Cile Opinioni

Il Cile in piazza. I cileni voteranno per una nuova costituzione

Zanotti Livio

C’è un irreversibile capovolgimento della percezione di sé nei cileni recentemente insorti durante la loro primavera australe, solo in apparenza sbocciata all’improvviso dallo smog che aleggia sulla capitale, inscatolata nella bonaccia di stagione. I giorni della furia dei facinorosi sono anche quelli dell’allegria di massa, che ritrova parole e musiche mai dimenticate con cui accompagnare la dichiarata volontà di ottenere una nuova Costituzione e celebrarne il trionfo. Gli uni e gli altri risoluti a non voler più subire passivamente un ordine sociale iniquo, per il timore a non potersi più riflettere nell’immagine, rassicurante e consolidata, di cittadini più disciplinati e lavoratori più competitivi del subcontinente. Considerano un residuo ormai estraneo il Cile gerarchizzato nell’anima, un’eccezione rispetto alle turbolenze dell’America Latina. A prevalere oggi è la rivalsa delle ingrate verità quotidiane sul quieto vivere, ormai finito in corto circuito. La buona politica non è necessariamente un’utopia.

Dei trentamila giovani che il 18 ottobre, primo giorno dell’insurrezione, rovesciano nelle strade la loro rabbia contro il caro-vita, sono in trecento a saccheggiare e incendiare supermercati e stazioni di benzina, simboli dell’aumento del prezzo dei trasporti che ha acceso la rivolta. Assommano ad almeno un milione e trecentomila (concordano Municipalità, Carabineros e testimonianze fotografiche) i manifestanti che tre giorni dopo avvolgono, inquieti ma pacifici, il centro di Santiago, dalla Vicuña Mackenna e dalla Universidad de Chile all’Alameda, dalla stazione Mapocho lungo la Costanera giù fino a piazza Italia. Studenti e docenti, minatori della mitica Chuquicamata, impiegati in giacca e cravatta, donne d’ogni età, allevatori di salmoni (che alimentano una delle prime voci dell’export nazionale), pensionati. Tutti avvolti nel turbinio di un unico, assordante concerto che invoca il futuro rievocando gli assenti con note e versi che scandiscono la memoria collettiva: Victor Jara e Pablo Neruda, Salvador Allende, Gabriela Mistral, gli Inti-Illimani…

Non una sola bandiera di partito. La memoria è selettiva, solo qualche sentimentalismo avvolge la protesta con la delicatezza di un velo. Lo spontaneismo del movimento e qualche sua trasversalità ne segnalano gli umori profondi. Sebastian Piñera, uno degli uomini più ricchi del paese, presidente dell’attuale governo neoliberista, rieletto nel marzo 2018 e già capo dello stato dal 2010 al 2014, viene indicato da canti, slogan e cartelli come il nemico dei più e l’avversario di tutti, l’uomo da sconfiggere. Nessuna accusa esplicita alle coalizioni di centrosinistra che hanno governato per ben 23 dei 29 anni trascorsi dalla cacciata del dittatore Pinochet: viene dato per inteso che lo hanno fatto in condizioni di sovranità limitata. Ma un’ostentata estraneità è la muta critica all’insufficiente determinazione con cui i governi che si sono succeduti avrebbero fronteggiato le iniquità, le lesioni dello stato di diritto contenute nella Costituzione ereditata dalla dittatura, come i numerosi e cospicui privilegi riservati alle forze armate, dall’autonomia delle spese militari alle pensioni speciali con amministrazione segreta (ma garantite dalle esportazioni del rame).

La Costituzione, che in quanto legge fondamentale dello Stato dovrebbe essere condivisa, se non dalla totalità, almeno dalla stragrande maggioranza dei cittadini, in Cile è nata come atto di estremo imperio di una minoranza armata (sancita come tale dalla vittoria del “No” alla dittatura militare nel referendum del 1988, la prima consultazione popolare 15 anni dopo il colpo di stato). E la sua storia rimanda gli odi e le violenze di queste ultime settimane a quelli più efferati del periodo dittatoriale. La repressione, che oggi si è abbattuta sulle manifestazioni pacifiche come sugli episodi di teppismo, è stata violentissima. Il bilancio parla di 21 morti, in gran parte a seguito delle scariche di sfere plastificate sparate da carabineros e dai reparti speciali dell’esercito ad altezza del volto, e di 146 persone che per la stessa ragione hanno perduto uno o entrambi gli occhi. Sono state denunciate decine di violenze sessuali, oltraggi aberranti, arresti arbitrari, torture. L’odio della vendetta e il desiderio di cancellare l’altro (come suggeriscono Aristotele e Sartre) hanno prevalso sulla necessità di ristabilire, sia pur con rigore, l’ordine.

Il primo degli 8 ministri che Piñera ha dovuto sostituire, nella speranza di svelenire la piazza, è stato quello degli Interni, Andrès Chadwick, un suo fedelissimo da sempre e il più vistoso dei legami col passato regime di Pinochet, già seguace e stretto collaboratore del giurista Jaime Guzmán, celebrato intellettuale dell’integralismo cattolico-nazionalista e autore di spicco della Costituzione del 1980. Il credo corporativo di Guzmán, la sua strenua difesa della pena di morte e la vicinanza ai terroristi di Patria y Libertàd (che all’indomani dell’elezione di Salvador Allende uccisero il comandante in capo dell’Esercito, il generale René Schneider, di simpatie progressiste) lo avevano reso allo stesso tempo il beniamino dei militari golpisti e un simbolo da distruggere per i guerriglieri leninisti del Frente Patriotico Manuel Rodriguez, che lo assassinarono nel 1991, in coincidenza con la denuncia dei crimini commessi dalla dittatura militare fatta dal governo democratico di Patricio Aylwin, il leader democristiano insediatosi nel frattempo al palazzo de La Moneda.

