionale per far fronte all’aggravarsi della situazione. Il governo giordano ha scelto diversi partner per affrontare le necessità dei rifugiati e delle comunità ospitanti, come Stati Uniti, Canada, Svizzera, Germania, Italia e Unione Europea. Vale la pena di sottolineare che il ruolo dell’Unione Europea negli sforzi volti a sviluppare la resilienza è dimostrato delle operazioni europee di protezione civile e di aiuto umanitario in Giordania. In sostanza, l’UE ha sostenuto la Giordania con circa 2,7 miliardi di euro per assistenza umanitaria, finanziaria e per lo sviluppo; l’aiuto umanitario ha raggiunto 375 milioni di euro, compresi gli aiuti in denaro, cibo, assistenza sanitaria, servizi igienico-sanitari, istruzione e sostegno psicosociale. Il sostegno umanitario dell’Unione copre i rifugiati siriani fuori dai campi, nonché quelli ospitati nei campi di Zaatari, di Azraq, in quello di confine di Rukban, come pure le fragili comunità ospitanti. L’UE ha avviato diversi programmi per rispondere alle necessità di donne e bambini e dei rifugiati con bisogni speciali, e per garantire un’istruzione di alta qualità e incoraggiare i bambini siriani a tornare a scuola.

Inoltre, l’UE ha collaborato con l’UNHCR per legalizzare la posizione dei rifugiati siriani privi di documenti d’identità, riconoscendo loro lo status di rifugiati e di richiedenti asilo. L’Unione Europea è impegnata al rispetto degli obblighi della Conferenza di Londra 2016 e della Conferenza di Bruxelles per far fronte alla crisi siriana. I risultati della Conferenza di Londra 2016 mirano a rafforzare le relazioni di cooperazione tra l’UE e la Giordania, e a migliorare le condizioni di vita dei rifugiati siriani e dei giordani più vulnerabili in termini di inclusione sociale, stimolando gli investimenti, la giustizia e le riforme politiche. Pertanto, l’impegno finanziario dell’Unione Europea è arrivato a 747 milioni di euro.

La dimensione geopolitica esercita costantemente un’enorme pressione sul governo giordano, come nel caso del recente piano di pace di Trump per risolvere il conflitto israelo-palestinese. Il piano di Trump offre agli israeliani i maggiori benefici, chiedendo loro poche concessioni, e impone ai palestinesi i maggiori svantaggi. Pertanto, la Giordania lo ha respinto ed ha reiterato la sua ferma posizione a favore della soluzione a due stati, che prevede Gerusalemme est come capitale della Palestina. La posizione del regno deriva dalla preoccupazione per la potenziale minaccia alla sicurezza nazionale della Giordania, l’insediamento permanente di rifugiati palestinesi negli stati di accoglienza e il riconoscimento della sovranità di Israele su oltre il 30% della Cisgiordania, compresa la Valle del Giordano. La tensione giordano-israeliana generata dal piano di Trump avrà un impatto negativo sulle relazioni con gli Stati Uniti per effetto dell’opposizione giordana all’annessione degli insediamenti e al non riconoscimento del diritto dei palestinesi al rientro e alla creazione di un loro stato. Il governo giordano ha già previsto la possibile indignazione causata dell’annessione e ha espresso esplicitamente le sue preoccupazioni, comprese quelle legate all’ipotesi di insediamento permanente di rifugiati in Giordania e la trasformazione del regno in uno stato alternativo per i palestinesi, nonché l’annessione definitiva della Cisgiordania e della Valle del Giordano.

Oggi la Giordania e il mondo sono esposti al Covid-19, un rischio biologico che ha richiesto misure senza precedenti per salvaguardare la vita delle persone. Dal primo caso confermato di Covid-19, la Giordania ha annunciato una serie di ordinanze di contenimento e ha imposto un lockdown completo. Queste restrizioni rallenteranno la crescita economica e avranno un impatto negativo sui gruppi più vulnerabili ed emarginati. Secondo le previsioni del FMI del 14 aprile 2020 la crescita del PIL dovrebbe scendere al -3,7%.

Per quanto riguarda la situazione dei rifugiati siriani in Giordania rispetto al Covid-19, in un’intervista rilasciata a CBS News re Abdullah II ha affermato che siriani e giordani vengono ugualmente protetti contro il Covid-19. Sia i siriani che i giordani sono sottoposti a test fuori e dentro i campi profughi, che sono piuttosto affollati, per cui i continui test assicurano un migliore contenimento del virus. Il sovrano ha confermato che il gran numero di rifugiati in Giordania rappresenta un’ulteriore sfida per il governo, ma anche che la protezione delle persone è fondamentale, e che oggi viene data massima priorità alla collaborazione globale per rispondere al potenziale ritorno del virus.

Nel complesso, le turbolenze della regione mediorientale, la fornitura di assistenza umanitaria ai profughi e la creazione di migliori condizioni di vita sia per i rifugiati che per le comunità ospitanti hanno esercitato una forte pressione sulla sostenibilità delle risorse del governo giordano. La diffusione del Covid-19 ha ostacolato le riforme del governo, ha prodotto una crisi senza precedenti da gestire, e ha sollevato incertezze sulla fase di ripresa successiva alla pandemia, soprattutto se si considera che secondo gli economisti si profila all’orizzonte una grande recessione e che gli alleati della Giordania – come gli Stati Uniti e l’Unione Europea, che sono stati maggiormente colpiti dalla pandemia – ridurranno le loro sovvenzioni.

In altre parole, la Giordania è un piccolo stato con scarse risorse e una lenta crescita economica, e la sua posizione geopolitica contribuisce alla sua fragilità economica, ostacolando il suo programma di sviluppo. Tuttavia, la Giordania ha dimostrato capacità di recupero e determinazione nel fare fronte alle proprie responsabilità e convertire le sfide in opportunità, riuscendo ad affrontare le costrizioni del suo ambiente interno e le complesse ripercussioni degli eventi negli stati limitrofi.

Foto Credits: Zaatari refugee:  camp, Jordan” (CC BY-ND 2.0) by Foreign and Commonwealth Office

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