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In libreria – Gender and Mobility in Africa. Borders, Bodies and Boundaries

Un volume di Kalpana Hiralal* e Zaheera Jinnah **

Redazione

Kalpana Hiralal e Zaheera Jinnah sono curatrici di un volume, pubblicato dalla Palgrave, che raccoglie tredici saggi, frutto della collaborazione di diversi autori (prevalentemente autrici), che applicano differenti metodologie (etnografia, raccolta di dati di archivio, storie di vita, indagini campionarie in più paesi) appartenenti a varie discipline (scienze politiche, storia, antropologia, sociologia e relazioni internazionali) per esplorare il campo degli studi sulle migrazioni e sulle questioni di genere in Africa.

I tre temi chiave, richiamati nello stesso titolo, attraverso cui esaminare genere e mobilità sono i confini, i corpi e le identità.

Una decina di anni fa, un film intitolato Sin Nombre, opera d’esordio di un regista californiano, figlio di madre svedese e padre giapponese, laureato in Storia, raccontava le vicende di alcuni giovani sconosciuti, senza nome appunto, in viaggio sul tetto di un treno dall’Honduras verso gli Stati Uniti attraverso il Messico, in condizioni molto difficili e perennemente a rischio di fallire, di finire vittime di banditi armati e di commettere essi stessi dei reati per sopravvivere. Un film tra fiction e documentario, la cui trama è tornata prepotentemente d’attualità nell’ottobre 2018, quando settemila migranti si sono messi realmente in marcia verso gli Stati Uniti, accettando di scontrarsi con l’ostilità manifesta del presidente statunitense Donald Trump. In quel film, che racconta le drammatiche vicende di un’adolescente, Sayra, che decide di lasciare l’Honduras per andare a vivere negli Stati Uniti, il tema dell’attraversamento dei confini territoriali è anche quello delle migrazioni, intese come superamento dei confini di una realtà sociale povera e insopportabile, e quello della metamorfosi delle identità e degli stessi corpi delle persone durante il viaggio (corpi ostentatamente tatuati, come segno di identità e di contrapposizione, a seconda del territorio e dell’appartenenza da rivendicare). Questi stessi argomenti si ritrovano, riferiti a un altro continente come l’Africa e declinati in modo molto diverso, in un volume ricco di spunti che narra – da diverse prospettive – percezioni, coinvolgimento e impegno attorno ai confini (la mobilità umana in Africa), ma anche i modi attraverso cui i corpi – soprattutto quelli femminili – si plasmano e sono trasformati dalla mobilità. In questa prospettiva il nesso tra mobilità, corpi e identità di genere è necessariamente dinamico: la produzione e riproduzione dei confini percepiti e di quelli reali entra in relazione con le norme e l’identità di genere, che evolve e si realizza in relazione alle transazioni quotidiane che avvengono con le altre persone e l’ambiente circostante.

Sono temi frequentati da un filone di letteratura noto come “studi postcoloniali”, ma che questi saggi mettono in relazione continua con approcci disciplinari delle diverse scienze sociali. Come scrive una delle curatrici nel saggio d’apertura, è luogo comune parlare delle migrazioni come di un fenomeno umano antichissimo; tuttavia la storia moderna è raccontata come una fase storica in cui il fenomeno delle migrazioni internazionali è soprattutto quello di stampo “occidentale”, dall’Europa verso le Americhe, che iniziò con la scoperta e la conquista dell’America a partire dal 1492. Il ruolo delle migrazioni in altri continenti, come l’Africa o l’Asia, è comunque subordinato a questa narrazione, perché ricondotto al fenomeno del commercio degli schiavi. In realtà, studi storici più recenti in quei continenti hanno fatto emergere una realtà di antiche migrazioni, per esempio quelle nella regione dell’Oceano Indiano, interne e transoceaniche, fuori dalle direttrici occidentali, delle quali le donne sono state parte significativa e integrante, e che non sono qualificabili come strategie di sopravvivenza, ma come caratteristiche strutturali e peculiari della vita in Africa.

I contributi storiografici presenti nel volume, teorici e basati su una moderna critica alla logica coloniale, sono l’occasione anche per mettere in discussione e decolonizzare le prevalenti interpretazioni sul ruolo delle donne nel processo decisionale, sulla loro identità e agency in Africa.

Se per spiegare le esperienze femminili nel corso delle migrazioni gli studi femministi hanno chiarito come il genere si intersechi con le dimensioni di classe, etnia e identità, mettendo seriamente in discussione la presunta passività e dipendenza delle donne nella pratica della mobilità umana, la questione in Africa non aveva sinora ricevuto la medesima attenzione.

Il volume combina le prospettive storiche e contemporanee delle migrazioni internazionali, intrecciandole con una visione di genere che utilizza la metafora del corpo attraverso cui genere e mobilità sono rappresentate. Il corpo diventa un luogo per comprendere le relazioni tra persone, spazio e tempo.

In questo sforzo collettivo, autrici e autori dei saggi offrono undici interessanti analisi di caso, tra loro complementari in chiave comparativa, relative a migranti indiane e cinesi di oltre cento anni fa dirette verso l’Africa, al difficile e incerto equilibrio tra modernità e tradizione per le migranti che hanno raggiunto la Tunisia, ai problemi particolari di migranti intra-africane come le senegalesi trasferitesi in Marocco o di quante hanno lasciato Somalia, Burundi, Zimbabwe e Congo per raggiungere il Sudafrica, alle strategie elaborate in Sudafrica per dare una risposta alla violenza familiare, o ancora alla realtà delle nigeriane vittime di tratta e rimpatriate.

Se ce ne fosse bisogno, il quadro articolato che emerge in termini di costruzioni sociali, performance e rappresentazioni di genere nel contesto delle migrazioni restituisce con chiarezza la realtà complessa di un continente come l’Africa, portatrice di molte diversità e storie. Il volume si chiude con alcuni possibili percorsi di approfondimento e ulteriore ricerca e dibattito sul tema.