Marocco Opinioni

L’approccio di genere nell’azione pubblica in Marocco

Reghay Zoubida

Il Marocco ha firmato e ratificato la maggior parte degli strumenti internazionali relativi all’introduzione e alla promozione dell’uguaglianza di genere.
Così facendo ha assunto un impegno politico per promuovere i diritti delle donne, compresi i diritti politici, civili, socio-economici, culturali e ambientali. In effetti la Costituzione, affermando la necessità di “bandire e combattere ogni forma di discriminazione basata sul sesso nei confronti di chiunque”, sancisce l’uguaglianza e la parità tra i sessi. Mira inoltre a rafforzare questo impegno attraverso la creazione di nuovi meccanismi istituzionali volti al rispetto e alla promozione dei diritti umani, in particolare quelli delle donne, nonché di altri meccanismi interamente dedicati alla questione dell’uguaglianza e della parità tra uomini e donne, come l’Autorità per la parità e la lotta contro tutte le forme di discriminazione (APALD).

Inoltre, in base all’articolo 31 della Costituzione il Marocco, in quanto Stato ed insieme di istituzioni pubbliche e autorità locali, si impegna ad adoperarsi per garantire, tra l’altro, parità di accesso per donne e uomini all’assistenza medica, alla previdenza sociale, alla copertura sanitaria e a forme di solidarietà mutualistiche o organizzate dallo Stato, all’istruzione, all’occupazione ed allo sviluppo sostenibile.

L’istituzionalizzazione dell’approccio di genere con la sua formalizzazione nelle istituzioni pubbliche è un processo avviato nel 2002, che prevede non solo un’attenzione sistematica e trasversale per gli aspetti di genere in tutte le politiche ed azioni (intese come politiche ed azioni sensibili al genere) di queste istituzioni, ma anche in seno alla loro organizzazione interna. Dall’adozione di queste disposizioni in poi, il Marocco avrebbe registrato importanti progressi legislativi e istituzionali nella promozione della parità di genere.

Con questo articolo tentiamo di analizzare le azioni di alcuni soggetti pubblici, limitandoci per convenienza al Ministero della famiglia, della solidarietà, della parità e dello sviluppo sociale.

Ci poniamo a tal fine le seguenti domande:

  • L’approccio di genere è stato adottato in maniera trasversale e intersettoriale, o rimane un approccio sesso-specifico, che identifica le donne come un particolare gruppo di interesse tra gli altri, i cui bisogni sono definiti nell’ambito delle competenze esclusive del Ministero?
  • Quali sono stati gli effetti diretti e indiretti delle misure adottate, siano esse di natura correttiva, preventiva o propositiva, sulla condizione della donna?
  • Tali misure sono state in grado di eliminare o ridurre le disuguaglianze e la discriminazione contro le donne, promuovendo l’uguaglianza di genere nella vita pubblica e privata?

Oltre a contribuire allo sviluppo sociale, il Ministero della famiglia, della solidarietà, della parità e dello sviluppo sociale ha la missione di elaborare ed attuare politiche governative finalizzate al miglioramento della condizione della donna, dell’infanzia e della famiglia, e alla promozione dei diritti delle persone anziane e di quelle affette da disabilità. In coordinamento con altri soggetti, è responsabile del sostegno e del monitoraggio dell’attuazione dei programmi che promuovono i diritti delle donne, il rafforzamento della loro posizione giuridica e la loro partecipazione allo sviluppo sociale.

Sul piano giuridico, il Marocco ha fatto dei passi avanti nel campo delle riforme volte a promuovere la parità tra uomini e donne: ha ritirato le sue riserve su alcuni articoli della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (CEDAW), in particolare l’articolo 16, relativo al matrimonio e alla vita familiare, ha sancito l’uguaglianza di genere riguardo ai diritti civili stabiliti dalla Costituzione, ha firmato la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia (CRC) e fissato a 18 anni l’età minima per il matrimonio prevista dal Codice di famiglia.

Tuttavia, molte disposizioni del Codice di famiglia continuano a discriminare le donne, come dimostrano diversi articoli:

  • 16: “Il certificato di matrimonio costituisce il mezzo di prova del matrimonio stesso. Qualora motivi improrogabili impediscano il rilascio del certificato di matrimonio a tempo debito, ai fini del riconoscimento del matrimonio il tribunale ammette ogni genere di prova, compreso il parere di un esperto. La corte, se informata di un’azione di riconoscimento di matrimonio, considera la presenza di figli o di una gravidanza a seguito della relazione coniugale e si accerta che l’azione sia stata iniziata con entrambi i coniugi in vita. L’azione di riconoscimento del matrimonio è ricevibile per un periodo transitorio massimo di quindici anni dalla data di entrata in vigore della presente legge”.
  • 20: “Il giudice di famiglia responsabile del matrimonio può autorizzare il matrimonio del ragazzo e della ragazza prima dell’età della capacità matrimoniale prevista al precedente art. 19, mediante una decisione motivata che specifichi gli interessi e le ragioni che giustificano tale matrimonio. Avrà ascoltato in precedenza i genitori del minore o il suo rappresentante legale. Al contempo, avrà fatto richiesta di una relazione medica o di una valutazione sociale. La decisione del giudice che autorizza il matrimonio di un minore non è soggetta ad appello”.
  • 21: “Il matrimonio del minore è soggetto all’approvazione del suo rappresentante legale. L’approvazione del rappresentante legale è comprovata dalla sua firma apposta, insieme a quella del minore, sulla domanda di autorizzazione del matrimonio e dalla sua presenza al momento della stesura del certificato di matrimonio. Quando il rappresentante legale del minore si rifiuta di concedere la sua approvazione, il giudice di famiglia responsabile del matrimonio delibera in materia”.

