Brasile Opinioni

La pressione della soia lungo la frontiera agricola con l’Amazzonia brasiliana

Apollo Simone

C’è una cosa che accomuna il pollo del supermercato, il salmone del ristorante giapponese e il tofu della dieta vegana: sono alimenti che, per finire pronti nel piatto dei consumatori, hanno bisogno di soia. Tanta soia.

La soia, il cui nome scientifico è Glycine max, è un vegetale della famiglia della Fabaceae. In pratica, è un piccolo legume originario dell’estremo Oriente, dove è coltivato da sempre, e oggi diffuso in ogni continente. La pianta è utilizzata nell’alimentazione umana, per quella degli animali di allevamento e trova anche altri usi industriali. La materia prima è commercializzata principalmente sotto forma di “fagioli”, crusca e olio.

Il consumo mondiale di soia è in rapida espansione e la coltivazione intensiva di questa materia prima è indicata dagli esperti come una delle cause della deforestazione nella regione amazzonica.

I motivi sono essenzialmente due. La crescita della domanda e l’area su cui insiste la produzione.

Il commercio di soia a livello mondiale ha registrato una crescita esponenziale. Basti pensare che un colosso come la Cina, che fino al 1993 ne era paese esportatore, oggi importa quasi duecento milioni di tonnellate di prodotto. Le coltivazioni di soia si sono estese in diversi paesi, dove il legume è prodotto prevalentemente come materia prima destinata all’esportazione. Sul mercato si sono imposti giganti che hanno a disposizione vasti territori da dedicare alla monocoltura intensiva e automatizzata: gli Stati Uniti, l’Argentina e il Brasile. Quest’ultimo è il principale paese della regione amazzonica e al suo interno si estende la più lunga frontiera agricola con la grande foresta sudamericana.

La fascia di terreno che “costeggia” il nucleo più intatto dell’Amazzonia, formando il cosiddetto arco della deforestazione, tocca sette dei nove stati brasiliani che costituiscono l’Amazzonia brasiliana: Pará, Maranhão, Tocantins, Amazonas, Mato Grosso, Rondônia e Acre. Si tratta di un’immensa area di transizione, un tempo interamente coperta di foresta, che oggi si caratterizza per l’avvicendarsi di lotti di terreno deforestati e zone ancora intatte. Via via che ci si allontana dal cuore della foresta, aumentano le zone dove gli alberi hanno lasciato il posto alle piantagioni.

È nella frontiera agricola che si concentrano i conflitti che vedono protagonisti, da un lato, latifondisti e multinazionali in cerca di profitti e, dall’altro, popolazioni indigene e comunità beneficiarie dei progetti di riforma agraria.

In quest’area il fenomeno della deforestazione illegale assume i contorni più evidenti.

È in quest’area che tanti attivisti per la tutela dell’ambiente, per un’economia in armonia con l’habitat naturale e per i diritti delle comunità tradizionali sono brutalmente assassinati.

Nonostante una moratoria, siglata nel 2006, frutto dell’intesa tra istituzioni, aziende e organizzazioni non governative, in quest’area tendono ad allargarsi le nuove piantagioni di soia, alimentando non solo il bestiame in giro per il mondo ma anche la pressione sulla foresta che, inesorabilmente, è costretta a indietreggiare.

Iniziata negli anni Settanta nelle zone interne del sud del paese, la coltivazione della soia in Brasile si è estesa dal Paraná fino agli stati centro-occidentali, ricchi di risorse idriche. L’incremento più impressionante si è osservato in Mato Grosso do Sul, dove la filiera del piccolo legume sta mettendo a rischio il delicato equilibrio dell’immensa pianura alluvionale del pantanal, e in Mato Grosso, dove la coltivazione industriale della soia sta contribuendo alla distruzione massiva (e mediaticamente meno discussa) di uno degli altri grandi biomi brasiliani – il cerrado, sorta di savana ricchissima in biodiversità nel quale, tra l’altro, la moratoria non vale.

Sospinte dalla retorica dello sviluppo agricolo e della modernizzazione e sostenute da ingenti incentivi pubblici elargiti sotto forma di costruzione di opere pubbliche (strade, idrovie, poli logistici e urbanizzazioni), le piantagioni di soia si sono diffuse sempre più: nel 1998 gli ettari coltivati erano tredici milioni, mentre oggi, d’accordo con le statistiche dell’EMBRAPA (Empresa Brasileira de Pesquisa Agropecuária), l’area piantata a soia sfiora i 36 milioni di ettari, frutta un raccolto di quasi 115 milioni di tonnellate e genera 40,9 miliardi di dollari di esportazioni.

