Indonesia Opinioni

La finanza islamica come strumento per un’economia più umana

Samir Namira

La scienza economica ci ha sempre insegnato come cercare di prevalere, e non come fornire a tutti uguali opportunità. Dal concetto di uomo economico razionale di Adam Smith fino alla teoria dei giochi di John Nash e al teorema di Stolper e Samuelson, si tratta sempre di fare in modo di avere la meglio. Ma se tutti vogliono vincere, come può la scienza economica raggiungere il suo obiettivo proclamato, cioè la più efficiente distribuzione di risorse scarse?
Robert Frank, docente di economia alla Cornell University, ha affermato che le scienze economiche tendono ad attrarre persone egoiste. Sembrerebbe un’opinione valida, vista la mancanza di attenzione per l’uguaglianza o per la giustizia sociale ed economica che si riscontra nella maggior parte delle teorie economiche, e ciò è tanto più sorprendente in quanto proprio povertà e ineguaglianza sono due tra le maggiori fonti di preoccupazione per gli economisti.

Siamo ancora prigionieri dell’utilizzo di teorie concepite secoli fa, ma tuttora considerate con rispetto e timore reverenziale, nonostante la nostra sensazione istintiva che tali teorie non facciano che rendere le nostre vite peggiori, più egoiste e prive di significato.

I dati relativi al 2018 del Financial Inclusion Index mostrano che, nel mondo bancario indonesiano, il 51,1% della popolazione rimane al di fuori del sistema finanziario, e tra questi ci sono coloro che non ottengono credito perché non possono offrire garanzie.
Le tecniche finanziarie vengono usate per aiutare la popolazione priva di accesso al sistema bancario, ma questo non si traduce nel rendere le banche più umane e comprensive. Non è questo il loro obiettivo. In un certo senso le banche sono come architetti: creano qualcosa dal nulla. Come l’architetto crea un nuovo edificio, così le banche creano nuovo denaro concedendo prestiti a interesse.

Inutile chiedersi perché, il motivo è chiaro. Lo fanno perché usano da sempre punti di riferimento sbagliati. Considerano il tasso d’interesse come l’unico strumento valido per controllare la provvista di liquidità (ma non tengono conto delle operazioni di mercato aperto) e per generare crescita, ma ci si dimentica che le banche finanziano il commercio, e che quest’ultimo ha a che fare con uno sforzo collettivo di tutta l’umanità volto a ottenere vantaggi reciproci.

Il detto di Socrate “una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta” è qualcosa di cui ci si dovrebbe ricordare, in situazioni nelle quali gli uomini diventano sempre meno capaci di pensare. Cosa accadrebbe se, invece di cercare di massimizzare i profitti, le banche facessero in modo che perdite e profitti venissero gestiti e distribuiti equamente tra le parti in causa, ovvero le banche stesse, gli azionisti e i clienti? Cambierebbe l’intera dinamica della finanza, passando da una visione egoistica a una visione sociale.

Un altro elemento su cui non si riflette, nel mondo delle teorie economiche, è rappresentato dalle strategie volte ad alleviare la povertà. L’Indonesia, classificata come paese a reddito medio-basso (LMIC), si trova di fronte a una serie di problemi che ne ostacolano la crescita e lo sviluppo.
Uno di questi è rappresentato dal tasso di povertà (una cifra che certamente va diminuendo, ma non a ritmi veloci). La complessità del fenomeno della povertà richiede la ricerca di strategie migliori. Tuttavia, l’assistenza sociale e il credito a interesse per i meno abbienti rappresentano ancora gli strumenti principali impiegati a livello nazionale.

Abbiamo potuto renderci conto che in Indonesia l’amara verità è che le attuali strategie non saranno mai capaci di raggiungere l’obiettivo, fissato nel Piano nazionale di sviluppo a medio termine (RPJMN), di un tasso di povertà ridotto al 7% entro il 2019. Purtroppo, la consapevolezza di questa situazione non è condivisa da coloro che avrebbero il potere di promuovere riforme.

E’ stato Alex Murphy a riflettere su come certe situazioni non si conformino sempre alle aspettative considerate generalmente valide. Il governo centrale ritiene che gli attuali programmi e meccanismi finanziari avranno efficacia. Ma dimentica di inserire nel calcolo l’elemento della “giustizia socioeconomica”. Si può ridurre la povertà e si può aumentare l’inclusione finanziaria, ma al tempo stesso le diseguaglianze tra le regioni e al loro interno aumentano.

Le teorie economiche che in modo palese contribuiscono all’aumento delle diseguaglianze devono essere riviste, e trasformate in teorie che pongano come obiettivo primario dell’attività economica la condivisione delle risorse da parte dell’intero genere umano.
Nel suo libro “L’Economia della ciambella”, Kate Raworth ha scritto che l’immagine che ci facciamo di noi stessi influisce su cosa diventiamo, ed è per questo che dobbiamo cominciare (se non lo abbiamo già fatto) a cercare un punto di riferimento affidabile, una teoria o un approccio capace di far aumentare il benessere della società.

