Cambogia Editoriali

Perché le persone migrano? I fenomeni migratori tra mito e realtà

Chea Vatana

Molti ricercatori definiscono l’epoca attuale come l’“età della migrazione”. L’accelerazione del processo di globalizzazione e la crescente cooperazione internazionale hanno portato, negli ultimi decenni, a sempre più intensi flussi migratori sul piano globale.

Da una statistica delle Nazioni Unite del 2000 condotta su scala mondiale è emersa la presenza di circa 173 milioni di persone catalogabili come migranti, uno stock che è balzato a 258 milioni nel 2017. Si tratta, fra l’altro, di un dato che non considera il tasso di migrazioni interne, che risultano più facili rispetto a quelli internazionali grazie all’assenza di visti e permessi di lavoro e che, se considerati nel dato statistico, farebbero presumibilmente salire il calcolo del numero di migranti nel mondo.
Il processo migratorio non è una novità dei nostri tempi. Basti pensare agli spostamenti che hanno compiuto le popolazioni europee verso il “Nuovo Mondo”, ossia i continenti americano e australiano. Tuttavia, oggi si può parlare di una vera e propria migrazione di massa, favorita da una rete di trasporti più economica rispetto al passato e da una maggiore facilità di accesso ai mezzi di comunicazione.

Voi lettori potreste essere informati riguardo la situazione migratoria del vostro paese o potreste aver cambiato città o perfino Stato più volte nel corso della vostra vita. Ma vi siete mai chiesti quali siano le ragioni per le quali le persone decidano di emigrare?
Il buonsenso e il sentire comune suggeriscono che tra di esse vi siano la ricerca di maggiori opportunità economiche (salari più alti), della garanzia del rispetto delle libertà politiche, di migliori condizioni di vita e di lavoro nei paesi o nelle città di destinazione. Si tratta certamente di fattori importanti che, tuttavia, non esauriscono del tutto la spiegazione del fenomeno. Manca ancora qualcosa, infatti, per elaborare una riflessione generale sul perché le persone migrino. Le cause citate non spiegano, ad esempio, perché all’interno di un gruppo persone che abitano nello stesso paese e che vivono nelle medesime condizioni economiche, alcune decidano di migrare e molte altre no (no, non è soltanto perché qualcuno di loro non è bravo in matematica).
La migrazione è un fenomeno estremamente complesso e i motivi che spingono una persona o un gruppo di persone ad emigrare sono molteplici.
Vale la pena di esaminare qui alcuni dei luoghi comuni più diffusi sulle ragioni alla base del fenomeno migratorio.

  1. Lo sviluppo economico frena il fenomeno migratorio perché quando un paese è sviluppato le persone non hanno motivi di abbandonarlo

Questo è il primo mito da sfatare. La maggioranza delle persone crede che la povertà e i bassi livelli di sviluppo dei paesi del Terzo mondo siano gli unici fattori alla base della migrazione internazionale. Occorre notare, tuttavia, che paesi sviluppati come il Regno Unito e la Germania presentano sia alti tassi di immigrazione che elevati tassi di emigrazione.

Ovviamente, sarebbe ingenuo pensare che le disuguaglianze economiche globali non siano determinanti per spiegare i fenomeni migratori. Tuttavia, la decisione di lasciare il proprio villaggio, città o paese di origine è il frutto di una scelta consapevole, di un processo razionale e non casuale. Non tutte le persone povere, infatti, sarebbero disposte a lasciare la propria casa anche qualora ne avessero l’opportunità. Inoltre, incentivare lo sviluppo economico di una determinata area geografica e investire in infrastrutture potrebbe incitare, anziché scoraggiare, le persone a lasciarla.

  1. I migranti sono poveri e hanno un basso grado di scolarizzazione

Anche in questo caso, la situazione è più complessa. In primo luogo, occorre considerare che, dati gli alti costi di viaggio, vivere in una situazione di povertà estrema è un fattore di impedimento alla migrazione. In secondo luogo, persone con un tasso di scolarizzazione più alto potrebbero essere maggiormente disposte a migrare perché sarebbero più consapevoli delle opportunità che troverebbero altrove. Infine, è un grave errore pensare che chi vive nei paesi ricchi non emigri. Nella classifica dei quindici paesi dai quali provengono il maggior numero di stranieri residenti in altri paesi stilata nel 2017 figurano, tra gli altri, il Regno Unito, la Polonia e la Germania. Ciò significa che chi sceglie di emigrare non sempre vive in condizioni di povertà o è soggetto a politiche di oppressione.

