Peru Opinioni

Un milione di venezuelani in Perù

Effetti politici, lavorativi e culturali su una economia prevalentemente informale

Velásquez Quispe Juan

Uno dei grandi problemi sociali ed economici che interessano oggi il Sudamerica è rappresentato dall’immigrazione massiccia di venezuelani nei vari paesi del subcontinente. Si tratta del maggior movimento di persone nella storia repubblicana dei paesi di questa parte del mondo, assolutamente non paragonabile all’invasione spagnola, all’arrivo degli schiavi neri durante l’epoca coloniale o all’arrivo di migliaia di italiani nel XIX secolo.
Secondo dati Onu, si tratta del maggior esodo verificatosi in America Latina negli ultimi anni, un movimento migratorio che sta modificando le caratteristiche sociali – e persino le idiosincrasie – dei paesi di destinazione. Alcuni studi stimano intorno a due milioni, altri oltre i quattro milioni, il numero degli emigranti venezuelani fuggiti nel corso degli ultimi quattro anni dall’iperinflazione e dalla crisi economica del loro paese . Secondo il Rapporto sulla migrazione umana del 2018 i venezuelani che stanno emigrando sono per la maggior parte (precisamente il 73,7%) giovani adulti tra i 20 e i 39 anni, e il 59,2 % di essi ha un’istruzione di livello universitario.

I venezuelani in Perù

La migrazione dei venezuelani verso il Perù è andata crescendo progressivamente dal 2016, si è stabilizzata nel 2017 ed è divenuta massiva nel 2018. Questo fenomeno segue parallelamente il deteriorarsi della situazione politica ed economica del Venezuela negli ultimi anni. Il grande flusso iniziale è stato verso la Colombia (paese confinante) e successivamente verso il Perù (paese non confinante). Questi due sono stati gli unici paesi sudamericani ad offrire ampie facilitazioni d’ingresso. Nel caso del Perù, ai venezuelani è stato rilasciato un permesso temporaneo di soggiorno (Permiso Temporal de Permanencia) senza che venisse loro richiesto alcun requisito particolare per entrare nel territorio nazionale. L’unica condizione è stata un’autocertificazione che attestasse l’assenza di precedenti penali o di procedimenti giudiziari in corso, facendo affidamento sull’onestà degli immigranti venezuelani. Così l’attrattiva esercitata dal Perù come paese di destinazione definitiva è andata aumentando, grazie alla costante crescita economica registrata negli ultimi vent’anni, e anche perché – principalmente, secondo la nostra ipotesi – nel mercato del lavoro peruviano quasi il 75% dei lavoratori mantiene un rapporto informale con i propri datori di lavoro.

Secondo i dati dell’INEI (Instituto Nacional de Estadística e Informática), oggi i residenti venezuelani in Perù sono circa 700 mila, mentre l’OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni) stima che a dicembre 2018 fossero un milione.

Il mercato informale del lavoro

Quello del Perù rappresenta uno dei casi più singolari di lavoro informale in America latina, dal momento che si può affermare che proprio la forza lavoro irregolare è stata all’origine della notevole crescita nel numero di posti di lavoro nel paese degli ultimi anni. Inoltre, nelle grandi città come Lima, il lavoro informale si traduce nell’offerta di servizi e nella commercializzazione di vari prodotti. Negli ultimi dieci anni hanno avuto accesso al mercato del lavoro informale soprattutto gli immigrati peruviani e i loro figli provenienti dall’interno del paese (principalmente da città andine come Huancayo, Ayacucho, Huancavelica, Puno, ecc.); sono loro quelli che hanno contribuito alla nascita di veri e propri empori tessili come “Gamarra” e al consolidamento di grandi mercati alimentari informali come “La Parada”, “Zarumilla”, ecc. L’accesso al mercato del lavoro informale non richiedeva particolari requisiti, dato che l’unica cosa che interessava ai datori di lavoro era lavorassero il numero di ore stabilite e che raggiungessero i risultati loro richiesti.

Questo ha fatto sì che centinaia di migliaia di persone arrivassero a Lima dalle province e sorgessero altri grandi centri di raccolta e commercializzazione dei prodotti provenienti dalle zone interne del paese, anche nei vari mercati locali dei tanti angoli della capitale.

Questo fenomeno ha generato un grande flusso di immigrazione interna dalla campagna alla città, principalmente a partire dall’ondata migratoria interna degli anni ‘80 fino ad oggi, sostenuta anche dalla violenza politica che insanguinava le regioni andine del Perù in quegli anni. D’altro canto, andare nella capitale rappresentava anche una nuova forma di inclusione sociale e un “miglioramento dello status” per gli andini,  dato che Lima aveva sempre voltato le spalle al Perù contadino, al Perù profondo.