Secondo il Ministero della giustizia e delle libertà il numero dei matrimoni di minorenni, di cui le ragazze rappresentano il 99%, è quasi raddoppiato tra il 2004 e il 2013. Queste cifre si basano sulle domande di autorizzazione depositate presso i giudici da parte dei tutori delle ragazze, il 99,4% delle quali riguarda richieste di matrimonio per ragazze minorenni. Il numero di queste autorizzazioni sarebbe dovuto diminuire dal 2004, anno di entrata in vigore del Codice di famiglia; invece è aumentato, passando dall’88,8% al 92,2% tra il 2006 e il 2010, per scendere leggermente all’85,5% nel 2013. Evidentemente questa misura – la richiesta del permesso di sposare un minore – invece di essere un’eccezione, come originariamente previsto dalla legge, è divenuta quasi la regola. Inoltre, il fenomeno del matrimonio dei minori, che interessava principalmente le aree rurali, si è diffuso anche nelle aree urbane: nel 2013 il 48,21% di questi matrimoni si è registrato nelle città. La maggior parte di queste ragazze non è in realtà consenziente al matrimonio precoce, che perciò si qualifica come matrimonio forzato. Nel 2014 due gruppi parlamentari facenti parte della stessa coalizione governativa hanno presentato in parlamento due proposte di legge in contrasto tra loro. Infatti il Partito progressista e socialista (PPS), sostenuto dai gruppi parlamentari dell’opposizione, dalla società civile femminile e dai militanti per i diritti umani, ha chiesto l’abrogazione degli artt. 20 e 21 del Codice di famiglia e il pieno rispetto dell’art. 19, mentre il Partito per la giustizia e lo sviluppo (PJD), partito di appartenenza del Ministro della famiglia, che è l’istituzione fondamentale per la salvaguardia dei minori e la promozione dei loro diritti, chiedeva di limitare a 16 e 17 anni l’età menzionata nei due articoli citati. Vale la pena ricordare che le cifre reali sono molto più alte di quelle ufficiali. Infatti, ai matrimoni di minori autorizzati dai giudici vanno aggiunti quelli consuetudinari non legalizzati, oppure quelli legalizzati in un secondo momento, sulla base dell’art. 16 del Codice di famiglia, che stabilisce che se il certificato di matrimonio religioso non può essere redatto per tempo a causa di impedimenti improrogabili, la corte può comunque riconoscere la validità del legame. Questo articolo, che era stato introdotto nel 2004 come misura transitoria valida per un periodo di 5 anni, poi esteso due volte sino ad arrivare a 15 anni, era stato disegnato tenendo in considerazione le difficoltà e le limitazioni affrontate dalle famiglie soprattutto nelle aree rurali, come l’isolamento, la complessità e le lentezza delle procedure amministrative, che richiedono alle famiglie un costoso viavai. Tuttavia, questo stesso articolo è sfruttato da alcuni uomini e da certe famiglie per aggirare gli articoli del Codice di famiglia relativi all’età minima del matrimonio (art.19) e i due articoli relativi alla poligamia (art. 40 e art. 46). Secondo uno studio condotto nel 2013 dall’Associazione per la promozione dei diritti delle donne (IPDF-Meknès) nelle città di Meknès, Fès e Khénifra, “il 25% delle donne interessate da questa indagine, che avevano ottenuto un responso positivo alla richiesta di riconoscimento del matrimonio, aveva un età compresa tra i 10 e i 15 anni all’inizio del matrimonio, mentre il 46% dei responsi positivi riguardava ragazze minorenni al momento della stipula del matrimonio”. Tra le carenze di questo articolo c’è il fatto che non venga richiesto il certificato di celibato a nessuna delle persone coinvolte nella richiesta di matrimonio. Questi difetti non hanno però impedito al Ministero di estendere il periodo di efficacia di questo articolo per una seconda volta, portandolo a 15 anni, senza prendere misure complementari che ne limitassero l’abuso. D’altro canto, ben prima dell’istituzionalizzazione dell’approccio di genere nelle politiche pubbliche, il Marocco ha adottato anche l’approccio intersettoriale. Da un lato, ogni dipartimento pubblico ha dovuto mettere a punto azioni pubbliche sensibili alle specificità di uomini e donne e considerare la relazione di causa-effetto tra queste azioni e quelle di altri dipartimenti del settore. Dall’altro lato, l’approccio di genere (gender mainstreaming) ha mirato a riequilibrare le disuguaglianze che esistono tra uomini e donne in termini di diritti, accesso e controllo delle risorse, benefici e capacità d’influenza. Questa politica ha quindi avuto l’obiettivo di promuovere un cambiamento nel rapporto tra i due sessi favorendo l’uguaglianza; a tal fine deve prendere in considerazione i cambiamenti economici, politici e soprattutto socio-culturali in qualsiasi processo di elaborazione dell’azione pubblica. Questa lettura analitica basata sul genere mostra che il Ministero della famiglia ha adottato un approccio sesso-specifico e non un approccio di genere. In effetti, la sua azione non sta tenendo conto dei cambiamenti in corso nella società marocchina, continuando a lavorare separatamente dagli altri dipartimenti pubblici, sebbene i problemi di qualunque popolazione, e in questo caso delle donne, rientrino direttamente o indirettamente tra le competenze di più dipartimenti. Di conseguenza, il successo dello sforzo per costruire una democrazia partecipativa e rappresentativa e uno sviluppo sostenibile, equo ed imparziale in Marocco resta dipendente dall’avvio di una gestione pubblica sensibile al genere che adotti un approccio intersettoriale.