  1. Le persone migrano da paesi più poveri verso paesi più ricchi 

Di nuovo, pensare che la motivazione economica sia l’unico fattore alla base della migrazione è il frutto di un’incomprensione di fondo. La realtà è che le persone non si spostano sempre da paesi poveri verso paesi ricchi. Al contrario, il maggior numero di migranti internazionali si muove tra i paesi in via di sviluppo: la Russia, la Tailandia, il Pakistan e l’Ucraina sono tra i paesi che ospitano il maggior numero di stranieri provenienti da altri paesi in via di sviluppo.

La vicinanza geografica è un altro fattore determinante che spiega, ad esempio, perché gli Stati Uniti rimangano la principale destinazione dei migranti provenienti dall’America Latina e perché i migranti internazionali in Europa provengano perlopiù da paesi dell’Africa e del Medio Oriente. 

  1. La promessa di un salario più elevato è la motivazione alla base della migrazione

Se non di un errore, si tratta quantomeno di una semplificazione. Come molti ricercatori hanno sottolineato, la realtà del processo migratorio è connotata in modo molto diverso da come vuole la percezione comune. Chi sceglie di emigrare non conosce sempre quali siano le concrete opportunità lavorative nel paese di destinazione. Molti migranti si trovano a viaggiare in condizioni di estremo rischio e incertezza e scelgono il luogo di arrivo in base ad una serie di ragioni, tra cui la legislazione, la situazione politica, il legame dovuto al passato di dipendenza coloniale, le affinità culturali, i vincoli strutturali. I fenomeni migratori, perciò, continueranno ad esistere con o senza la  promessa di un salario migliore. Del resto, la mera motivazione della ricerca di condizioni economiche migliori non spiega né i flussi migratori tra paesi sviluppati, né perché le persone emigrate in un altro paese decidano di tornare, anche dopo lunghi periodi, nei propri paesi di origine anche se la situazione interna non è mutata.

da Solidarity Center Attribution-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-ND 2.0), attraverso www.flickr.com
  1. La decisione individuale di migrare è basata esclusivamente su un calcolo costi-benefici

I singoli migranti non sono gli unici protagonisti della decisione di partire. Di solito, questa coinvolge gli altri membri della famiglia e della comunità di appartenenza. In letteratura, attraverso la “teoria della rete della migrazione” si spiega come una serie di fattori esogeni influenzino la decisione dell’individuo che compie attivamente il viaggio. In alcuni casi, ad esempio, le famiglie obbligano letteralmente uno dei loro membri a migrare altrove per poter incassare le rimesse in denaro che questi invierà loro. In molte comunità, inoltre, i migranti internazionali sono visti come una sorta di eroi o agenti dello sviluppo economico e coloro che non emigrano sono etichettati come fragili e poco coraggiosi. Si tratta di un fenomeno particolarmente evidente in alcuni paesi del Sud-est asiatico, dove lo spirito di emulazione verso conoscenti o membri della propria comunità che sono emigrati è molto diffuso ed è rafforzato da una forte pressione sociale. 

  1. Molti migranti sono uomini obbligati a trasferirsi altrove per guadagnare rimesse e supportare le loro famiglie

In realtà, a caratterizzare i flussi migratori interni sono perlopiù i movimenti di intere famiglie.  Tra i singoli, alcune ricerche hanno messo in luce che la popolazione femminile costituisca la maggioranza del numero complessivo dei migranti all’interno dello stesso paese. In Cambogia, secondo la Cambodia Rural-Urban Migration Survey del 2011 sono più le donne che gli uomini a migrare dalle campagne alle città.

A livello internazionale, invece, la situazione appare leggermente diversa. Secondo le statistiche dell’ONU, le donne costituiscono il 48% del numero totale di tutti i migranti internazionali del 2017 e sono perlopiù dislocate in Europa, Oceania, America del Nord, America Latina e Caraibi. 