Considerando che, secondo i dati più recenti della Banca Mondiale, il Brasile esporta beni e prodotti pari a circa 217 miliardi di dollari, si capisce quali siano la forza del settore e la sua capacità di lobbying.

Lo scenario futuro

Il futuro della soia in Brasile è legato a tre fattori economici, nel leggere i quali occorre tener presente i rischi di natura socio-ambientale.

Il primo elemento da considerare è molto semplice: la domanda di soia continua a crescere.

Il secondo elemento è il ruolo del Brasile come paese esportatore di commodities. Il Brasile punta ad accrescere nei prossimi anni il volume della propria produzione di soia. Tale aumento, tuttavia, sembrerebbe non poter avvenire aumentando la produttività – che è ormai vicina al suo limite massimo, ma richiederà un’estensione della superficie coltivata. Dal 1979 ad oggi la produttività per ettaro è passata da 1.251 kg a circa 3.300 kg: i dati su scala annuale mostrano negli ultimi anni una progressiva riduzione del tasso di crescita, sino a una sua sostanziale stabilizzazione dal 2019 ad oggi. Occorre inoltre tener conto del fatto che buona parte delle innovazioni che hanno contribuito all’aumento della produttività sono legate all’impiego di pesticidi come il glifosato e di sementi geneticamente modificate (il Brasile è la seconda nazione al mondo per estensione di terreni coltivati con sementi di questo tipo e la soia OGM è pari al 97% dello stock nazionale).

La stagnazione dei livelli di produttività fa sì che la tendenza sia verso la crescita della superficie coltivata sottraendo terreni ad altre tipologie di colture, alla foresta o ad aree interdette alla coltivazione perché deforestate illegalmente in precedenza. Controlli e divieti sono molto importanti, perché è già largamente dimostrato che una loro riduzione si traduce direttamente in uno stimolo aggiuntivo all’abbattimento della foresta, soprattutto nella fascia della frontiera agricola.

Il terzo elemento è costituito dalle politiche governative. L’attuale presidente è accusato da molte organizzazioni di voler indebolire le istituzioni pubbliche preposte alla tutela dell’ambiente e alle ispezioni sul campo per verificare il rispetto delle leggi: l’Istituto Brasiliano per l’Ambiente e le Risorse Naturali Rinnovabili (IBAMA) e l’Istituto Chico Mendes per la Conservazione della Biodiversità (ICMBio).

La soia è presente anche dove non ci si aspetterebbe di trovarla. Recentemente, è stato svelato come le principali aziende che riforniscono alcuni grandi allevamenti di salmone norvegese si siano rivolte a produttori brasiliani di soia coltivata illegalmente. A scoprire il triste retroscena di una filiera sulla carta lontana anni luce dalla realtà del Mato Grosso brasiliano, sono stati i controlli operati negli scorsi anni dall’IBAMA, che ha multato i produttori e posto sotto sequestro le piantagioni.

L’azione di controllo dell’Istituto è diffusa e capillare: è uno strumento rilevante e il braccio operativo con cui il Brasile sino a oggi ha limitato i danni all’ecosistema. Andrebbe rafforzato, eppure le scelte fatte nel 2019 dal governo brasiliano, che ha imposto tagli pesanti ai bilanci dell’IBAMA e dell’ICMBio (ridotti rispettivamente del 24% e del 20%), vanno in direzione opposta e stanno contribuendo alla ripresa dei tassi di deforestazione dell’Amazzonia.

Ridurre tali risorse vuol dire meno uomini sul campo a controllare, meno investimenti in tecnologia, meno mezzi per raggiungere luoghi remoti, meno sensibilizzazione e informazione di qualità. Vuol dire, al medesimo tempo, più impunità.

Per capire la gravità di un simile cambiamento di rotta, basta immergersi nel concreto con una qualsiasi ricerca nella banca dati che raccoglie le azioni intraprese dall’IBAMA e che hanno portato a procedimenti legali nei confronti di aziende agricole irrispettose delle regole. La piattaforma è pubblica ed è accessibile qui.

