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In libreria – Sustainability Conflicts in Coastal India

Un volume di Aditya Ghosh*

Redazione

La scienza della sostenibilità è per definizione transdisciplinare, e il profilo di Aditya Ghosh la rappresenta bene: specializzazioni in geografia umana, ecologia politica, antropologia ambientale, studi postcoloniali e dello sviluppo, studi culturali e dei media; attività giornalistica e di ricerca sui temi dei cambiamenti climatici e interazioni tra ambiente e società umane, pianificazione spaziale. E la sostenibilità non ha confini amministrativi che tengano: ha studiato e lavorato in Asia, Europa, Stati Uniti e Africa.

Il suo volume recentemente pubblicato dalla Springer, che si intitola Sustainability Conflicts in Coastal India. Hazards, Changing Climate and Development Discourses in the Sundarbans, è ambizioso e originale. Attraverso analisi multidisciplinari, il volume si focalizza sulle principali sfide per lo sviluppo sostenibile legate ai cambiamenti climatici nel delta delle Sundarbans, la più grande foresta di mangrovie del mondo, classificata come ecoregione dal WWF e Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, che ospita gli ultimi esemplari della famosa tigre del Bengala e si estende tra Bangladesh e India. Si tratta di una regione molto vulnerabile dal punto di vista ecologico e sociale e l’autore sceglie un approccio molto originale per raccontarne la realtà: Aditya Ghosh illustra il conflitto tra la retorica globale e del potere occidentale, che adotta un discorso egemonico sulle politiche locali in nome di concetti come sviluppo sostenibile, sostenibilità e adattamento ai cambiamenti climatici, imponendo di fatto un modello di governance ecologica con implicazioni geopolitiche e, dall’altra parte, la realtà inascoltata dei bisogni di adattamento, delle aspirazioni e delle preoccupazioni delle popolazioni locali.

L’autore si sofferma sul fatto che, sul piano linguistico e culturale, è in atto lo screditamento delle conoscenze tradizionali, evidenziando che nelle lingue locali bengali non esistono vocaboli per definire e spiegare il concetto di sostenibilità: uno screditamento che di fatto rafforza e perpetua il conflitto tra le élites e le comunità locali, attraverso approcci imposti dall’alto (o cosiddetti approcci top-down) che enfatizzano la pianificazione e una completa comprensione del sistema per ottenerne un controllo e guidare i cambiamenti per risolvere i problemi, che però finiscono con l’accentuare i divari sul piano delle conoscenze e delle azioni. In sostanza, quello che l’autore propone è una chiave interpretativa con cui svelare conflitti permanenti e reali che si svolgono su piani diversi e che contrappongono la retorica globale (quella, per intendersi, internazionale della protezione ambientale) e le geografie locali post-coloniali. L’intenzione di Gosh, esplicitata fin dall’inizio, è quella di proporre un ripensamento della prospettiva della sostenibilità in chiave autenticamente locale, legato alla realtà e alla vita quotidiana nel Sud del mondo, riposizionando al centro cioè culture e atteggiamenti locali più che l’egemonia culturale e politica del Nord del mondo. SI tratta di un tentativo orientato a correggere le evidenti asimmetrie di potere tra il Nord degli esperti e degli scienziati e il Sud delle comunità locali che vivono negli ecosistemi che la retorica globale intende proteggere.

Nel delta delle Sundarbans si accalcano cinque milioni di persone, che convivono e si contendono un ambiente fragile. L’innalzamento dei livelli delle acque e il verificarsi sempre più frequente di calamità naturali – siano esse alluvioni, cicloni ed erosione dei suoli – sono una realtà evidente nelle regioni di India, Bangladesh e anche Pakistan, Myanmar e Sri Lanka, tutte caratterizzate da alta densità abitativa e sistemi ecologici molto vulnerabili. A queste calamità naturali dagli effetti devastanti l’occidente pensa, spiega l’autore, quando si pone il problema della sostenibilità e dell’adattamento.

Andando, tuttavia, sul terreno a incontrare le comunità e le persone che ne fanno parte, trascorrendo periodi di tempo con loro, l’autore ne ha tratto una storia diversa, con la chiara indicazione che la definizione adottata a livello internazionale per qualificare i disastri naturali non coglie la drammatica realtà delle conseguenze che disastri molto “piccoli” e “di breve durata” nell’accezione occidentale, quasi insignificanti, hanno sulla vita di tutti i giorni delle persone più vulnerabili e sull’ambiente stesso.

