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Le politiche di reinsediamento urbano in Cina e le migrazioni interne

A proposito del paper dell'analisi di Ying Liu*

Redazione

La Cina è forse l’emblema della contemporaneità, coi suoi profondi cambiamenti, le sue rapide trasformazioni economiche, sociali e tecnologiche e le enormi sfide ambientali. Le città cinesi sono al centro dei processi di trasformazione: l’industrializzazione, l’urbanizzazione e poi la deindustrializzazione hanno creato poli urbani altamente inquinati nel nord est della Cina, mentre nelle città costiere, in rapida espansione, sono cresciuti i cosiddetti “villaggi urbani” (o chengzhongcun), cioè enclave o ghetti di immigrati.

Questi veri e propri “villaggi nelle città”, che ospitano milioni di persone immigrate dalle campagne, attraggono ancora oggi crescenti flussi migratori interni alla Cina e sono oggetto dei nuovi piani di riqualificazione e sviluppo urbano del governo centrale, come esplicitamente indicato nel 2016 dal Comitato centrale del partito comunista cinese, che ha fissato l’obiettivo di completare entro il 2020 il rinnovamento, con particolare attenzione proprio ai “villaggi nelle città”.

L’autrice di questo studio offre un contributo interessante, andando ad approfondire le differenze all’interno del vasto gruppo di immigrati, solitamente considerato omogeneo, costituito da coloro che dalle aree rurali si sono riversati nei “villaggi nelle città” e che tende ad essere l’oggetto delle future politiche di reinsediamento per la riqualificazione e lo sviluppo urbano.

La città di Shenzhen è un caso esemplare di città che ha visto nascere numerosi “villaggi nelle città”, caratterizzati da una numerosa ed eterogenea popolazione di migranti e prospettive di demolizioni e riedificazioni. Lo studio fa particolare riferimento al caso del “villaggio urbano” di Baishizhou, nel distretto di Nanshan che, secondo i piani governativi, dovrebbe essere trasformato in un distretto residenziale e commerciale di lusso. A questi piani è stata data ampia pubblicità tramite locandine affisse ovunque, affinché gli abitanti ne fossero completamente informati.

In generale, nelle città cinesi il continuo bisogno di attrarre dalle campagne nuova forza lavoro a basso costo per le industrie nascenti o in espansione finisce per convivere con la pressione determinata dalla prospettiva di futuri reinsediamenti coatti. Ciò è fonte di incertezze e paure soprattutto tra le fasce marginali della popolazione che temono di doversi allontanare, alimentando così tensioni e insicurezza soprattutto tra gli anziani e tra coloro che nel corso degli anni vi hanno intessuto gran parte delle proprie relazioni sociali.

Il tema della stratificazione sociale (che implica differenti posizioni sociali in termini di potere, reddito, accesso a servizi, risorse, reti relazionali, tipo di impiego lavorativo, livello di istruzione) ricopre perciò un ruolo chiave nell’interpretazione dei possibili sviluppi delle politiche di reinsediamento associate alla riqualificazione ed allo sviluppo urbano. Non si tratta di un tema assente nella pubblicistica cinese, dal momento che la stessa Accademia cinese delle scienze sociali aveva definito quindici anni fa una classificazione della popolazione cinese in dieci strati sociali, secondo lo status occupazionale e l’accesso alle risorse. La peculiarità di un sistema misto di socialismo e capitalismo come quello cinese è che la stratificazione sociale è la risultante di processi sia economici che politici che sono all’origine delle differenziazioni di classe.

Vista l’esigenza di mantenere i legami sociali con la zona di origine, ad emigrare dalle campagne in città sono soprattutto persone che provengono da aree non lontane, che in passato erano oggetto di un rigido controllo statale attuato tramite il sistema di certificazione di residenza dei nuclei familiari e abitativi (detto hukou). Originariamente prevaleva l’idea che i migranti fossero un gruppo omogeneo, sottoposto a discriminazioni sul posto di lavoro nella città; le cose sono cominciate a cambiare soprattutto con l’emergere della seconda generazione di migranti.

Nel caso del villaggio di Baishzhou, la composizione sociale della popolazione è molto articolata e dipende in larga misura dalla particolare localizzazione: il villaggio si trova sul lato nord di una delle più ricche strade di Shenzhen ed è vicino a un parco tecnologico avanzato e ad una comunità residenziale esclusiva (Overseas Chinese Town). Ciò ha reso il villaggio molto attraente sia per i migranti con elevate qualifiche professionali, impiegati nel parco tecnologico, sia per quelli non qualificati, occupati nel lavoro domestico nelle zone residenziali molto ricche.