Nei municipi della frontiera agricola con l’Amazzonia, tra le infrazioni più diffuse si trovano le violazioni all’articolo 225 della Costituzione Federale del 1988 e quelle al Codice Forestale brasiliano (Lei N° 12.651 de 25 de maio de 2012). Il primo sancisce il diritto di tutti ad un “ambiente ecologicamente equilibrato” che va “preservato per le presenti e le future generazioni”; inoltre, indica specificamente la Foresta Amazzonica Brasiliana (e altri ecosistemi del paese) come “patrimonio nazionale” il cui utilizzo va fatto a norma di legge e nell’ambito di condizioni che ne assicurino la conservazione. L’altro tipo di violazione riguarda soprattutto il mancato rispetto del concetto di riserva legale. All’interno delle loro proprietà, i produttori agricoli degli stati dell’Amazônia Legal sono obbligati dal Codice Forestale brasiliano a non abbattere la vegetazione per più del 20% della superficie totale del terreno, nel caso del bioma amazzonico, e del 65% nel caso del bioma del cerrado. Controllare che tali regole siano rispettate, è uno dei compiti principali dell’IBAMA in terra amazzonica e, come facilmente constatabile nella banca dati, le infrazioni individuate non sono poche.

Si prenda l’esempio della mappa seguente:

Nova Ubiratã è un municipio a caso nella porzione matogrossense della frontiera agricola ed è uno dei comuni con l’indice di deforestazione più impressionante. Qui gran parte della foresta è andata perduta e, contemporaneamente, l’area destinata alle piantagioni di soia è cresciuta parecchio in breve tempo: secondo i dati dell’IBGE (Instituto Brasileiro de Geografia e Estatística), nel 2008 la soia copriva 230.000 ettari, il 18% del territorio municipale; con una crescita del 52% in dieci anni, nel 2018 gli ettari sono diventati 350.000, pari al 28% di tutto il municipio, che si trova a poca distanza dal prezioso Parco indigeno dello Xingu. La produttività, che è aumentata nello stesso periodo dell’11,5%, è già ben oltre la media nazionale, facendo presupporre che nuovi incrementi saranno sempre più ardui da ottenere. Parallelamente, l’IBAMA ha inserito nella lista trentasette infrazioni ai danni della foresta: la via più veloce verso l’aumento della produzione consiste nell’allargare le piantagioni.
La tendenza è comune a molti altri municipi della frontiera agricola e ridurre i fondi a un ente come l’IBAMA equivale a indebolire la lotta alla deforestazione del cerrado e dell’Amazzonia.
Oggi, il paesaggio delle tante Nova Ubiratã, che ridisegnano costantemente i confini con la grande foresta, è irrimediabilmente degradato. La foresta si trasforma in terreno da spremere, su cui cospargere pesticidi e da cui ottenere più raccolti: la soia transgenica la fa da regina, accelerando la tendenza al riscaldamento globale.

Ciò che, dal punto di vista economico, per i grandi coltivatori è un affare, ha un incalcolabile impatto negativo sull’ambiente (ecosistemi distrutti, biodiversità perduta, terreni impoveriti, acque contaminate); mette a rischio l’esistenza dei popoli indigeni, con conflitti a cavallo delle terre legalmente demarcate; penalizza le comunità agricole tradizionali (agricoltura familiare compromessa, episodi di lavoro schiavo, fenomeni migratori incontrollati, violenza, violazione dei diritti fondamentali, perdita dell’identità dei luoghi). Il tutto a fronte di un limitato impiego di manodopera. Nonostante il sito web dell’APROSOJA, l’associazione dei produttori di soia del Mato Grosso, metta in mostra numerosi progetti per la sostenibilità ambientale, sono questi i fenomeni che si registrano lungo la frontiera agricola con l’Amazzonia e che, al tempo stesso, sono causa e prodotto della deforestazione.
Il silenzio della foresta qui non è più infranto dal canto degli uccelli, come nei versi di Thiago de Mello, ma dai pistoni del trattore, mentre la trama della sua vegetazione non è più l’inestricabile intreccio dalle mille sfumature descritto da Ferreira de Castro, ma solo l’interminabile susseguirsi di filari dello stesso colore piantati nella terra tradita. L’Amazzonia da qui si è spostata per sempre.

Credits: INPE – Pubblicata su: https://amazoniareal.com.br/o-limiar-da-amazonia-e-as-ordens-de-sua-devastacao/ con licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale (CC BY 4.0) – https://creativecommons.org/licenses/by/4.0/deed.it.