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In libreria – Porto Rico. The Great Woman Singer

Un volume di Licia Fiol-Matta*

Redazione

Tra la fine degli anni Cinquanta e la fine degli anni Ottanta, negli studi italiani dell’RCA, casa discografica di molti cantanti e cantautori di successo, si aggirava nel ruolo di produttore artistico Italo Lilli Greco, un musicista che in quel luogo allevò e aiutò a crescere moltissimi artisti, come avrebbe proseguito a fare altrove per il resto della sua vita. Pur essendo un pianista e compositore non lesinava consigli ai cantanti, cui raccomandava anzitutto la ricerca della propria voce, della naturalezza senza fronzoli, al riparo da ogni tentazione di camuffarla e nascondersi dietro l’imitazione meccanica dei modelli di riferimento.
L’idea che occorra saper ascoltare e poi far venir fuori la propria voce naturale è considerata dalla maggioranza dei maestri di canto e di teatro l’approccio corretto per trasmettere l’essenziale autenticità del mondo interiore e delle sue emozioni agli ascoltatori. Esistono esercizi appositi per affinare la tecnica e “liberare” la propria voce dalle tensioni, come il metodo Linklater per il teatro o quelli di adattamento della tessitura del brano alla voce e alle dinamiche individuali.
Il mondo delle canzoni e della musica popolare è al contempo un fenomeno commerciale, basato su prodotti di consumo, ed un fenomeno culturale e di costume straordinariamente diffuso, che permette di cogliere stato e grado di emancipazione delle donne nelle società. Rispetto al passato, negli anni Duemila molte cantanti donne hanno guadagnato la vetta delle classifiche mondiali della musica pop (diversamente da quanto avviene nell’hip-hop, ancora monopolio degli uomini), ma resta il fatto che per parlare di autenticità e liberazione della voce si debbono fare i conti anche con la natura sociale – coi suoi vincoli ed orientamenti – della voce nella canzone. Licia Fiol-Matta, ha pubblicato nel 2017 un volume per la Duke University Press, che le ha permesso di tornare su un tema che aveva già approfondito in più occasioni, il concetto di voce che pensa, o thinking voice.
Con questo termine, già utilizzato in un articolo del 2011, l’autrice intende riferirsi alla voce come luogo per esporre e criticare le norme sociali imposte alle cantanti, rifacendosi all’idea del filosofo Martin Heidegger e all’ambivalente accezione del termine tedesco, che può essere tradotto come “voce autoriflessiva”, cioè da prendere in considerazione in quanto espressione essenziale del pensiero. Il concetto si basa sul fatto che non esiste in realtà una voce che emana direttamente dal corpo in un ambiente neutro e che va apprezzata nella sua naturalezza, ma è essa stessa costruita dal contesto e dalla stratificazioni socio-economiche, di classe, genere e razza che caratterizzano il proprio tempo. Questo significa che ascoltare la voce di una cantante non vuol dire limitarsi a riconoscerne il talento tecnico, ma saper cogliere l’espressione della creatività personale, cioè la natura di strumento di espressione di una visione individuale, in relazione al proprio ambiente e al proprio tempo.
Licia Fiol-Matta, in particolare, illustra la carriera di quattro icone della musica pop di Porto Rico: Myrta Silva (morta a sessanta anni nel 1987, famosa come cantante, poi anche come compositrice e produttrice televisiva), Ruth Fernández (morta a novantadue anni nel 2012, prima cantante afro-portoricana di successo, cantante apprezzata nel mondo durante una carriera di quasi sessanta anni, impegnata politicamente e anche senatrice), Ernestina Reyes (morta a sessantanove anni, attrice oltre che cantante famosa per essere stata la prima interprete in televisione della musica jibara, molto popolare nelle campagne) e Lucecita Benítez (oggi settantacinquenne, la cui cinquantennale carriera è stata recentemente premiata con un Grammy nell’industria musicale latina ed è considerata la principale interprete del nuovo corso della musica pop a Porto Rico).
Si tratta di quattro cantanti la cui attività è coincisa con la difficile fase di transizione della modernizzazione coloniale di Porto Rico, prima sotto il controllo statunitense dall’inizio del XX secolo e poi con un attivo movimento nazionale a favore dell’indipendenza, e il succedersi fino agli ultimi anni di richieste di consolidare i caratteri di un Commonwealth politico oppure di diventare uno stato federato statunitense. Ed è proprio l’esempio di queste quattro icone che consente all’autrice di esplorare in termini critici il terreno in cui le forze sociali neutralizzano e addomesticano le potenzialità del suono, delle voci e delle immagini di queste cantanti molto influenti nella storia del paese; il medesimo terreno sul quale, allo stesso tempo, le cantanti esercitano il proprio protagonismo artistico, contribuendo anche a trasformare i gusti, non rimanendo imprigionate nella gabbia di mode, suoni e look prevalenti.
Perciò l’autrice invita il lettore a decostruire il fenomeno della canzone pop, cercando di coglierne e interpretare sia la dimensione effimera, che l’industria discografica tende a imporre come unico elemento d’interesse delle voci che promuove, sia la potenzialità critica latente delle stesse voci. Un invito che non pretende di dare risposte nette o di cristallizzare ruoli e storie particolari, ma che vuole sottolineare l’ambivalenza di fenomeni del passato ancora oggi presenti nella realtà artistica, a Porto Rico come nel resto del mondo.
In sostanza, si tratta di quattro biografie critiche, che analizzano – attingendo all’approccio di pensatori francesi come Lacan e Foucault – voci e performance artistiche di cantanti di talento. Si prenda, ad esempio, il caso di Lucecita Benítez, l’unica delle quattro artiste ancora in vita: ripercorrere la sua carriera e soprattutto le sue canzoni di successo – da quando era giovane alla fase della maturità, fino al definitivo riconoscimento come icona –, guardando parallelamente alle trasformazioni della società e dell’idea di sviluppo e modernizzazione, consente di sottolineare proprio la presenza della stessa voce nella cultura musicale del paese come tratto costante nel tempo.
In questo senso, al di là dei discorsi sulla spontaneità vocale, Fiol-Matta prova a ragionare sul tema delle “grandi cantanti” (il titolo del volume è, per l’appunto, “The great woman singer”) per illustrare il concetto della voce che pensa, dove l’evento che combina musica, voce e ascolto diventa il modo per riscrivere il discorso dominante, proponendo allo stesso tempo un’appassionata carrellata di canzoni caraibiche e, in controluce, una riflessione sull’importante ruolo delle diaspore, soprattutto a New York.
Alla fine del viaggio biografico raccontato nel volume, restano suggestioni e spunti di riflessione che possono sollecitarne indirettamente anche altre, come quella sulla tendenza, diffusa nel mondo dei musicisti, a ridimensionare non solo la figura delle cantanti, ma anche quella degli interpreti di canzoni, rispetto a quella quasi sacrale e autentica degli intellettuali della canzone, i cosiddetti cantautori, che, per esempio, in Italia sul finire degli anni Cinquanta – con la scuola genovese di Ciampi, Tenco e Paoli – ebbero un ruolo decisivo nel cambiare il corso della canzone pop, ispirandosi ai modelli francesi – Brassens, Ferré e Brel su tutti – più che a quelli statunitensi.