America Latina Editoriali

Le regole della transizione: i casi di Argentina e Colombia

Maugeri Cristiano

La seconda parte del Novecento ha prodotto cambiamenti epocali. Soffermandoci sull’ultimo ventennio del secolo, il ritorno alla democrazia in alcuni Paesi dell’America latina, la fine dell’apartheid in Sud Africa e la caduta del blocco sovietico, solo per citarne alcuni, saltano agli occhi quali eventi fondamentali per il miglioramento della qualità della vita per milioni di persone.

Nello stesso periodo abbiamo assistito, tuttavia, anche a evoluzioni preoccupanti. Coinvolgimento della popolazione civile nei conflitti e gravi violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno. Basti pensare che le Nazioni Unite registrano, in anni recenti, oltre 70 milioni di persone forzate ad abbandonare la propria casa per ragioni relazionate ad un conflitto. Di queste, oltre 40 milioni sono sfollati interni, ovverosia persone che non attraversano le frontiere del proprio Paese di appartenenza, ma semplicemente si allontanano dai luoghi della violenza abbandonando beni e progetti di vita. Gli sfollati interni, per avere un termine di paragone del coinvolgimento della popolazione civile, nel 1993 erano 4 milioni.

Osservando questo contesto, sorgono spontanee alcune domande. Cosa accade quando un regime autoritario perde forza e si ristabilisce la democrazia, come ad esempio è avvenuto in Argentina a partire dal 1983? In che maniera si ripristina lo stato di diritto e, soprattutto, le persone che durante il periodo della dittatura hanno sofferto violazioni dei diritti umani, in che maniera possono trovare forme di compensazione e risarcimento? In sintesi, in che modo si costruisce una riconciliazione?

Domande simili possono essere ampliate anche ad un contesto come quello della Colombia, dove un conflitto interno tra i più duraturi al mondo ha prodotto atrocità di ogni tipo. 

Per dare risposta a queste domande viene in nostro soccorso il concetto di giustizia transizionale. Si tratta di quell’insieme di misure che permettono di gettare le basi necessarie per sostenere un processo di pace o di ritorno alla democrazia. Una giustizia valida per i periodi di cambiamento politico, il cui obiettivo finale è quello di contribuire alla riconciliazione ed al ripristino della democrazia. Verità, giustizia, memoria, riparazioni e garanzia di non ripetizione costituiscono le componenti elementi chiave della giustizia transizionale.

Questo concetto trova spazio nei documenti ufficiali delle Nazioni Unite a partire dall’inizio degli anni 2000. Tuttavia, molti Paesi hanno avuto necessità di confrontarsi con queste problematiche anche in anni precedenti, come nel caso dell’Argentina, contribuendo così a definire alcune pratiche e a fare emergere le complessità.

L’Argentina e la transizione dalla guerra sporca

Nel 1983, uno dei primi atti del nuovo governo democratico appena insediato dopo 7 anni di brutale dittatura, è quello di costituire una commissione la cui finalità non è giudicare i colpevoli quanto indagare la sorte delle persone scomparse, i tristemente noti desaparecidos e le modalità di esercizio della violenza. Il rapporto della commissione, il famoso Nunca Más, è ancora oggi un libro vendutissimo. 

A seguito della pubblicazione del lavoro della commissione, gli argentini si stringono intorno alla consapevolezza del dramma vissuto e iniziano i processi alla giunta militare, nonostante le forze armate siano ancora molto influenti nel Paese. Prima che finiscano gli anni Ottanta arrivano, a dimostrazione del peso che i militari ancora esercitano sulla democrazia, le leggi che sanciscono l’impunità dei militari che hanno preso parte alla dittatura. Leggi che solo nel 2005 verranno dichiarate incostituzionali decretando la riapertura dei procedimenti a carico della giunta militare e la loro, tardiva, condanna. L’ammissione delle colpe da parte delle forze armate giunge solo nel 1995, ben tredici anni dopo la fine della dittatura. In questo frangente, i ricorsi alle organizzazioni regionali di diritti umani, le richieste di estradizione da parte di Paesi stranieri e l’instancabile lavoro delle organizzazioni in difesa dei diritti umani, contribuiscono a mantenere viva la memoria storica, la richiesta di nuove forme di giustizia, riparazione e riforme istituzionali che garantiscano la non ripetizione dell’atroce passato.

Durante la prima fase della transizione argentina, di fronte alle difficoltà di giudicare il potere militare responsabile delle terribili violazioni dei diritti umani, ci si concentra sulle misure di riparazione in favore delle vittime. I primi provvedimenti in questa direzione sono rivolti al personale della pubblica amministrazione, ed in un secondo momento allargate anche a coloro che lavoravano in imprese private, che, durante la dittatura, hanno perso il lavoro per ragioni politiche. Non si tratta solo di reintegro ma anche di una compensazione per il periodo di inattività. Compensazioni di carattere economico e simbolico dunque.

Inizia in quegli anni un dibattito sulla possibilità che lo Stato riconosca una qualche forma di riparazione a favore dei familiari delle vittime di sparizione forzata, i desaparecidos. Alcune organizzazioni consideravano, in principio, che accettare le riparazioni implicasse l’abbandono delle richieste di verità e giustizia. Al contrario, le tensioni emerse durante questo dibattito hanno permesso di arrivare a riconoscere giuridicamente la sparizione forzata, fattispecie che non esisteva nell’ordinamento argentino, obbligando così lo Stato ad ammettere che la persona è stata sequestrata illegalmente. Nella seconda parte degli anni Novanta, anche a seguito di un fallito nuovo tentativo di golpe del 1990, intervengono anche le riforme istituzionali che ridimensionano gradualmente il potere dei militari.