Il libro è il risultato di un lungo e faticoso tentativo, che ha trovato nella tesi di dottorato un momento di passaggio importante, per provare a produrre una prospettiva e una contro-narrazione di comunità del Sud sul costrutto tutto occidentale di sostenibilità, di sviluppo sostenibile e adattamento ai cambiamenti climatici. Le battaglie locali si legano alla condizione di povertà diffusa e profonda, all’insicurezza nelle condizioni di vita, alla mancanza di accesso alle forme più elementari di servizi sanitari, alla governance inadeguata calata dall’alto e alla frequenza di rischi quotidiani non legati ai grandi eventi ambientali, ma a morsi di serpenti, attacchi delle tigri, tanto famose e altrettanto predatrici, e al ribaltamento delle piccole imbarcazioni. Eventi minori e trascurabili nella narrazione dominante che tuttavia, per la loro frequenza e per l’incapacità delle comunità di farvi fronte, sono la vera dimensione del rischio quotidiano e pongono il problema reale della vulnerabilità su un piano completamente diverso rispetto a quello della narrazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile e del corredo di argomenti e mercati scientifici e tecnologici.

L’originalità dell’approccio e il linguaggio, la narrazione e la struttura, con il frequente ricorso a studi di caso, studi etnografici e storie di vita, interviste semi-strutturate e analisi del discorso, collocano il volume in una terra di mezzo tra il classico studio teorico e accademico e una vera e propria fiction, con l’intento di legittimare epistemologie locali e diverse da quella dominante.

Le storie presentate raccontano una realtà sociale tutt’altro che idilliaca, in cui alla povertà si accompagna, per esempio, una condizione di discriminazione e marginalità delle donne sul mercato del lavoro, ma più in generale sulla titolarità di diritti, a cominciare da quello di proprietà. Non si tratta, perciò, di idealizzare ed esaltare le virtù dell’autenticità delle comunità locali, ma di riconoscerne la realtà, le aspirazioni e i problemi. Allo stesso tempo, è evidente per Aditya Ghosh il conflitto tra Stato e comunità locali nella gestione delle risorse naturali, in nome di due principi non convergenti come la conservazione delle risorse naturali per lo Stato e la sopravvivenza delle proprie abitudini e modi di fare per le comunità locali; esempio del conflitto è la raccolta del miele dalla foresta, che lo Stato limita quantitativamente e circoscrive a zone particolari, mentre è diffusa la raccolta illegale da parte delle comunità locali in zone delle foreste in cui sarebbe proibito.

Con un corredo di numerose fotografie di persone incontrate e di diversi angoli della natura delle Sundarbans, il discorso di Aditya Ghosh mira continuamente a mostrare come le negoziazioni tra ambiente e società siano naturalmente e persistentemente presenti nelle società locali del Sud del mondo ma, se lette nella loro autenticità di contesto locale e di subalternità, non si prestano a diventare docile laboratorio di sperimentazione dell’imperialismo culturale delle accademie occidentali e dell’universalismo delle Nazioni Unite in materia di sostenibilità e adattamento ai cambiamenti climatici. Una prospettiva che richiama più o meno esplicitamente come fonte di ispirazione la critica all’universalismo e all’eurocentrismo culturale da una prospettiva locale e centrata sui soggetti subalterni, proposta dalla filosofa di origini bengalesi Gayatri Spivak che ha promosso nel mondo anglo-sassone una originale contaminazione tra marxismo e post-strutturalismo. L’auspicio del volume è quello di tracciare un sentiero di ricerca basato su metodi misti, di tipo qualitativo e quantitativo, per superare la contrapposizione tra globale e locale, conoscenza dei nativi e degli esperti, alla ricerca di una comprensione più profonda dei problemi del mondo reale che interessano gli attori reali. Il risultato è sicuramente quello di aiutare a riflettere su quanto ancora la narrazione sullo sviluppo sostenibile rischi di essere – in quanto paradigma universalista – portatore di visioni egemoniche non necessariamente corrispondenti alle diverse realtà, se non accetta di misurarsi con le specificità locali in cui ecologia, democrazia e giustizia assumono connotati propri e vivono di conflitti tra istanze e interessi non sempre convergenti e, a volte, chiaramente contrapposti.