Questa massiccia immigrazione interna ha consentito la nascita di una nuova cultura urbana, la cosiddetta cultura “chicha” (dal nome di una bevanda molto antica che rappresentava però una novità nella grande città), che poco a poco ha acquistato sempre maggiore importanza economica, fino a trasformarsi completamente in un sistema solido e dinamico, che all’inizio del nuovo millennio ha portato alla nascita di una nuova generazione di classe popolare emergente, un nuovo status di peruviano chiamato “cholo power” (figli o nipoti di immigrati interni con educazione superiore e/o universitaria, con buoni stipendi e/o generalmente con una piccola o una micro impresa familiare di supporto). Questa nuova generazione di figli e nipoti di immigrati interni è andata progressivamente assumendo un’immagine alternativa al fenotipo che i media diffondono quotidianamente per definire “la gente di successo” (giovani e in maggioranza bianchi), in un paese dove i bianchi costituiscono solamente il 6 percento della popolazione. Ricordiamo che il Perù sin dall’epoca coloniale è stato caratterizzato da un sistema di caste a carattere etnico, in cui l’europeo bianco si collocava in cima alla piramide sociale.

Migrazione venezuelana e lavoro informale

Il 92% del milione di immigrati venezuelani si è stabilito a Lima e Callao, accentuando così il centralismo che è storicamente un peso per l’economia peruviana. Questa massa di persone ha cercato lavoro prevalentemente là dove era più accessibile: il settore informale. Ed è così che a Lima si possono oggi incontrare centinaia di migliaia di venditori ambulanti venezuelani nel mercato tessile di Gamarra, nei mercati alimentari all’ingrosso e in tutti gli angoli e le strade della città. In generale, essi accettano di lavorare per compensi al di sotto del salario minimo, per qualsiasi tipo di lavoro anche non qualificato, svolgendo mansioni che prima erano svolte dai migranti interni peruviani, i quali non potrebbero sopravvivere con salari più bassi del minimo.

Con l’arrivo massiccio di venezuelani è iniziato un fenomeno demografico inverso: è in atto un ritorno massiccio di peruviani verso le regioni di origine, dato che in generale i lavori da loro precedentemente svolti oggi non sono più disponibili. Questo è dovuto al fatto che i commercianti o gli imprenditori peruviani preferiscono assumere al loro posto personale che possono pagare meno, che ha una formazione migliore e anche un “miglior aspetto” (la storica fobia di Lima verso le caratteristiche somatiche degli andini).

In questa maniera la disoccupazione peruviana è aumentata esponenzialmente, arrivando in aprile 2018 alla cifra di circa 421 mila nuovi disoccupati tra Lima e Callao. 

Conclusioni sull’immigrazione venezuelana in Perù

  • Il Perù ha deciso di aderire alla pressione internazionale contro il regime di Nicolás Maduro, su richiesta dell’Unione europea (UE) e dell’Organizzazione degli stati americani (OSA), formando il Gruppo di Lima nel 2017 con altri paesi e definendo il governo venezuelano una dittatura. Questo fatto ha favorito la progressiva presa di coscienza della crisi sociale e l’idea dell’emigrazione come alternativa in gran parte della classe media venezuelana.
  • L’iperinflazione venezuelana ha garantito molti vantaggi economici a chi aveva accesso ai dollari americani potendo così guadagnare sul cambio in Soles (la moneta del Perù), fatto che all’epoca in Venezuela è stato percepito come una grande opportunità.
  • Il salario che i venezuelani riescono a percepire al momento del loro arrivo in Perù (nella maggior parte dei casi inferiore al salario minimo di sussistenza) corrisponde ad uno stipendio molto alto in Venezuela.
  • Il salario minimo venezuelano è oggi di 20,90 USD, mentre in Perù è di 279,85 USD. Per questo, quindi, il “sacrificio” di mandare uno o due membri giovani della famiglia a lavorare in Perù per percepire rimesse in dollari è un modo molto conveniente di mantenere costante il livello dei consumi di una famiglia venezuelana di classe media. “Chi ha un po’ di dollari vive bene e la sua realtà è molto diversa da quella di chi non li ha”, ha dichiarato alla BBC-Mundo l’economista venezuelano Asdrúbal Oliveros, direttore di Ecoanalítica.
  • Senza poter contare su una politica migratoria per l’accoglienza degli immigrati venezuelani, il Perù ha subíto un flusso migratorio senza precedenti, registrando in pochi anni un aumento del 10 percento della popolazione totale di Lima e Callao: in altri termini, un milione di persone. In assenza di filtri o controlli dei precedenti penali e giudiziari prima della concessione dei Permessi temporanei di soggiorno, la sensazione di insicurezza per l’aumento della delinquenza si è moltiplicata, mettendolo in relazione con l’immigrazione venezuelana.
  • Il 92% degli immigrati venezuelani si è stabilito a Lima e Callao aggravando il centralismo del paese, per cui i servizi sanitari ed educativi destinati a questo nuovo grande segmento della popolazione cominciano a penalizzare la popolazione locale. Per il 2019 si prevede che ci saranno 109 mila nuovi bambini venezuelani nelle scuole pubbliche di Lima, cosa che renderà sempre più scarsi i posti disponibili per i bambini peruviani più poveri di Lima e di Callao.
  • L’immigrazione venezuelana è vista spesso come predatrice, specialmente per quel che riguarda i posti di lavoro informale della capitale, che prima erano appannaggio degli immigrati interni del Perù. Questo ha creato 421mila nuovi disoccupati peruviani a Lima e Callao, e ha di conseguenza provocato un ingente flusso migratorio di ritorno di peruviani, per anni vissuti a Lima, verso i luoghi di origine dei loro antenati all’interno del paese.