La Costituzione è alla base del modello neoliberista cileno e delle disuguaglianze sociali che ne sono derivate, e rappresenta l’origine giuridico-ideologica dello Stato minimo, sussidiario dell’economia privatizzata e sostanziale motivo delle attuali proteste di massa. Lo Stato interviene soltanto dove il privato non è presente. Nella scuola privatizzata è garantita la libertà d’insegnamento, non l’accesso all’istruzione. I nuovi istituti privati vengono finanziati sulla base del numero degli alunni, e quando questi non sono sufficienti a giustificare i costi devono intervenire i genitori pagando una quota parte. E’ ciò che accade nell’enorme maggioranza dei municipi, ai quali è demandata l’amministrazione delle scuole primarie e secondarie. L’alto livello di scolarizzazione cileno finisce per gravare quindi sulle singole ed esili economie familiari.

Criteri analoghi reggono la sanità e il sistema pensionistico. Quest’ultimo è gestito da fondi privati (Administradoras de Fondos de Pensiones, AFP) che – unici al mondo – godono di protezione costituzionale. In passato hanno subìto rovesci rovinosi che hanno coinvolto l’intera economia nazionale, costringendo lo Stato a intervenire. Ora il sistema previdenziale è pressato da un crescente contenzioso giudiziario, altro sintomo delle tensioni che esasperano il paese. I contributi ai fondi pensioni sono obbligatori e le eventuali interruzioni dovute a ragioni di forza maggiore non costituiscono motivo per la restituzione delle quote versate. Ma la quantità di contribuenti che invece la richiedono, e che di fronte al rifiuto dei Fondi si rivolgono ai tribunali, è diventata imponente. Per la prima volta, un giudice della città di Antofagasta ha ammesso l’eccezionalità del caso di un lavoratore deciso a destinare i propri risparmi alle cure della moglie malata e ai figli studenti, riconoscendogli pertanto il diritto a riavere indietro il capitale accumulato. L’ultima parola spetta però alla Corte Costituzionale.

La Costituzione è vista dunque oggi dalla maggioranza dei cileni come l’Alcazar del sistema d’interessi creato dalla dittatura militare che, a decenni dalla sua scomparsa, ancora li protegge . Le correzioni chi vi hanno apportato da allora i governi democratici l’hanno scalfita a più riprese, senza tuttavia poter intervenire sulla struttura, sulla sua logica. «E’ il meglio di ciò che ci è stato possibile fare», disse trent’anni fa l’allora presidente Ricardo Lagos, all’indomani di una delle numerose riforme costituzionali. Parole di una correttezza politica ineccepibile, anche nella sua allusività alla politica come arte del possibile (a marcare il limite del possibile c’erano le baionette: in virtù di quella Costituzione, Pinochet era ancora il comandante in capo delle Forze Armate). Il realismo del socialista fabiano Lagos non era tuttavia interamente condiviso neppure tra i suoi colleghi giuristi, alcuni dei quali insistevano sulla necessità di spingersi più avanti.

«E’ inconcepibile che nel terzo millennio i diritti alla salute, all’accesso all’acqua, alla titolarità dei sindacati, all’aborto, alle pensioni siano predeterminati in negativo dalla Costituzione», ripetono da una decina d’anni il gruppo di docenti che con il costituzionalista Fernando Atria hanno pubblicato “L’altro modello”, un’analisi storico-giuridica profonda ed esauriente, tanto da risultare quasi un manuale per distruggere quello esistente. La situazione appare matura. La piazza non si ferma, l’effervescenza scatenata dai primi manifestanti un mese addietro ha messo in movimento il paese intero. Unanimi, i sondaggi dicono adesso che l’80/90 per cento dei cileni rifiuta ulteriori aggiustamenti: vuole una Costituzione nuova di zecca. Il contesto sudamericano suggerisce cautela anche ai più renitenti difensori dello status quo.

Lo ha compreso anche la destra del presidente Piñera e di Renovación Nacional – il suo partito -, che in poche settimane sono passati dal dichiararsi in guerra con i manifestanti scesi a contestarli nelle strade a convenire con tutti gli altri partiti dell’urgente necessità di una nuova Costituzione. Un plebiscito nazionale eleggerà i padri costituenti nel prossimo aprile. Diritti umani e diritti civili, lavoro, salute, educazione, pensioni, prerogative dei popoli originari, beni pubblici saranno al centro del loro lavoro legislativo. Più o meno entro nove mesi/un anno, 15 milioni circa di votanti ne decideranno l’approvazione o meno. Sebastian Piñera ha buone probabilità di convertirsi nel primo capo di stato della storia cilena a formulare pacificamente con tutto il paese una Magna Charta nazionale, democratica e moderna. Le precedenti del 1833, del 1925 e questa in vigore sono infatti scaturite da sanguinosi conflitti, ben più tragici dei giorni vissuti nelle ultime settimane. Il Cile già fa storia.

 

Foto Credits: Carlos Figueroa [CC BY-SA 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0)]