Negli anni Duemila, infine, ai provvedimenti già esistenti ed alle sentenze costituzionali che riaprono i processi a carico della giunta militare, si aggiunge una legge che riconosce la riparazione a favore dei minori vittime del terrorismo di Stato ed a coloro che furono costretti ad abbandonare il Paese durante la dittatura. 

Nonostante ancora molte persone attendano giustizia, il percorso avviato in Argentina ha fatto da apripista ad altre esperienze venute negli anni successivi a livello internazionale. 

La Colombia e le regole della transizione nel mezzo di un conflitto 

Quello della Colombia è un percorso di transizione formalmente avviato all’inizio degli anni Duemila, nella fase più cruenta di un conflitto di lunghissima durata, complesso e soprattutto atroce per via delle azioni violente a danno della popolazione civile.

Spostamento forzato ed esproprio della terra, sequestro, estorsioni, reclutamenti illecito di minori, tortura, omicidio, massacri e sparizioni forzate sono alcune delle modalità di esercizio della violenza registrate in Colombia, in particolare tra il 1996 ed il 2005, che hanno causato oltre 9 milioni di vittime. Ancora oggi quasi 5 milioni di persone risultano sfollati interni, dato che nel 2016 superava i 7 milioni. 

A partire dalla fine degli anni Novanta, nonostante il contesto caratterizzato da forti violenze ed instabilità, si cominciano a delineare le prime misure a favore delle vittime. Inizialmente il tema viene affrontato attraverso risposte ad eventi straordinari, azioni di carattere umanitario a favore della popolazione sfollata. In un secondo momento, a partire dal 2005, trovano spazio misure più stabili, finalizzate a gettare le basi per la riconciliazione come la smobilitazione degli ex combattenti ed il reintegro nella società.

In quegli anni si va facendo spazio l’idea che è necessario privilegiare misure strutturali a discapito di quelle straordinarie. Diventa imprescindibile definire chi sono le vittime del conflitto, quantificarle, mettere in atto un sistema di riparazione e identificare istituzioni responsabili della sua realizzazione.  Risale al 2011 la legge che definisce il concetto di vittima in Colombia, migliora il sistema di riparazioni fino ad allora solo abbozzato e istituisce un complesso sistema di assistenza  alle vittime. Grazie alla legge del 2011, una vera pietra miliare nel percorso di giustizia transizionale in Colombia, si decide di favorire, tra le misure di riparazione disponibili, la restituzione delle terre al fine di favorire il ritorno delle persone ai territori abbandonati a causa del conflitto interno. 

Nel 2016 si arriva, dopo i lunghi negoziati de L’Avana, ad un accordo di pace tra il governo e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC), il gruppo guerrigliero più numeroso. Il tema della distribuzione delle terre e della promozione dell’economia campesina trova uno spazio importante nell’accordo: le FARC avevano proposto la creazione dei territori Campesinos per riconoscere pieni diritti agli agricoltori sulla base della formalizzazione della loro proprietà; il compromesso finale prevede l’impegno per un piano di distribuzione ai contadini di tre milioni di ettari, la regolarizzazione di altri dieci milioni di ettari oggi coltivati da contadini senza titolo di proprietà e l’accesso al credito. Viene inoltre istituita la Jurisdicción Especial para la Paz, un organo la cui funzione è quella di conoscere i crimini commessi nell’ambito del conflitto armato interno e amministrare la giustizia transizionale.

Ad oggi, secondo quanto riportano gli organi ufficiali, oltre 7 milioni di persone sono oggetto di assistenza da parte dello Stato per aver subito, direttamente o indirettamente, gli effetti del conflitto e violazioni dei diritti umani. Di questi, oltre 1,5 milioni sono minori. La pacificazione definitiva in Colombia è lungi dall’essere raggiunta anche a causa della difficoltà di realizzare le misure di riparazione e restituzione previste dalla legge. Senza dubbio però il percorso di transizione avviato ha contribuito a invertire la rotta e riaperto le speranze di una pace che meno di venti anni fa sembrava impossibile. 

Conclusioni

I due casi presi ad esempio dimostrano la grande complessità della transizione. Emerge, in particolare, l’impossibilità di definire ricette universali applicabili ad ogni contesto. In ogni paese, difatti, prevale una lettura a discapito di altre o viene dato maggiore enfasi ad un aspetto piuttosto che ad un altro. In alcuni casi, ad esempio, sono state istituite delle commissioni indipendenti incaricate di ricostruire la verità delle violazioni passate. In altri Paesi si è data maggiore forza ad altri aspetti come le riparazioni, siano esse in danaro o in altre forme, le riforme istituzionali o i processi penali a carico dei responsabili delle violazioni. 

Tanto nel caso argentino quanto in quello colombiano un ruolo importante è svolto da una società civile coraggiosa, vivace e soprattutto caparbia, con le organizzazioni in difesa dei diritti umani e dei familiari delle vittime capaci di organizzarsi ed esercitare pressione sui governi.

Concludendo possiamo affermare che il percorso di transizione è lungi dall’essere un cammino lineare. Al contrario somiglia più ad una strada a zig-zag, caratterizzata da spinte in avanti ed improvvisi arretramenti. Pur con le sue difficoltà, si tratta tuttavia di un cammino che contribuisce, una volta intrapreso, a gettare le basi per una pacificazione duratura.

Foto Credits:

Alejo Manuel Avila Attribution-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-ND 2.0) attraverso Flickr