  1. Paesi a bassa natalità e con scarsa manodopera attirano i migranti economici 

È ingenuo pensare che ci sia una correlazione di questo tipo. Il tasso di natalità in Cina è rimasto basso per anni (a causa della politica del figlio unico) ma fino ad oggi non è stata meta di destinazione dei migranti internazionali. Anche il Giappone è un esempio di paese con basso tasso di natalità e basso tasso di immigrazione. Allo stesso tempo, alcuni paesi dell’Europa dell’est con basso tasso di natalità hanno alti tassi di emigrazione mentre i paesi del Golfo stanno accogliendo molti immigrati nonostante abbiano alti tassi di natalità. Inoltre, la pressione della popolazione può portare ad innovazioni nei paesi di origine come la Rivoluzione verde per l’introduzione di nuovi raccolti, fertilizzanti, pesticidi, e tecnologia in agricoltura.

  1. I migranti sono vittime passive del capitalismo globale che non hanno altra scelta che emigrare per poter sopravvivere

Ronald Skellfon lo ha definito il “mito dei contadini immobili” che credono che i processi di immigrazione peggiorino le condizioni di comunità di agricoltori pacifiche, armoniche, autosufficienti ed egualitarie e che servano esclusivamente gli interessi delle élite borghesi che si arricchiscono attraverso lo sfruttamento ingiusto del lavoro. Questa lettura ignora completamente il fatto che molte migrazioni sono il frutto di una scelta volontaria e che gli individui prendono attivamente la decisione di partire. Allo stesso tempo, seguendo questa interpretazione, non si considera il fatto che le rimesse economiche inviate dal paese di destinazione al paese di origine, spesso caratterizzato dalla presenza di società agricole tradizionali con alti tassi di povertà, fame e mortalità, migliorano sensibilmente le condizioni di vita di chi le riceve. 

  1. Il mancato rispetto dell’ambiente porta direttamente a fenomeni di migrazione di massa 

Il mancato rispetto dell’ambiente non spinge necessariamente all’esodo della popolazione da una determinata area geografica. Al contrario, politiche contrarie all’ambiente possono incoraggiare processi di innovazione tecnologica e apportare benefici economici. Un censimento basato su dati empirici riportato dal Foresight Report pubblicato dal Government Office for Science inglese nel 2011 ha concluso che non esiste, al momento attuale, nessuna ricerca basata su solide basi metodologiche che permetta di concludere che i cambiamenti climatici causino emigrazioni di massa, vista la natura plurima del fenomeno migratorio.

In effetti, ignorando fattori più incisivi come l’influenza di fattori economici e sociali, gli ambientalisti non possono spiegare perché le persone che vivono in “zone a rischio” non migrino da quelle aree. In Cambogia, in cui la maggioranza del territorio è coperto di foreste, la deforestazione ha diminuito il tasso di emigrazione perché ha portato alla possibilità di sfruttare i terreni per la coltivazione creando nuovi posti di lavoro, incrementando la produzione agricola e avendo ricadute positive sui redditi individuali. Per queste ragioni, i cambogiani hanno meno bisogno di emigrare in altri paesi  rispetto al passato.

  1. Costruire un muro è un modo efficace per impedire l’ingresso dei migranti

La costruzione di muri ridurrà il numero dei migranti solo perché renderà più difficile attraversare il confine ma dubito che possa veramente fermare i flussi, a meno che il paese di arrivo non sia disposto ad impedire l’ingresso delle persone con tutti i mezzi a disposizione. In un modo o nell’altro, comunque, i migranti entreranno in quel paese o andranno altrove, dando il via ad un effetto a catena e costituendo una rete di sostegno con i propri connazionali, un fenomeno che si perpetua nel tempo e che facilita l’arrivo di nuovi migranti. C’è il rischio, poi, che il muro diventi un’attrazione turistica.

È il caso di notare, tra l’altro, che pur essendo un’isola circondata da muri d’acqua naturali, la Gran Bretagna ospita milioni di migranti irregolari.

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