Baishzhou è perciò un villaggio caratterizzato da un’evidente stratificazione sociale tra gli immigrati, che lo studio prende in considerazione valutandone diverse caratteristiche, come l’età, il livello di istruzione, l’occupazione, il reddito, l’eventuale proprietà di un’abitazione e lo status registrato presso l’hokou (che distingue tra residenti a Shenzhen, non residenti urbani o rurali). Attraverso l’applicazione di una particolare tecnica statistica (l’analisi delle classi latenti), gli autori identificano la presenza di quattro classi sociali nel villaggio:

  • I migranti di seconda generazione in cerca di lavoro, di età inferiore ai 35 anni, con bassi livelli di istruzione e reddito (meno di 6 mila yuan al mese), un’alta probabilità di essere non residenti rurali di Shenzhen e scarsissima probabilità di essere proprietari di un’abitazione.
  • I migranti di prima generazione in cerca di lavoro, di età compresa tra i 36 e i 65 anni, il cui livello di istruzione è generalmente ancor più basso di quello del gruppo precedente. Diversamente dai migranti di seconda generazione, che professionalmente si concentrano nel settore dei servizi, lo status occupazionale di questo gruppo appare distribuito in diverse tipologie settoriali, soprattutto tra le industrie ad alta intensità di lavoro.
  • I migranti che sono diventati classe benestante, di età compresa tra i 36 e i 65 anni, che presentano un basso livello di istruzione ma un reddito più elevato. Sono per lo più lavoratori autonomi titolari di una piccola attività nel villaggio, hanno lo status di non residenti rurali e una più alta probabilità di essere proprietari di un’abitazione a Shenzhen.
  • I migranti intellettuali, di età inferiore a 35 anni, che presentano un più elevato livello di istruzione (pari almeno alle scuole superiori), reddito più elevato, sono impiegati, possiedono lo status di non residenti urbani e presentano un’alta probabilità di essere proprietari di un’abitazione a Shenzhen.

Si tratta di quattro classi di migranti che si aggiungono al gruppo ristretto costituito da coloro che hanno lo status di residenti a Shenzhen e che sono al vertice di tale stratificazione.

Questa stratificazione diventa un elemento importante in sede di analisi degli effetti di eventuali ed imminenti politiche governative di reinsediamento. È infatti noto che la capacità di reagire ed adattarsi a misure di reinsediamento, come a qualsiasi evento inaspettato, dipende dalla dotazione di beni individuali e collettivi con cui far fronte agli eventi, evitando di precipitare in condizioni drammatiche quali, ad esempio, la perdita di lavoro, casa o amici.

A conferma di ciò, le risposte date durante le interviste sulla percezione delle possibili conseguenze di una futura politica di reinsediamento che dovesse interessare il villaggio evidenziano opinioni molto diverse tra le quattro classi di migranti.

I più giovani, che rientrano tra i migranti di seconda generazione in cerca di lavoro e quelli intellettuali, mostrano di non temere gravi danni dal reinsediamento, che oltre il 60 per cento degli intervistati considera a basso o moderato livello d’impatto.

Diversamente, nel caso delle due classi più anziane, costituite dai migranti di prima generazione in cerca di lavoro e quelli diventati classe benestante, oltre il 50 per cento degli intervistati teme un livello alto o altissimo dell’impatto del reinsediamento. Gli appartenenti a queste due classi mostrano un elevato attaccamento, sia economico che emozionale, al villaggio di Baishizhou. Ciò si spiega col fatto che anche i migranti di prima generazione in cerca di lavoro, che vivono senza un lavoro stabile e risiedono da non meno di 5 anni nel villaggio, hanno costruito reti sociali importanti su cui fanno affidamento per la ricerca di un impiego più stabile.

Si mostrano meno preoccupati i cosiddetti migranti intellettuali, che vedono nel villaggio soprattutto un posto comodo per dormire più che per vivere.

Quel che invece accomuna le diverse classi di migranti è la percezione del principale effetto negativo di un eventuale reinsediamento, ovvero l’aumento della distanza tra luogo di lavoro e di residenza, che porterebbe come conseguenza un aumento dei costi, una minore opportunità di trovare lavori alternativi e la perdita dei legami sociali. In particolare, i migranti più anziani temono in primo luogo la perdita del lavoro e poi quella dei legami sociali. I più giovani tendono invece a considerare la costruzione dei legami sociali come qualcosa da sviluppare e consolidare nel futuro, per cui non appaiono così vulnerabili da questo punto di vista.

Tutto ciò parrebbe suggerire all’autrice politiche compensative o di indennizzo differenziate per strati di popolazione: una compensazione finanziaria avrebbe senso soprattutto per i migranti che sono diventati classe benestante, che rischierebbero di perdere la propria attività; per i migranti di prima generazione in cerca di lavoro sarebbe invece importante garantire una vicinanza con la rete di amicizie e legami sociali, così da non privarli di questo forte patrimonio.

Infine, il fatto che in caso di reinsediamento molti ipotizzino di cercare casa (quasi tutti in affitto) sempre a Shenzhen è un’ulteriore indicazione di cui i decisori politici dovrebbero tener conto, dal momento che la capacità di assorbimento di queste zone si sta via via riducendo, a dispetto delle aspettative che accomunano sia molti degli immigrati che saranno sottoposti a reinsediamento, sia i potenziali nuovi immigrati provenienti dalle campagne.