L’inserimento degli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile (SDGs) nel programma nazionale indonesiano per lo sviluppo ha quanto meno legato il concetto di crescita a valori di tipo umanitario. Ma a che serve, se continuiamo a fare ancora affidamento su teorie e strumenti ormai sorpassati?
In Indonesia, possiamo considerare il crescente ricorso alla finanza islamica come uno strumento alternativo, mirato a porre fine all’indigenza. La finanza islamica nasce dal principio essenziale che la ricchezza vada distribuita equamente e che qualunque tipo di attività che può tradursi solo nell’espropriazione dei beni altrui o fare sì che gli individui non rispettino criteri di giustizia in campo economico sia severamente proibita.

Quello della finanza islamica è un approccio volto a promuovere un’economia condivisa, in cui i benefici sono distribuiti in modo equo, e non finiscono solo nelle mani di pochi individui (o banche). Rappresenta ciò che cercavamo per raggiungere obiettivi globali e assicurarci che nessuno resti fuori da quella che Kate Raworth definisce la “zona di sicurezza della ciambella”.

I finanziamenti vengono accordati sulla base del principio della condivisione di profitti e perdite, e quindi l’uso dei tassi d’interesse è vietato. La crisi finanziaria del 2007-2008 ha evidenziato i difetti dello strumento del tasso d’interesse, e mostrato come esso abbia portato al crollo che ha colpito così duramente l’economia mondiale.

La finanza islamica, al di là del settore commerciale, offre anche strumenti per affrontare problemi sociali ed economici come povertà e diseguaglianza: in particolare lo zakat, il waqf e la microfinanza islamica.
Lo zakat è un fondamentale pilastro del mondo islamico, una forma di beneficenza mirata a risolvere quel problema della redistribuzione della ricchezza che contribuisce quasi ovunque all’aumento di povertà e diseguaglianze. Nel sistema dello zakat, i possibili beneficiari sono coloro che ricadono in almeno una di otto categorie, tra cui i poveri, i bisognosi, gli schiavi, chi è oppresso dai debiti, ecc.. Lo zakat quindi non riguarda solo le categorie più povere, ma anche chi è a rischio di povertà.
Esistono due tipi di zakat: zakat fitrah, che supporta i poveri per le loro necessità di base, e zakat mal, che prevede la distribuzione ai poveri del 2,5% del denaro dei più ricchi. Esistono inoltre numerosi esempi in cui i fondi dello zakat vengono usati per programmi di empowerment, che hanno l’effetto di alleviare comunque la povertà, nelle varie forme in cui essa si presenta.

Parallelamente lo waqf, che è una fondazione islamica, si propone di risolvere il problema della redistribuzione delle proprietà, grazie a somme di denaro o immobili messi a disposizione da persone desiderose di contribuire alla soluzione di problemi socioeconomici, che si tratti di istruzione, povertà o mancanza di alloggi. Esiste inoltre la microfinanza islamica, che ha obiettivi rivolti all’empowerment e ai problemi sociali, e cerca di sottrarre i meno abbienti alla trappola della povertà, concedendo prestiti senza interessi e senza necessità di fornire garanzie.

Purtroppo, nonostante la sua potenziale importanza per il raggiungimento di una crescita e di un’economia equilibrate, il peso della finanza islamica in Indonesia è pari solo all’ 8,58% del volume complessivo del patrimonio finanziario nazionale (OJK, 2018). Una simile percentuale può sembrare un controsenso, tenuto conto che l’85% dei residenti in Indonesia è musulmano. Ma molti preferiscono ancora rivolgersi al vecchio sistema finanziario, poiché offre garanzie in termini di guadagno, e alcuni non comprendono ancora le motivazioni di fondo della finanza islamica.

I motivi più spesso indicati per spiegare perché la clientela preferisca le banche convenzionali rispetto a quelle islamiche sono la complessità dei contratti basati sulla shari’ah (ovvero sui principi islamici), il più elevato margine di condivisione di profitti e perdite rispetto al margine d’interesse delle banche convenzionali, e l’insuccesso nell’adeguarsi pienamente ai dettami islamici.
Bisogna comunque tenere conto del fatto che, rispetto alle banche tradizionali, quelle islamiche sono ancora in una fase embrionale. La loro idea che il sistema bancario e finanziario non debba abbandonare una “mentalità volta al profitto” deve indubbiamente evolversi. E comunque è necessario un miglioramento in vari settori, e da parte di tutti.

Dal punto di vista degli operatori, c’è bisogno di sviluppo nella qualificazione del personale, per migliorare le loro competenze relative alla shari’ah e alle procedure tecniche ed economiche. Al tempo stesso, è necessario operare per migliorare l’insufficiente conoscenza del sistema bancario islamico da parte dei clienti potenziali, poiché questo è considerato il motivo fondamentale della scarsità di capitali detenuti dalle banche islamiche, che contribuisce in definitiva a innalzare il margine sui crediti nella condivisione di profitti e perdite.

Inoltre, al fine di mostrare in modo evidente il proprio impegno al servizio della società e contribuire a una crescita economica equilibrata, è necessaria una maggiore connessione tra l’aspetto commerciale e quello sociale nell’ambito della finanza islamica, per poter meglio raggiungere l’obiettivo più generale, cioè quello di ridurre le ineguaglianze e sostenere la giustizia sociale ed economica.

La finanza islamica ha sicuramente bisogno di molti miglioramenti, ma il primo passo da fare è credere in questo nuovo modo di concepire l’economia, che può trasformare l’attuale sistema in modo da renderlo più equo e non basato solo sull’egoismo.

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